apr 26, 2003 - Senza cicatrici    No Comments

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Francis il mulo parlante.

Ho una libreria. Nel senso di mobile.
Tenuta più o meno male, con parallelepipedi cartacei ammassati senza ordine logico, a volte ammucchiati, spesso sparpagliati.
Se ti ci metti d’impegno puoi perfino scovare qualche fumetto nascosto fra un’ edizione economica di quelle allegate a Repubblica e I Grandi classici del Novecento comprati solo perchè un rettangolo lungo e scuro copriva meglio la macchia di umidità alle spalle della sapienza dormiente.
A differenza di Palomar tratto i libri a mo’ di particole sacre: nessuna orecchietta ad infranger il virgineo amplesso mentale.
Nemmeno i Feltrinelli economici-tascabili-ci leggi solo se di contorno alla carta igienica ho osato deturpare.
Forse poichè memore rispettoso di padre e madre che chiamavano con l’appellativo libro una rivista più alta di un centimetro, foss’anche l’elenco telefonico.
…Passami il libro del telefoni che chiamo la zia…
Ad ogni modo io ho sempre una libreria. Sempre intesa come mobile.
E’ importante ripeterlo, soprattutto a me stesso. Aiuta, dicono, a riprendersi da shock violenti e inaspettati.
Traballante, ripiena come uno strudel di parole più o meno buone, fagocitante di cultura autodidatta ma pur sempre disponibile, meretrice dotta che si apre all’occorrenza per infilarci l’ennesimo filosofico acquisto.
Ora guardacaso ieri ho fatto questo gesto consueto di trasformare euri in pagine e sono uscito dalla mia libreria preferita.
Il negozio, si intende.
Dieci euro. Traducete con me. Quasi ventimilalire. Aggiungo la pietosa immagine da piccolo fiammiferaio con questo TAG IMG nella vostra testa in cui si vede il piccolo Michelino che rinuncia al dacci oggi il pane quotidiano per barattarlo in cibo per la mente. Sant’uomo.
Forse sarà stata la fame, forse il bisogno di zuccheri, forse il mio sguardo all’atto di riporlo.
Fatto sta che dopo aver letto questo coso la sera sono arrivato a casa e d’ impulsiva abitudine ho provato ad incastrarlo fra i suoi credevo amici parenti libri.
Mi è capitato alcune volte, son sincero, di non riuscirci al primo colpo, specie con autori fintosaccenti e blablabla inutili.
Ma, essendomi laureato in Tetris avanzato e avendo frequentato anche un master di Ravensburger riuscivo sempre a trovar il pertugio insperato anche con i più restii all’apprensione.
Questa volta no.
Ma non è che tipo c’ho provato e lei, lo scrigno impolverato del mio sapere, si è semplicemente rifiutata.
Me l’ha proprio risputato, rigettato in faccia.
E ci son rimasto anche male.
L’ho raccolto, ho fatto finta di uscire dalla stanza e poi l’ho reinfilato a tradimento.
Ma niente: il rigetto è stato ancora più traumatico ed il libro mi ha preso in piena fronte.
Risvegliato da un torpore da randellata ho ripreso fiducia solo dopo qualche minuto: mi son nascosto dietro al divano e l’ho lanciato con mossa da esperto granatiere verso il ripiano più alto.
Niente da fare: il solo risultato ottenuto è stato un rollio pauroso dell’ intera struttura e la solita risposta inferocita al mittente.
L’ultimo insuccesso è stato un compassionevole avvicinamento con tanto di bandiera bianca ed un tentativo di utilizzo del libro come sostituto di una delle gambe del vomitante.
Alla fine abbiamo desistito di comune accordo, io e la cultura.
Ora giace immobile accanto alla cesta dei panni sporchi, apparentemente innocuo.
Se qualcuno, amante del brivido e indifferente difronte alle storie di vita vera, volesse tentare comunque di collocarlo all’ interno di un sensato riferimento al mondo dei blog io, questo Diario di una blogger di Francesca Mazzucato, lo regalo.
E quando un gesto è fatto col cuore…

L’ingenuità.
Di creder che non sia così mondoblogger.
Di esser sicuro di viverlo diverso.
Di buttar giù due righe perchè è solo perchè in fondo c’avevo voglia.
Di risponder a commenti perchè mi vien naturale.
Di dire grazie ai complimenti, d’allungar una mano perchè è un gesto che parte del di dentro alle vene.
D’incazzarmi agli sfottò perchè nei polpastrelli che digitano ci passa il sangue.
Di scambiarmi la mente con gente che ne sa, che non ne sa, che vorrebbe sapere e non lo sa.
Di non aver duplici intenzioni, motivazioni, retrospettive da gratificare.
Di esser infondo quel che si è, quel che siamo anche al di fuori del quadro pixxellato.
D’esser sicuro che in fondo di bella gente noi ne siamo tanta.

Così mi scusi casomai
rotolasse di qui Francesca
ma il mio leggere della sua visione
m’ha tolto il fiato d’un colpo
e arrivato in fondo
ho apprezzato la cornice
intarsiata cesellata con mano esperta
ma la sua vernice ancora fresca
per me
ha sbavato sulla tela.

Se hai due ciacole senza spese poggiale sotto nel bianco.