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nov 26, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Stretti i capi della fune incrociata.
Tutti in cerchio a guardarmi.
Tutti con gli occhi fissi verso il dentro, verso di me.
Tutti in piedi, con gli stessi vestiti stinti e smunti.
Tutti con nel palmo della mano qualcosa di ben nascosto.
E’ difficile ricordarsi il nome di ognuno,
se glielo chiedo quelli… mi girano attorno.

Che avete, ne avete?
Se avessi da darne ancora ne chiedete?
Lasciatemi in pace, lasciatemi fermo,
smettetela di vorticarmi all’esterno
mi inginocchio al centro del vostro cerchio
ma non ho davvero nient’altro che questo.
Me stesso.

Tu
giocavi d’altro un’altra vita
io
non posso ricordarmi tutto
ho cancellato la mia lavagnetta magnetica sul frigorifero
e tu
mi hai dato quel passaggio sotto la pioggia rossa
io
non posso ricordarmi tutto
ho buttato l’immondizia ieri sera tardi
e tu
mi hai amato e non me lo hai detto a quel tempo
io
non posso ricordarmi tutto
non voglio.
Capisci?

Stringono e il perimetro mormora
fiamme d’attrito in corpi stretti
condenso in un non distinguo
fatico a reggermi nel tondo labirinto
se glielo chiedo quelli… mi girano attorno.

Smettetela di litanie rimbombo
mani alle orecchie urlo a coprire
dolore che ne sapete
voi cantate con voce di rame
mi inginocchio al centro del vostro cerchio
ma non ho davvero nient’altro che questo.
Me stesso.

Me stesso
me stesso
me stesso.

nov 24, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Fate sempre colazione col cappuccino.

Se corri sotto la pioggia ti bagni di più.
Venne una sera, poca la luce, il freddo era un freddo che c’era e si sentiva e se non c’eri lascia perdere.
Venne comunque senza voglia perchè di portarla non serviva liberatoria e quindi si presentò in una camicetta senza chiavi aperta, gonna trooooppo umanamente non corta e filo d’un tanga nascosto controvoglia.
Colpo di fucile a canne mozze scombinò senza un accenno il senno della vita di questo povero cristo.
La prima cosa che fece fu sedergli in grembo e strappargli i peli del petto.
Era chiaro che sarebbe scesa anche più in basso ma il nostro lesto non volendo sembrare un mostro scappò con un pretesto e quella mancò poco ci rimase quasi secco.
La sera dopo che era quasi quieta c’erano stelle e brezza leggera nessuno comunque di ritorno se l’aspettava vista la sortita in cattiva sorte della sera prima.
Ad ogni modo lui si dimostrò poi non più tanto un semplice ramazzo.
Come niente fosse,
decisa, fra il calato silenzio,
diretta, verso il bersaglio
con gomma americana in bocca e passo studiato da oca militare ma intelligente non prese nemmeno di rincorsa il fiato che quello lo perse tutto concentrato in un bacio inaspettato con tanto di lingua in gola leccata di labbra e passaggio ferroviario umidificato.
Al primo bottone di camicia volato e dai muscoli ingrossato ci si aspettò lo scontato baratto di succo non proprio gastrointestinale quand’ecco che sul più bello il sempre lui quello si divincolò non so come
da so bene non so cosa
come un’anguilla da paragone perfettamente calzante e sgusciò semplicemente abilmente ricomponendosi la patta e riavendosi dall’improvvisa ansia.
Anche stavolta incredibile al Cibali non rimborsarono il biglietto per quella scena d’un certo effetto che ci si aspettava finisse con dei corpi in balletto e invece se ne fece un granchè di niente: la povera cacciatrice con vuota la bisaccia dovette sbalordirsi per una seconda volta come la prima annullata.
Al calare del terzo sole era invece un evento.
Si sprecarono i cartelli con su scritto vengo vengo ed insieme a questi i cori neroazzurri unici ritenuti attendibili in quanto esperti nell’ attesa di un fatidico agoniato evento.
Lui stava di par suo come se nulla nelle due precedenti gli avesse smosso i sentimenti anzi tracannava dal collo della sua bottiglia una birra di marca sprovvista.
L’abilità che ne decretò il successo di lei stavolta fu forse la presa al collo dal di dietro a tradimento.
Sbucò alle spalle del santo bevitore e ci mancò poco lo buttò all’aria perchè mirò dritta ai boxer guardinghi.
Non lo guardò nemmeno in faccia fece le fusa vogliosa di schiuma senza pensare al malto della birra in bottiglia che sicuro calza a pennello in non so in quale modo e perfetta avanti e indietro in questa rima.
Con le inferiorità svestite erano edificabili ed immortalabili al pubblico ludibrio ma quanto tutti si aspettavano un abile terzo arresto fu a questo improvviso punto che lui fece l’aspettato inaspettato gesto.
Dai pantaloni calati per terra afferrò con non so quale umano appiglio dal portafoglio il proteggisperma e disse raggiante ‘stavolta non me lo son scordato, guardate!’
e ci venne incontro spumeggiante.

nov 23, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Forse c’hai ragione.

Smile, you are on Candid Camera!Una risata li seppellirà.
Forse c’hai ragione, amico indivanato pantofole e cinemascopio che non conta fino all’otto:
questi qui parlano parlano e poi non succede mai niente domani andranno al lavoro chineranno la testa e stasera fanno sì si indignamoci e bravi bravi clap clap rido anch’io va
ma tanto pecoroni
non cambieran mai niente.

Non cambierà mai niente.
Forse c’hai ragione.
Intanto io
quel che hai detto l’ho scritto
ho riso
ho visto in Sabina del coraggio
e Paolo sfoggiare un pezzo d’autore mai banale quanto il cognome
e Fiorella cantare quel che sarà e per sempre rimarrà
e tanta gente fuori dai cancelli
e gli altri sul palco a dir semplicemente che scusate ma tutti lì sopra proprio d’indignarsi non ci si stava
ma era come esserci d’insieme,
nessun obbligo imposto di nasconder la risata.
Satira saturata.
Forse c’hai ragione.
Forse.

nov 19, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Liscia.

Quante litigate ci siamo persi
quanta voglia di esser depressi
quanta nutella lasciata nei vasetti
quante lacrime sfogate in amici mai incerti.

Si poteva far quel che non è stato
ballare scalzi o nudi in un prato
aspettar la notte di San Lorenzo
creder l’eterno un posto mai freddo.

Ricordarsi gli stessi pensieri
scambiarsi le ossa in letti e veleni
rotolarsi ansimando peggio di cani
amanti malati lontano dai sani.

Macinar asfalto dialogando con l’autoradio
stender le stelle del lenzuolo sul terrazzo
rovesciarsi fremendo sulle pietanze di cena
e graffiandosi la pelle esser sicuri che fosse.

nov 19, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Liscia.

Quante litigate ci siamo persi
quanta voglia di esser depressi
quanta nutella lasciata nei vasetti
quante lacrime sfogate in amici mai incerti.

Si poteva far quel che non è stato
ballare scalzi o nudi in un prato
aspettar la notte di San Lorenzo
creder l’eterno un posto mai freddo.

Ricordarsi gli stessi pensieri
scambiarsi le ossa in letti e veleni
rotolarsi ansimando peggio di cani
amanti malati lontano dai sani.

Macinar asfalto dialogando con l’autoradio
stender le stelle del lenzuolo sul terrazzo
rovesciarsi fremendo sulle pietanze di cena
e graffiandosi la pelle esser sicuri che fosse.

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