apr 19, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Metaterso eptilico destro.

Fa caldo, al parco.
Mi prendo un corner da speaker, salgo sulla cassetta di legno e dalla tasca oplà m’esce il megafono.
Prima schiarisco l’umore, poi un paio di colpi sordi al cono prolungato ed infine spremo tutto il mio mare nero nell’amplificazione:
‘C’è un dottore? Per favore c’è un dottore? Ho male al metaterso eptilico destro!’
Faccio questo per due o tre ore fino ad una goccia dallo sfinimento, fin quando ad un punto parente prestabilito mi si avvicina uno che mi sussurra smunto:
‘Io sono un camice ma non conosco il suo dolore ne il luogo o l’ubicazione’
Il suo pastrano è filiero di grano, il sopracciglio folto e sapiente.
Per non parlare delle sue carie, di per certo non è dentista.
Prima nel ricordo stava passando vuoto accanto ad un cencioso: quello chiedeva e lui si ritraeva, il dottore.
Sarà cardiologo sprecato. O ventrilocuo delle emozioni.
Ad ogni logica di risposta comunque aspetto ad aprir bocca e me ne resto muto senza dargli soddisfazione. Insomma, che vuole?
Riprende:‘ Buon uomo per davvero, lei mi si è fatto silente. Eppure poco fa dimeneva al vento un malore che pareva greve. Si confidi, si lasci andare, si faccia toccare!’
L’indice tocca l’asola della mia spalla e a quel punto lo mordo.
Un sol colpo, netto.
Assaporo un brandello al sangue e lui si detrae seduta stante.
‘Lei è pazzo!’ urla fuggendo.
‘Si son folle a causa del metaterso eptilico destro!’ lo rincorre la mia ragione avvinghiata alle sue caviglie.
‘E mordo, mordo con la mia voce!’
Nel frattempo un creato capannello osserva indiscreto da qualche metro l’animale che sono.
‘Avete compreso? Sono indiscreto e rabbioso, odioso e avverso ai mali del mondo!’
Si sparpagliano gli astanti.
‘Scappate, andate: tanto torerete recalcitanti all’attrazione!’
Ripiego su me stesso e rimetto a posto la candela della voce.
Con il gomito pulisco lo sbaffo sanguigno.
Scendo dal trono e ce ne si va via, io e la mia cassetta in legno sottobraccio.
Rosicchiatori, sono, null’altro.

apr 13, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Andando a stadio.

Lo scarica cerino delle tribune politiche, del chi dovrebbe e del chi se ne fotte.
I fumogeni, la guerriglia, i bla bla bla.
La squalifica del campo, la pesante multa, il rosso nebbia.
Ottantamila persone e poche centinaia di teppisti.
L’impunità, la massa, la protezione del branco.
Basta.
I coglioni sono fuori e tutto attorno.
Io mi sento un po’ coglione compresso perchè non faccio niente mentre i bambini fanno oh.
L’ignoranza è la base sopra la quale buttare il razzo e colpire il portiere.
La violenza non è dentro ai cancelli ma comincia ben fuori, lontano dai cori.
Ai politici va bene: le legislazioni cambiano, la patata passa e la violenza cresce.
Eh si ma in Inghilterra non ci sono barriere, non c’è violenza e tutti gli hooligans vanno in trasferta. All’estero.
La soluzione?
E’ alzare il culo, girare le palle e come negli spot portasoldi: prevenire.
Non far passare per primi i fiancheggiatori attorno al santo stadio e poi convincersi che uno sport dal sapore di sport può esistere.
Le telecamere riprendono dopo e l’educazione è la fonte a cui nessuno vuole bere.
La feccia va allo stadio perchè impunita, si sfoga come una grossa cagata fumogena nel cesso della cloaca della massa in maniera soddisfacente perchè sicura che nessuno la disturba.
In curva volano bestemmie e voglia di far male, ottimo luogo per la libido umana e per cercare un’uscita dalla repressione di un sistema feriale.
Ma non può essere una giustificazione: le tavole rotonde non servono più e le spranghe chissa come mai continuano a passare i finti controlli.
Smettiamo l’italietta e passiamo a fare quello che semplicemente bisogna applicare.
Niente più si dovrebbe: quel che non funziona è quello che già esiste, solo non si applica.
Politicanti, dirigenti ed amministratori vari: finite il teatrino e rimboccatevi le mani; pulito il deretano con le monete degli introiti tornate alla ragione e provate a trasformare lo sport in vera passione.
Porterò mio figlio allo stadio, ve lo scrivo firmato sulle vostre poltroncine di tribuna in grassetto araldico.
La cultura sportiva.
Prima ancora il rispetto dell’avversario.
Il tifo per e non contro.
Servono buoni e pazienti insegnanti, mani grosse e una nuova generazione.
Ma sapessi poi che soddisfazione.

apr 8, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Il vento.
Sfugge il vento.
al ciliegio scarno
alle foglie del vangelo.
al rosso vacuo.

Sfugge il vento
a scomporre il cielo
a sgranare i rosari
a livellare i capi.

Sfugge il vento
nel ricordo del freddo
per mutare la babele
e soffiare il verbo.

Sfugge il vento
a tuonare la gloria
a incutere rispetto
a squartare il tempio.

apr 2, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lolek.

Sgranato bianco, soffia ormai solo il viandante:
saluta posato l’attesa giunta dell’immacolata badante.
Acuto giostraio, sminuzzato dalla calca porporata:
tremule ginocchia già s’arroganzano in duplice fumata.
Grigia è la soglia, Magno il decoro:
s’arrenda l’ateo difronte all’Uomo,
l’illuso vegli al raglio dei corvi
i semi sparsi al lume dei suoi giorni.
mar 30, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Monogamo di sillabe.
Congiuntivi secchi che arraspano, null’altro.
La mia pancia tonda troneggia ad un’asta di distanza dal bancone sopra il quale un tempo scavalcavo gli avventori beffardo.
Ora sono unità di miglio distante da quel tempo: attonito, senza crespe e monogamo di sillabe.
Come un bell’esemplare purpureo e senza spine m’arrigiro dietro le sbarre che mi sono saldato e che ho persino smesso di rosicchiare, anche solo per rifarmi l’interdentale.
Ho smesso finanche di osservare e non vengo nemmeno più notato.
Sto mimetizzato fra i placidi rincorsi della solita gente verso il niente e le grida di chi incredibile ancora s’ammiraviglia non più del mio estro ma del buco latrinoso che uso al mio fianco in cambio del bagno.
Vorrei è il mio imperativo, scarno sostituto del fu creerò abbattuto da una quercia di firme incatenante.
Godo solo in percentuale, scorporandomi l’iva di quel che ho prodotto come lordo ed è magra consolazione, che passa via presto, come una puttana ad ore.
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