ott 27, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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PPP.
Scherzo e rigetto.

Più per piacere
potrò prima pregare
per poi prostrato
prorompere pro pace
placido per pochi
pur potendo patire
prose par perdute.

Uno che l’han come soffiato via
non figurante sui tuoi sussidiari
possiamo che solo averlo in noi
con il ricordo
la forza del suo ricordo
le parole dei pazzi
piene di z
fastidiose
diverse:
per una sera
fredda a Novembre
società
aggraziata
ascoltatele.
ott 14, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Charleston.

Le corde steccano un riverbero che da lontano pare un muggito strano,
un passato quasi asciutto ormai.
L’umido lo tocchi, è alle spalle e ti soffia sul collo d’un rauco bastardo.
Nel mezzo continui a rigirarti ma dove in questo mare di pece nemmeno lo sai
e allora butti via gli occhi che tanto qualcosa te ne daranno in cambio
e decidi di scommetterti l’alito sotto l’unghia.
Abbaiando raschi la voce fra le fughe delle croci
ma non c’è verso d’uscirne da dove sei
e passi la mano
e ciocchi le pozze.
Fermo, compagno unico dell’ansimo,
alzi il collo ed è nero pure in cielo ma d’un diverso.
Fresco, parkinson variato da chi c’è già stato ed ha già dato.
Svuoti quel che più non ti appartiene e la senzazione che non scorgi
è quella della trasparenza
come un fiore ramino sul fucile del suo cecchino.
Prostrato offerto al rinculo della scure
abbeverato al catino del signor macellaio
sporco dal grasso adatto al tuo svicolo
e punto di raccolta unto dalla super offerta.
ott 10, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Wallpaper.

Videoproièttati
sul mondo piatto
che da due metri non si vede un osti
partiti con l’idea di fare un salto
e lasciati in aria la qualità
senza sapere bene chi
si troverà di là
senza sapere cosa
si lascerà di qua,
con in tasca il resto del caffè
che non ti sveglia mai.

Un passato senza sugo
un album di batoste
e sempre con le ginocchia alte.

Un’ acustica scarna
è il suono che hai nelle braccia
che tiene da sola su la banda
mentre porti a spasso
la tua docile linea d’attacco.

Ma ora basta
è l’ora della sbornia
è quando cerchi il tuo angolo
per proteggerlo a pisciate.
Fermi il primo Gino
magari perso
per urlargli
con tutto il mondo che c’è
Gino
con tutta la rabbia che c’è
Gino
cazzo ti infili sempre nel mio camino,
Gino?

Vien con me dai,
si va a deragliare.

Ma quello pende già via
su per la collina di rifiuti
a ravanarsi in cerca d’un profumo
after shave sul tramonto.
Quindi
sbrandello da solo
raschiando i muri
rimbalzando sui mattoni
inciampando sugli ottoni
sporcando i pantaloni
d’un porco suono di tromba
che mi russa attorno.

La mezza
mi alza sulla pozza
per contrasto
sbasso la cresta
mettendomi tristezza.

M’abbraccio
al primo Gino
magari perso
ch’ascolta il piano
che tentenna in distanza
ce se ne va insieme
in un balletto traviato
gli sbiascico Gino,
con tutto il mondo che c’è
Gino
con tutta la rabbia che c’è
Gino
cazzo ti infili sempre nel mio camino,
Gino?

Vengo con te dai,
si va a deragliare.

ott 1, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Capisci?

Tu.

Poni che da fuori
questi siano fiori,
credi sai il miele
voce di piacere,
ridi come stuole
sotto le parole,
godi come poche
spine secche rose.

Ma.
Slacci vecchi nodi
rosi dai ricordi,
remi fra i tuoi nei
dei dispiaceri miei,
bevi l’acqua ai ciechi
per i tuoi pozzi neri,
ammali ancora dei
e ancor non sai chi sei.
set 21, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cara P.

Cara P,
ho ancora la schiena incerottata.
M’hanno provato ogni tipo di male ma l’allergia non si trova
e a dirti la verità credo che mi si sgonfierà il petto in fretta.
Tuttavia c’è sempre il profumo delle rose in giardino ove spesso i bambini finiscono per pungersi. Li osservo ancora da qui e per strano che sia nel farlo giocherello ancora con i numeri incisi sul lucchetto.
Lo so che alla mia età dovrei smetterla e adeguarmi, rassegnarmi.
Ma ogni nuvola da quel pertugio è ancora un’immagine giocosa e di tanto in tanto dal panettiere all’angolo arriva ancora qualche nota coperta di sugo: è allora che non resisto e come sempre implacabilmente s’avviluppano nella mia testa gli schemi.
Per quanto ci abbia provato finisce sempre con quell’urlo.
Certo, ora il tempo di latenza s’è allungato di molto: ho imparato quasi del tutto a tenerlo sotto controllo.
Ma è difficile sai, molto difficile.
Mi sveglio ancora di soprassalto con quell’immagine del filo di nylon spezzato di colpo e lo schiocco sordo della frusta che colpisce.
Quando succede corro di là a ber subito un bicchier d’acqua: ma anche d’inverno mi par sempre calda.
Eppure m’aiuta a lavarmi e non passa che un’ora e torno ad addormentarmi.
Lei dice che presto tornerò a riappropriarmi di un solo mondo anzichè ‘esserne schiavo dei mille frastagliati in cui mi sono perso’.
Ho provato a spiegarle come va di dentro ma ovviamente non sono mai uscito da me nemmeno per un barlugio che le abbia fatto anche solo intuire quanto profondo io abbia dentro il mio solco.
Dirle che cammino ancora sui vetri ardenti e che con i frammenti io amo immergermi non servirebbe a nulla tranne che a renderla più insicura del suo affetto, dei suoi gesti, degli sforzi fatti per ricucirmi fino ai denti.
Perciò ho deciso di restare esempio di un corpo esterno denso mentre dentro continua lo sgombero dei dogmi e l’esodo dei sensi.
La consapevolezza della lontananza dal guado della conformità rassicurante mi attrae, mi spaventa, mi respinge e mi rincorre.
Temo solo la cecità della solitudine in questo mio sentirmi uno e più, ma come tu mi hai detto rincuorandomi non sono altro che isola fra isole difronte ad un mare troppo grande.
Hai sempre portato in bisaccia parole giuste in giuste frasi e questo tuo parlarmi di me senza vuoti o cadenze ma anzi con il battito che non ha mai perso un colpo m’ha da sempre di te ammaliato.
La differita vocale è la mia sola costante.
Torno a soffiare le bolle,
che ultimamente riesco persino a chiamarle per nome,
prima che si dissolvano liberandone il sole.

Con affetto,
M.
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