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set 22, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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E mi si spegne l’amarcord.
Il rialzo più corposo e formoso degli ultimi anni se ne sta a marcire nel retrobottega del mio frigorifero. Senza riciclo nè aspettativa di vita pari ad un moscerino gode solo per quello che è, nell’istante, e mai per quello che avrebbe o potrebbe. A pensarci bene è quietante ed è proprio per questo motivo che m’ascende e m’aggredisce all’apertura dello sportello. Troppa vita uccide. Vagherò per tutto il resto del giorno ripensando a quel tanfo. Lo decido adesso mentre nel frattempo son già chino a sturare il cesso ed un effluvio di ritorno aggredisce il mio contorno. Ho come una voglia di ciliegia stampigliata a primo indizio d’enigma sulla guancia destra. La meticoloso di riflesso nello specchietto retrovisore mentre sono parallelo in guida alla litorale che costeggia una oscillazione d’onda in sol minore.
Bevo per ricordare e appena mi si accende una lampadina ci soffio sopra e mi si spegne l’a m’arcord in squaquaron.
set 16, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Round and round.

Dovresti scrivere più meglio, mi dice. Essere sciolto, comprensivo, comprensibile e vedresti. Primo me non mi riesce. Ci provo e mi ci metto addosso ma non m’esce. Fare come facevi col pallone in allitterazione. Ma il tempo e lo spazio non van più di simbiosi, neanche con lo sforzo peggiore riuscirei a rivivermi con un unico punto focale. Dovresti far giù un romanzo. Ci vogliono i dettagli e io adesso come un adesso di anni non ho più il controllo del contorno. Per esserlo di nuovo avrei bisogno di un tavolo alla fine della corsa ed in questo tramezzo io sto ancora annaspando nel mezzo. Ti farebbe bene. Un sacco di belle cose mi farebbero bene. Un milione di euro, accarezzare la Sistina, prendere il volo di Wright ed avere pezzi di pace da unire, noi e loro. Avresti di nuovo un sogno. Ce l’ho già un sogno. Più di uno, ma devo soffiarci sopra che ancora scottano. E poi. E poi mi si scioglieranno di nuovo le parole, vedrai.
set 12, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lascia fuori i fiori bagnarsi.
Perdi la scarpa scendendo dal tacco. Cadi mostrandoti estate. Fa un caldo ghiacciato d’isola deserta. Al finire della staccata prima del curvone sporgi il piede per paura di un’altra dimensione. Salti sul muretto e osservi la Riva, il suo andirivieni confuso e ti astieni. Non ne vuoi più sapere di quel che già sai e che hai smesso di conoscer per quel nulla che non comprende i sogni. Preferisci donarteli stretti senza pubblico e senza gesti. Solo l’eco ti consuma e ti consola in una quiete che ora ti assapora. Ed è monatta l’aurora, è calore d’una vita vicina, è sapere del tuo conoscere pelle arrivarti fin dove poni gli occhi. Sei già tornato dall’oltre, affascinato e disperso senza niente. Hai cercato quel che non serve tranne alla quiete del mentre per te e per chi ti sta accanto. 
Lascia fuori i fiori bagnarsi. 
Una coperta sopra le spalle, una vespa con la candela gracchiante, la pace nella ricerca di un funambolo che tesse il suo strizzarti l’occhio distante.
ago 29, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Pasta e ceci.
Son così dentro da tanto tempo che il rindondo ormai non mi scolletta più. Ci siam fatti amici ed ogni volta che ricapita spesso ora io lo accarezzo. All’inizio era un disgusto muffato col pelo alto: ora è tutto un sorriso dietro l’altro. Senilità saccente dello scavalco brizzolato. Sarà ma mi pare sempre più che non ci sia l’uscita da questa gita a Lago Nero. Così mi fermo e perdo tempo ogni volta che qualcuno si crede di stupire. So già come va a finire, ma mi piace la copiacurva di Gauss nel suo modus operandi e così lo lascio fare. Vorrei avere ancora quel peccato originale, non sapere che oltre l’invio si nasconde un cuscino pronto ad addormentare il mondo. Perciò mi cerco in quella credenza di svolta, in quel pertugio diretto alle nocche, in quel colore dell’onda di ritorno.
Poi m’appoggio al muro, inclino l’asse delle pupille e rigetto l’universo. Ciuco sbronzato di pinte al trifoglio cerco la fortuna sulle piastrelle del cesso cadendo riverso sul mio nuovo distinto carattere estroverso.
ago 25, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Sale.
Maggio a nove anni mi scendeva dai campi di grano. More disperse per selvaggi affamati di una vita d’acqua torrente. Il fieno in covone del vecchio Tone scavato a mano per chiedere il pane alle vipere. Lucciole euforiche, caldo sul ventre e corse verso il rosario. Due calci un attimo prima dell’ennesimo bucato, Borghi eterna promessa, baci sotto alle viti e uova calde scappate dal culo delle galline in fuga. Bevi che fa bene, tutto d’un sorso, viscido e rugoso come l’arriverà. I ragni giganti ed i topi fra i tondini del ferro, polvere da piegare, schiaccia la pressa, soffia e pianta il chiodo. Segna col gesso e tira il dodici per le molle di Cinisello. Il magazzino di lana di vetro ed il trial a sgommare il sentiero. In cima al monte si vede il destino ma per scrutarlo bisogna andarsi a prendere l’alba. La croce dell’ Ubione si illumina a Ferragosto e la festa non ha più la voce che gira la ruota. Le lucciole chi l’avrebbe mai detto quando meno me lo aspetto arriva un vento caldo di bacio. Il milanese è un dialetto melenso che smette il canticchio al cospetto del freddo.

Brucia il bosco adesso ci piscio addosso mentre si disfano ad uno ad uno i nodi al gomitolo che si porta a spasso un micio spelacchiato. Torna da dove sei venuto, coltiva l’orto, amane i frutti e non aspettare. Le corse a derapare, le ginocchia sbucciate, il sangue sopra il labbro, le botte al calcinculo, le mani sul collo, il bagno nel fiume, le musicassette eterne.
Ruba un cioccolatino, canta a squarciagola, accarezza la testa di tua nonna.
Suonare le campane appendendosi alle funi con le mani del matto che ti alzano a volare. Mi picchiano col bastone per essere migliore, mi raccontano barzellette sconce, mi mostrano seni fintamente ingenui. Non si gioca sul piazzale, non si entra nella cava, non si mangia con le mani.
Che cosa pensi?
Sereno.
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