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ago 3, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Mahna manhà.

Sfronzola in tuba poliedrica la voce sussurrata d’ebano e marmellata. S’insinua in rantolo verso un sesso per tanto. Vorrebbe un rullante per esaltazione ed un automatismo ad iniezione ma si contenta d’un onanismo gratificatore. Le rughe faticano la tela da copertura a pseudo teca e corre via lontano il suo lamento insoffribile e sgomento. Ad un tratto sganasciano le corde in nylon per siglare in lacca cera il termine della caccia. Ecco, ora torna dal suo distretto con un fare di chi lo sa fare senza nemmeno una bavetta di errore o un sunto da sugo per un credersi attore.
Avevamo tutti vent’anni ottanta, s’aspirava sgargianti e si finiva in bettole. C’era chi godeva al frastuono e chi non pensava al sarò: la livella ha continuato la burla senza richiedersi altri sermoni. Prim’ancora s’inzuppava in pane nella via del Sesamo: d’uopo allo sganascio con Elmo e lesti al baciamano con Miss Piggy.

Rider del mio Ph estinto sopra l’importanza d’un acido basico: sangiovese all’avvenire e turchese al tramonto mattutino.
lug 21, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Bilancia sfalsata.

Mai un grazie non avrai
per un cibo caldo,
un letto rifatto,
un piatto stirato.

Sono un buon disgraziato.
Mai palese attestazione d’affetto
o per sicurezza del tuo ruolo
al limitare della paura sul perso.

Dovrai cercarlo altrove, fra le spese delle ore ad innaffiarti, fra le pieghe delle tormente nel renderti indipendente, nel dono del diamante che ricopri di sputi e che ostinatamente ogni volta si risciacqua nel riavvolgerti. Dovrai scorgerlo in quel che si nasconde dietro alle foglie delle tue ansie, nel tuo abito cucito d’altri e senza cui traspare il vuoto delle scelte dove ogni giorno verso il mio sorriso più bello. Dovrai afferarlo mentre ti si aspetta al termine di ogni giostra centripeda lontana dal tuo baricentro perso, dovrai rubarlo al fiato della mia gola secca quando ti urlo che sei tu l’unica per cui valga una tua scelta. Dovrai averlo in fede nelle parole dette per il tuo bene, scovarlo prima di cedere il passo all’istinto della mancanza o alla chiusa nella difesa prima d’esser luce preferendo una triste penombra. Dovrai ascoltarlo nel secondo che precede la scelta giusta, che conosci, ma che per timore della futura tua te stessa migliore rifiuti tentandoti stanca e preferendoti oggetto di adorazione in miseria commensurata. Dovrai tenderlo come suonano le corde di violino quando si accorgono di valere la purezza del cristallino, dovrai gemerlo nella sofferenza sbocciata, dovrai respirarlo come fiato del tuo fiato.

Ma sopra il tutto
basta un solo tuo sì alla vita
per non dovermelo mai.
lug 10, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Petra.

Ah potessi saltar sull’assi e leggerne in rima di passioni, uccisioni e ribelli dal troppo pensiero dentro. Ai miei amici ricordo che è ancora desto quel sogno in cui un giorno tireremo in ballo quello spettacolo dove tu canterai, tu suonerai, tu reciterai e tutti noi si leggerà gli animi nostri. Una scenografia scarsa, luci calde, immagini che sappiamo già a chi affidare sullo sfondo dell’emozione. E seduti, in sedie parallele, le nostre virgole e le nostre pene.
Sarà un bel gioco, sarà un affranto pezzo scarno in coda di lucciola prima dell’alba. Sarà l’ultimo drappo amato di seta, un giogo d’uscita sgusciato via dal miele delle gabbie. Sarà un accrocchio tenditensione sciolto al galoppo di un nuovo mondo.
Il raccolto del mio racconto è di nuovo al traguardo di un giorno. Effimero di fatica annuale persa in un giro di chiave: all’evaporo dell’ultima goccia di sudore è già tempo di ripagarsi un futuro che da sempre porta in dote un fortunale che m’attende.
giu 26, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Bye Pass.

Omonimo al passo,
grande e cattivo,
mascherato microbo,
agguantato metallico,
eccelso vitreo.
giu 10, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Ho perso lo sguardo.

Mi testa la nuca al solco dell’orecchio.
Per questo sto più del solito attento.
Metti che me ne esco da me stesso,
faccio un giro d’universo
e poi torno più tonto che sguercio.

Ogni musichetta da ritornello
contiene una campanella di appello:
potrebbe esser l’ultima del fisico
o la prima del bilico.

Così ascolto teso
parole sanscrite
fuse in lingue baltiche
e quel che traduco
è pane
del mio vicino glaciale.

Non ho una dimora fissa,
non ho un tempo determinato,
non ho neanche un callo bucato:
indi vado.

Senza timone,
senza rumore
ma con il tra dei capelli
un fiore dal campo raccolto
al sorgere cobalto del sole.

Il profumo del legno
invade il prossimo bosco
dove svernerò il mio affetto.

Brace che tace,
fusa dolce su tende
lieve per sempre.
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