mar 21, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Solstizio.
Ho munto un’espressione da gelo.
Figura 12 del mio cartellone, accanto al buon nome della mia famiglia ad ore.
Non me ne vien su nessun altra dall’addome perciò ho deciso di rimanere assuefatto e statico nel mio migliore quadro artico.
La bella stagione è cacciatrice di rugiada oltre che precoce: da alcuni istinti mi danza sulla brina in cerca di uno sgurlo.
Ma io niente, assente.
Sarò albero in marmo, rifugio di picchi e cinciallegre.
Perforerò il futuro che mi attende una volta che avrò mosso almeno il ripieno dei miei capelli ai venti.
Ho una vibrazione che assomiglia all’ombra della rabbia ma purtroppo non ne possiedo il nervo e quando sbraito mi si alza sempre più spesso l’angolo del mio labbro destro.
Trachea ed esofago come contorno della mia saliva che deglutisce possente e si sente, specialmente quando mi sfiatano le narici in bolla che tento inevitabilmente di riattaccare con la colla.
Albume e tuorlo amalgano unici in Es: sgrassano il calcare della mia stessa periferia dal guscio crepata.
mar 4, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Come mai, com’è possibile?
Qui è strano,
come un centro d’accoglienza.
Lo spirito è benevolo, le premesse cariche di ogni spremuta di bene e le intenzioni sono delle migliori. Vestite a festa.
Purtroppo chissà come ancora avviene lo scontro.
Ci finisco dentro e non ne so il come.
Succede che arrivo ad un punto in meno dell’esplosione senza neanche rendermene conto e quanto mi si presentano le spese non capacito il perchè e resto irto in tensione.
Come mai, com’è possibile ritrovarmi a guardarmi i pollici e tutti gli altri compagni tesi?
Come mai, com’è possibile guardare il soffitto in attesa dello scoppio, sentire una vena pulsare nascosta sotto l’occhio e desiderare di afferrare qualcosa per scagliare?
Come mai, com’è possibile?
Quando è arrivata la tormenta io dov’ero?
L’ho scelta apposta la strada in direzione tempesta oppure ho fra le chiappe un masochismo latente?
Sfortuna in fortuna non ho memoria e benchè ancora adesso mi sforzo io non trovo una che sia una risposta.
Piuttosto mi sposto e raccolgo i cocci delle mie urla.
Fatto questo sembra quasi che io svenga ma non è vero, semplicemente è essere spolpo.
Tocco la latta umida che mi scherma: rimbomba.
Ticchetto zigrinato sono squarciato e imprigionato: dall’alto già ricomincio ad avere la mia razione di ragione e denso e calmo tra poco sarò di nuovo colmo.
Stringerò Caronte di nuovo la mia barca in bacchetta da rabdomante e me ne andrò avanti ancora a passo adelante diffidando delle ombre riflesse sulle acque.
feb 25, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Bisonte.
Piccolo scherzo di canzone Pulita.

Bisonte
era già gonfio come sbeffeggio di soprannome
nel chiamarlo pareva già uno scherzo
e benchè da bambini ci si sforzasse
il filtro della moralità finiva sempre nel cesso
senza nemmeno il bisogno d’abbassarne l’asse.

Cento i chili sopra i grassi polpacci
e davanti alla porta in difesa nella squadretta del paese
si muoveva statico come nella vita senza grosse pretese
colpa credo di certe ghiandole disfunzionali
sepolte dagli insulti stretti in ortepedia da lacci.

Gli angioletti del paese
finita la funzione
s’uscivano sul sagrato
coperto di neve
e stringendone le palle
lo miravano ragliando:

‘Arriva il bisonte
ciccione deforme
senti il fetore
chi lo tocca muore.’

e senza sforzo
centravano il bersaglio.

Bisonte
mai una reazione
spolverava via il bianco dal cappotto
si riassettava la sciarpa sul collo
e se ne andava ondeggiando
uscendo in silenzio
dalla parte opposta del lancio.

Le estati fine sessanta
erano promiscue dal fango ai fiori
sfuggivano da incensi, candelabri e noia
prostando in altre Marie l’adolescenza.

Lena andava verso l’agonia dei diciotto
con l’incoscienza bagnata da un boia.

La sera delle lanterne sopra il caldo
era San Rocco e a lei bastò un corpo.
Lo straniero veniva da fuori
era in paese per la festa
non l’aveva mai visto
e per questo gli piacque
non aveva legami, se ne stava in disparte
ma le colava addosso il suo sguardo
e quando lui la invitò
infrangendo la barriera delle sue amiche
lei non rinunciò al ballo
e quelle la guardarono inviperite.

Rude e tagliente
l’avvinghiò al tango
Lena avvertì qualcosa laggiù
nel bassoventre
s’eccitò
e pensando all’invidia a bordo pista
se lo strinse ancor di più
vita contro vita.

Lui la mirava con un filo di bava
strattonandola e trafugandola
come bigiotteria scarsa
ma alla portata
e visto l’estate
come se n’era andata
decise che ormai
non aveva niente più da giocarsi
e affondò con lei
fra le sue carni.

La pelle
sporcata di terra
e piegate le spighe
sotto la voglia.

Progetti in punta di coito,
un amplesso ad un passo dall’eccesso.
Lena stava per far sua la preda
in neri vestiti da notte penitente
quando scuotendo la chioma nel nulla lo vide
pensò è finita scrutando l’eclisse,
si bloccò di colpo in attesa del peggio.

Ed invece l’ombra negli occhi del gigante
non celava male o cattiva intenzione.
Durò in eterno quel secondo freddo
il suo sguardo sul suo seno stretto.
Poi si voltò da nemmeno un metro
e strisciò rompighiaccio nel grano.
Bisonte pacato
se ne andò ondeggiando
uscendo in silenzio
dalla parte opposta del campo.

Lena non volle sapere
quel che aveva da temere
sotto di lei senti un corpo freddo
ma non ne diede peso.
Lo ripose via dimenticato presto
si convinse d’aver visto un miraggio
scosse l’animale che aveva sotto il grembo
e gli chiese di riaccompagnarla in paese.

Lo straniero perplesso
fece uno strano gesto
Lena s’augurò che non impazzisse
che d’uomini non venuti ne conosceva:
erano tori da tagliarne i marroni
senza più connessioni
sragionavano come bestie feroci.

Ed invece quello
si curò più di non dar nell’occhio
guardandosi attorno
come uno che non si fidi dell’ombra
alla fine di una strada non nota
armaneggiò fra i calzoni
sputò apprensioni
e se ne diede.

Non si fece mai più vedere.

Durante l’ultimo anno di lezioni
Lena ripassava le righe meccanica
prossimi i rumori delle officine
e un salario in turni da prigioni
rassegnata posava testi e sfide
immergendo i suoi sogni in acido bagno.

Turnista in notturna sempre in fila
anche in mensa portava alla bocca
un miscuglio di sapori da officina
ed accanto al suo posto freddo
arrivò lui, l’anno dopo, d’inverno
versando il suo silenzio in brocca
e ricordandole quei tempi da ballerina.

Era modello di ingranaggio perfetto
timbrava perforava sudava timbrava
accompagnava la catena da almeno un metro
come insetto gigante nel suo regno
Bisonte al traino lui massacrava
aveva le mani come di cemento
e ci dava dentro
Diobono come ci dava dentro.

Gli bastò il primo giorno
per riavvolgere la catena
finito il turno vennero da lui in banda
e nello spogliatoio sudato in pezza
in quattro gli misero un sacchetto in testa
versandogli addosso dell’olio di rimessa
gli avvicinarono il calore di una fiamma
‘mangiamoci questa porchetta
vediamo se avrà ancora voglia
di menarla così di fretta’.

Quando se ne andarono
rimase solo là dentro
steso sul pavimento
come carne da macello.

Pianse sopra il quintale
si sentì male
poi si asciugò lacrime e fetore
e se ne andò ondeggiando
uscendo in silenzio
dalla parte opposta dell’agguato.

Al terzo giorno se ne accorse
non che non l’avesse vista prima
ma al terzo la riconobbe
col tempo del suo riflesso
prima capì
poi tornò al suo controllo
del quale peraltro aveva già
rallentato l’andamento
sollevò di nuovo il mento
l’arse per un istante di traverso
e rinunciò ad aprire il suo mondo
per osservare di nuovo il suo piccolo regno.

Lena già tremava
mentre impacchettava in fondo alla catena
le era bastato un attimo
ed il sangue aveva di nuovo gelato
chiese il cambio con una collega
e cercò di non averne a che fare
con quella bestia immorale.

Successe una sera
pioveva di cera
terminato il lavoro
Lena usciva come in pena
ad attenderla il bucato
e la cenera in sigaretta
sopra la tristezza
a ricordarle com’era stata bella.

Confusa nell’acqua
si avvicinò alla macchina
vide il suo riflesso smorto
in una pozzanghera d’olio
si fece forza aprì la portiera
e proprio in quell’istante
si accorse del gigante
dietro di lei alle spalle
l’aveva raggiunta senza un rumore
e la stava a fissare
come se fosse gìà li da ore.

L’istinto la fece per urlare
ma quello le mise una mano sulla bocca
enorme a chiuderle il fiato
ripensò di nuovo alla fine della vita
e si augurò che fosse rapida
indolore e pulita
chissà perchè
pulita.

Aspettandosi il nero
venirle meno
si lasciò andare
come offerta all’insensato altare
ma proprio mentre salutava il freddo
lui le tolse lento
il suo blocco dal mento
portandosi l’altra mano al corpo
dal nulla ne estrasse un foglio
posandolo sul sedile dietro
si voltò
e se ne andò ondeggiando
dalla parte opposto dell’auto.

Per la seconda volta
Lena era un passo che morta
solo dopo il suo nuovo battito
riprese coscienza
sulle guance e nella testa.
Risollevata
seguì l’impulso
afferrando il foglio
bocca di gatto col topo.

Era piegato
in quattro parti recluso
aperto
recava la data dell’anno passato
ed era pagina
del giornale locale
il giorno dopo
dell’agguato nel campo
quando Bisonte
le aveva tolto
per la prima volta il fiato.

Sotto lotte politiche
ed inframezzi secchi del tempo
c’era quasi nascosto un trafiletto
ma evidenziato da un tratto incerto:
Ammazzato finalmente quel delinquente
morto sparato e difeso disperato
accusato di furti stupro e scasso
dopo aver tentato in sevizia la settima donna
si diede alla fuga sul monte dietro al paese
ma infine raggiunto e braccato
dopo un assedio disperato
l’ultimo scontro a fuoco con un agente
lasciò il suo corpo dissanguato
disteso indifeso sul prato.

Seguiva la foto
ed i tratti sul viso del malvivente
erano carne che per Lena appariva ancor viva:
fra le sue unghie sotto le stelle
aveva danzato fra la morte e le sue voglie.

Di nuovo quel brivido freddo
ma per la prima volta cosciente
corse in cerca del bestione
certa d’aver confuso aggressore e protezione.

Passò in rassegna ogni muro e pietra
setacciò la locanda
scrutò ogni ciotolo in dedalo di via
ma di Bisonte nessuna traccia.

Rassegnata
si decise al ritorno verso casa
sola a notte inoltrata
ma ad un passo dalla luna
di colpo s’arrestò in mezzo al ponte
d’istinto seguita d’incongruenza:
spalancò la portiera
uscì di corsa verso la ringhiera
e disse quel nulla che già sapeva
quando vide
con quel grosso corpo teso
la corda giocare
ondeggiando in silenzio
dalla parte opposta del sangue.

feb 17, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Timbra e incolla.

Bigliettino da visita,
chi sei, cosa vuoi, chi ti ha incastrato e ora sei il cellulare che se chiamo che palle ancora questo cliente non mi risponde non rispondo farò finta di niente.
Poster, lontano dalla gioventù imbaglionata e molto molto presente al materiale da vendere.
Un tempo cantante, ora specchio di una professione latente.
Vetrina, passa il vecchietto e la bella f!*a.
Ops, che termine, farò sfracelli di audience prima del termine.
Ho la rotula cornea intasata di nulla, di belle parole sopra asterischi di gente ripiena d’aria che spero vada al cesso a sturarsi.
Oggi poca veramente poca fame, sto assorbendo nitrato di sodio e solfuri diffusi.
Se respiro muoio, se apneo almeno trattengo il mio personale embolo.
Tanto sono in circolo, firmo assegni circolari e bonifico.
Ufficialmente vivo in ufficio ma non è detto d’essere sostituito dal mio cartonato e presto.
Sorseggio un cenno d’assenso, portatemi via
me e il mio occhio pesto.

feb 10, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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E’ un anno già.

E’ un anno già.

Gli occhiali scuri
pesati sui dieci anni di una bimba;
in blu le rose nenie in nuda terra
e un ricamo fioriva i tarli del rovere.

Rilegato l’hanno lasciato in ultimo riposo
ma prima dell’ultimo taglio sul petto
l’anima n’è uscita e mi si è cucita addosso.

Sosteneva
di camminare sempre ritto
lo chiamavano Signore
in aggettivo Distinto
sapeva
di quell’inchiostro da me ora scritto
raccontava
d’allargare mani per raccoglierne sorrisi
su altri visi
ed il suo
fui io
l’ultimo ricordo che vide.

Nadit è la mancanza
da te celeste.

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