dic 3, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sgigolò.

Poi la domenica sera andavamo in balera. Solo se tenevi i cinque franchi ti facevano entrare. Ah gli svizzeri erano precisi per davvero, ghe n’era mia di bale. E si andava solo di domenica, caro mio, mica come adesso. Acqua di colonia e una mezz’oretta a piedi per arrivare al posto giusto.

.Chissà come puzzavi quando arrivavi.

Te belò, a quei tempi non ci si guardava mica a quelle cose lì, si era tutti così: signori con le brache di tela. Comunque te arrivavi lì ed entravi prima in ‘sto atrio che era sempre pieno di fumo e c’era uno, uno sempre alla moda, che se gli davi la mancia ( du sghei eh, pensa mia che ghe regalaè chisà cos’è) ti teneva il capotto per tutta la sera.

.Se lo metteva?

Ma no, tambor, ci guardava che nessuno se lo portava via.

.Perché succedeva?

Povero ol me martino, certo che capitava, ma solo fra rasse diverse. Gli italiani ci si rispettava gli uno con gli altri. Dignità, ragazzino, era la prima regola non scritta.

.E tè com’eri vestito?

Ah io ero un sgigolò, tutto a lucido: giaca e brillantina e via alla conquista. Dopo l’atrio entravi in ‘sto salone e il fumo spariva di colpo.

.E cosa c’era?

Ah poerì, c’era tutto il ben di dio che uno si aspettava: in fondo alla sala l’orchestra che suonava, quella vera, mica come adesso che vanno in discoteca e metton su quella finta. Alla parete di destra c’eran le sediole con noi uomini, una in parte all’altra. Si salutava gli amici e poi ci si sedeva sulla prima di quelle che erano libere e si guardava.

.Cosa?

Dall’altra parte, si guardava l’altra metà del cielo.

.Ma se era già notte! Cosa vedevi, le stelle?

Braò, prope i stele!

.Che stelle?

I fonnè, le donne! Alla parete di là stavano, chi da sole chi in gruppetto. Chele assieme alle altre ridevano sempre. A volte per me i fasia aposta a grignà, che non c’era motivo, ma facevano così perché volevano farsi guardare. Quelle da sole invece o erano troppo truccate, e l’irà mia cosa

.Perché? Non dovevano?

No eh, una ragazza truccata l’ea una, diciamo, trop semplice. Non sapeva di niente all’epoca, non era per me almeno. Poi invece c’erano quelle sole che non ridevano e che non erano truccate e che sembravano lì come se non c’entravano niente. Ecco, a me andavo da quelle.

.A fare?

Era l’usanza. Si attraversava la sala e si invitava la donna a ballare. Andavi da quella che ti piaceva, diciamo e gli dicevi ‘scusi signorina permette questa danza?’

.Ah ah… davvero dicevate così?

Certo ragazzo, era quel che si dice galanteria. Poi se lei accettava allora si andava in mezzo alla sala assieme e si ballava il liscio, il walzer, il tango.

.Eri bravo?

Me? S’ere el più brao, le facevo ballare tutte, non ne saltavo una. E dovevi vedere come le portavo.

.Dove le portavi?

Le portavo nel ballo, le prendevo e le facevo seguire i passi e si andava come una sola persona. Mica come adesso che nelle discoteche ci si muove senza neanche un po’ di grazia e da soli, uno per uno, o si finisce per fare tutte ste sconcerie. Ci si sfiorava appena. Allora era già tanto. Anche solo ardaga i tète era peccato. Po’, me al fasie alì stes. Ma comunque ragasso mio c’era la passione. Adesso non c’è più. Non si sa più neanche cos’è, la passione. Dormà, ades.

Spegneva la luce.

Io mi infilavo sotto le lenzuola, mi giravo dall’altra parte e mia nonna mi dava un bacio.

Lei aggiungeva ‘credega mia a tut chel chel di sol to nono, l’è ira gnà la metà de chel chel conta chel tambor’

Poi mi rigiravo ed era la volta della carezza del mio sgigolò preferito.

Dopo pochi istanti, in mezzo a loro, già sognavo.

Troppo ruvida era la coperta in cui mia madre mi avvolgeva quando, tornando silenziosa, mi riportava lontano nel posto giusto.

nov 23, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Tango

Bisogna rispondere al colpo, essere buoni incassatori.

Sentire la batosta e mandar giù il sangue che ti sale in gola.

Perché non tutte le mattine ti alzi col culo in carta da parati: ci sono giorni che la vita ti svernicia il deretano e le tue chiappe stanno al vento belle esposte assieme al tuo didietro.

Allora due soluzioni: puoi cercare un martello e schiacciarti ancora di più i maroni, cercare un molo ed immolarti senza soluzione oppure, come detto, rispondere al colpo.

Se non scegli mai, capiterà sempre che mai paghi.

Ma se incontri qualche curva sarà inevitabile che presto o tardi lascerai qualche pozza di vomito per le vertigini o l’ulcera o la colpa.

Io, a usmare bene, credo di aver tirato su un bel po’ di bocconi d’anima in sti giorni, ‘mo va là.

E sono ancora in giro fra bollette e sante banche, mancanze e mutamenti.

Mi capita sempre più di irrequietarmi notturno e orizzontale assieme al niente.

Il fisico funge e la testa elabora ma valla tu a spiegare l’insonnia, la sua assenza, il rimorso, le notti di veglia, il cellulare muto, gli sguardi impressi dentro, l’incertezza, il non sapere cosa succederà sotto ai denti domani, i figli di puttana, chi viene a sapere e dal nulla ti richiama, gli sbagli per dimenticanza o per dimenticare, le costruzioni mentali in eccesso, la visione ravvicinata della tua tazza del cesso, la televisione accesa sui occhi che non la guardano, la stessa pagina del libro riletta eterna e abbandonata sul comodino, la continua ricerca di almeno una cosa che ti dia sicurezza, la voglia improvvisa di pranzare dai tuoi genitori, la riscoperta della mancanza della sua carezza, giocata e persa.

Alla mia testa di cazzo, a quello che odio di me e quello che pur sapendo ancora sbaglio.

Prosit.

Succede di sentirmi un piccolo pirla di fronte all’immensità di puttanate da meraviglia che combino.

Formato gigante, proprio come adesso, che attraverso giorni di attesa aspettando giudizi d’altri su vita mia e allora oltre a tutto questo c’è che sudo notturno.

Prima che venga notte l’ansia mi assale e comincio a fare l’animale.

Sudo, ho paura: di tutto e di niente.

Ingigantisco gli scarafaggi e penso all’Inps, all’affitto e alle insegne da esporre sopra un cartello che ancora non mi appartiene.

Non possiedo nulla, nemmeno i miei sbagli e mi riavvolgo nel tentativo di capire come non rifarli.

Risultato: mi sfracco la testa fra rimorsi e vuoti di essenza.

Comprendo benissimo il mio lato oscuro e realizzo che sicuro ma guarda che coglione sono stato e certo riguardati come mi sono comportato.

Nel frattempo ammetto che rifarei esattamente lo stesso.

Insomma da me che vorrei io non esco.

Ah si poi anche addirittura vorrei ringraziare chi mi è stato accanto e chi mi ha dato tanto ed in questo slancio da mortificazione mi sento ancora più solo e mi rannicchio e faccio che mi guardo dal di fuori e mi vedo far finta di niente con la gente o peggio ancora fare con chi non dovrei l’indifferente.

Poi mi accorgo delle parole che avrei potuto, dei gesti che non ho mai e che e di come inevitabilmente faccio sempre ed indistintamente tutto il contrario che invece dovrei.

Al fine scrivo, come per rimettere in sesto il tiro.

Ma so già che smesso di buttar su tasti dovrò ritornare ad inquietarmi.

Pensieri ciclopi e predisposto a nuovi fori.
nov 16, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Per sempre vostro.

T’avessi sbilanciato con un nome

avrei disincantato un cauto timore:

sarei vissuto di certo più muto

con alle spalle un gusto più sicuro.

Invece sei sgusciata via svelta

dai lembi in carne alla mia testa:

infiltrata sporca in ogni pensiero

stanarti ora è squarciare un velo.

Cera d’ali tra le mani

perso in piani strani

pago il mio domani

in un gioco da villani.

Astuta stretta stringo la mia presa

in una patetica sola messa in scena:

strucco il calendario senza spiegazione

dito sulle labbra cancello il tuo sapore.

Non c’è modo rimango nel mio brodo

dove inzupparmi l’anima al suolo:

resto qui a farmi nero d’inchiostro

mai più tuo e per sempre vostro.

Cera d’ali tra le mani

perso in piani strani

pago il mio domani

in un gioco da villani.

nov 11, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Nel mezzo, si dice, c’è il vero.


Ah poi,

arriva il giorno che non ti accorgi perchè ti si è presentato come tutti gli altri.

Neanche eccezionale: una luce banale, acqua nelle scale e giù dal cielo e un freddo adatto alla stagione.

Le foglie per terra, i colori sbiaditi nella melma: insomma un infrasettimanale latente.

Quasi di sfuggita firmi le carte che ti cambieranno od inchioderanno la vita, controlli che il tuo conto non sfiori il rosso e lo Stato maiuscolo in persona ti ricerca per ricordarti che un giorno le tue rughe avranno l’idratante scarso ad alleviarle o la vaselina odierna in banconote da versare.

Verso il tardo pomeriggio un assurdo messaggio digitale ti pervade di quelle sensazioni che troppe parole ultimamente rassegnate e distorte avevano solo che coperto o ritardato.

E ti scopri, fra sollievo e triste indifferenza, ad essere febbricitante sotto l’influenza senza più la parola Amore sul cuscino accanto.

Sarà vero che la ripartenza ti coglie a metà del percorso e persino più volte in un giro unico di vita.

Ma com’è che ogni volta che ti succede non è mai nel momento che attendi?

E perchè i radicali del cambiamento fanno di un male rigenerato bastardo che ogni volta dimentichi e a reindossarlo è uno spezzare d’ali?
nov 10, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sostengono fra perseveranza e abbondanza.


Sostengono fra perseveranza e abbondanza
Che la vita ti succede precedendoti con passo discreto, osservandoti.
Che devi costruirti un perché da dare ogni giorno alla tua esistenza affinché tu possa capirne almeno un briciolo al termine di essa.

Che è lecito indirizzarsi, scegliersi un campo e per ottenerlo
studiare per sudarlo
e
difenderlo per coltivarlo.

Che più sarà solido il recinto a difesa di esso e più saprai essere integerrimo.

Che dovrai altalenarti fra emozioni e indecisioni per modellarti e saldare i tuoi capisaldi.
Che non si ottiene nessuna gloria senza l’insistenza di averne sempre voglia.
Che sarai quello che sei.
Che senza trovarti non parti.
Che la tua crescita non è l’arrivo.

Poi il disonore
di un’ amore
allevia
l’illusione.
Pagine:«1...79808182838485...110»