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dic 4, 2024 - Senza cicatrici    Dicevi?

Carezza

Restar di cobalto
per un gesto improvviso,
un punto e virgola inatteso,
un racconto nella cesta,
un pensiero che attraversa,
ti sorprende e resta:
ferma il sorriso
che il tocco è un attimo
quando dopo un disastro
una carezza solleva
e ti regala un battito.

ago 22, 2024 - Senza cicatrici    Dicevi?

Illusione

Indossarsi di resa sincerità,
riderne pronunciando i sensi:
mai troppo, sempre abbastanza,
spalla, battito e prospettiva.

Rete per le cadute,
aria per respirare,
casa al mare dopo un temporale.

lug 28, 2024 - Calamai, Polaroid, Senza cicatrici    Dicevi?

Celeste

Fuori va Celeste,
sbircia poi esce:
l’attende un verde
da balzi e tende.

Canta ma cresce,
bacia le stelle
e quel che sente
non si compra
né si vende.

Si conta lentiggini

Un bicchiere di mare,
due soldi di pelle scalza,
tre parole sussurrate all’alba.

Balliamo mentre mi ricordo
dove ride di casa il tuo volto:
‘resta’ fino alla fine del mondo.

In punta di piedi
tra tegole e gatti
distesi al cielo
si conta lentiggini
unendo punte
di stelle e nasi.

feb 26, 2023 - Calamai, Senza cicatrici    Dicevi?

Bordo

Sopra gli assi,
soli davanti ai fanti,
accecati, inginocchiati
niente rumore,
quel sapore di tremore,
il silenzio, l’orrore
il vuoto
poi
il bagliore
il respiro
di chi ti è vicino
il rosso del naso
tuo miglior alleato
e il giocarsi
corpo di Stanlio
dipinto sui muri
tatuato su ogni passo
inchiostrato a fine giro
di un tragitto destino
trafitto dal sorriso.

set 22, 2022 - Senza cicatrici    Dicevi?

Ripreso

Alla lunga
really really
ci si è sbirciati,
sforbiciati di hallelujah
ricompensati di economiche carezze
soppesati incompresi
con accenti estremi
e poi
inevitabilmente
inchinati alla luce
del primo accorgersi
e dell’ultimo arrendersi
al primo sole
ripreso oltre le sbarre.

giu 11, 2021 - Polaroid, Senza cicatrici    Dicevi?

Polvere

S’alza scuotendo un’idea:
vacilla, osteggia e scartabella
in cerca di un baricentro ossequioso
o di un arrocco che lo raccolga.

Si ferma senza senso
al centro di un proverbio
richiamando con un gesto
un attimo del passato se stesso
poi si rimette scarno al passo
diligente alla promessa.

Chissà che si disse
fra il vento e la polvere.

mag 11, 2021 - Senza cicatrici    Dicevi?

Pergola

Vociando tra le bolle,
tra briciole, fastidi e sopraccigli,
mi adeguo al concerto di una situazione
che al potersi sarebbe d’abbandono
ma mancando l’ultima portata
resto sospeso nell’attesa
di un dolce o di una cantilena.

lug 26, 2020 - Calamai, Polaroid, Senza cicatrici    Dicevi?

Alloro

Frinir del resto
com’avessi un dato tempo
scansando il dispendio
dell’andata disperso
brilla d’alloro
stringe il sangue
e della sera piange.

Sgocciola un tepore
lontano dal porsi
eccentrico al porgersi
eppure refuso ed onesto
propenso al ballo
e per un volgersi
specchio d’orgoglio.

giu 6, 2020 - Senza cicatrici    Dicevi?

Tebaldo

Tebaldo
ignaro codardo
al lume rimetti gli stenti
in sponde ai fumi allevi piaceri
odierno ti bevi il ricordo di ieri.

Tebaldo
bando al tuo glabro sarcasmo
affonda financo l’estrema tua razio
distrai da maestro le pulci sottobanco
roteando pacato gli alluci scoperti
verso un tetto di abbracci inerti.

Tebaldo
gran padre di bastardo
alla cima stringevi e razziavi
guaendo contante in posa al dazio
brandivi distratto piume al barlume
toccando le vite in stelle sparute.

giu 20, 2019 - Polaroid, Senza cicatrici    Dicevi?

Piode

Rivoli
spaventi
foglie sparute
ciotoli al fresco
attento
senza bordo
senza fiotto
senza fianchi attenti
attendo
al fruscio del ruscello
alle prede
alle piode
al giro del vento
ora esco.

gen 16, 2019 - Senza cicatrici    Dicevi?

Sebbene

Alle persone
che squarciano:
t’aprono d’urla
e nel nulla scompaiono.

Arse presunte,
falci per vene
miele che tace
male per fede.

Traèrs

Erba che neve del greve
guarda là per le valli
al fieno che le donne rivolta
c’è un cielo a cappello
e un fiore di quel che si sente
senza una valigia che conti
l’esser mica tanto in bolla
vicino al torrente
perduto nel canto dei larici
lasciarsi all’ondeggio
sopra il vento di malga
e vuotarsi il pane d’anima
col salto più alto del guado
mai più lontano del fumo.

lug 11, 2018 - Polaroid, Senza cicatrici    Dicevi?

Zaffiro

La mia dolce meta
lei s’adombra e scuote
non è un fiore di seta
pura di montagna
e tremante al ballo d’aria.

La mia dolce meta
balla che fa ragamuffin
e l’acqua del temporale
se la beve tutta insieme
che nulla lei teme.

La mia dolce meta
fra spina e giro di basso
non lascia mai la mia mano
onda e battito
polvere e zaffiro.

La mia dolce meta
milonga sul lungomare
sfiora la mia umanità
posa la spesa
e sfiora le stelle.

apr 23, 2018 - Polaroid, Senza cicatrici    Dicevi?

Sorridenti nascosti

Da qualche parte attorno al paradiso
c’è una corda di clavicembalo
adagiata ad un pressapochismo di liuto
che tenta sovversivamente un accordo fuori tempo
tuttavia rischia e saluta
qualsivoglia sia il tuo credo
e questa sorta di stridio inumano
racconta un tentativo di vita
passata a reincollare cocci,
a giungere sorridenti nascosti
rifiatando spesso ed inutilmente.

Stringiamoci adesso
che l’aria è un vezzo
posato nel darsi
e grato ai passanti.

dic 22, 2017 - Senza cicatrici    Dicevi?

Tra carruggi, soldati e superstrade

Neve che piove
sul bacio di una danza sul prato
mentre risento il tuo bacio sul mento
più umano di questo non ho ricordo
senza più tocchi sui palmi
lasciarsi coccolare da orbite interstellari
ogni alba imparo il gioco
ogni notte disfo il filo
buon anno a noi
insieme si può allontanarsi
respirando le stesse schiene
in speranze da lingue straniere
scritte su coriandoli mistici
e sorrisi magnetici
magie rugose
rintocchi ipnotici
desideri ascetici
e voglie tangibili
buon anno a noi
in cerca del tesoro
tra navi cargo e naufragi
qui si salpa sempre controcorrente
verso isole al sole
e respiri bastanti
avanti
tra carruggi, soldati e superstrade
con il tuo respiro in mente
fra vite deserte e sirene senza tasche
la felicità
è un resto del mio dare
che mi toglie nuvole
spazza il vento
puzza di asfalto, profuma di un battito
ammicca ai germogli, pizzica il sitar,
ascolta gli stupa e canta nei cori di montagna
senza fretta
con passo garbato, fiore all’occhiello
e quel passo leggero
che vive disorientato,
stralunato dai pessimisti
e scalzo sul lungomare
mentre tu da lontano
hai già sentito il mio sorriso.

set 22, 2017 - Mangianastri, Senza cicatrici    Dicevi?

Dai su

Dai su
col pieno di orbite in occhi rotti
e buone fortune a consuetudini
che dicevi
dai su
lascia stare
questa camera è buia oltre lo spettacolo
m’accorgo solo ora del carillon
c’è il bisogno di una doccia di fiori
dai su.

La fine del castagno

Un secondo d’uomo:
bastante al percorso
cencioso all’incompreso,
difetto al sapor del poco spavento.

Zucchero d’amor perduto
imitazione di un popcorn scaduto
lampo intuito lontano
re degli astanti silenti
angolo della sfera
migliore dei migliori increduli
giovincello in attesa del fuoco
assaggio di una sveglia già suonata
nessuno vuol vederti luccicare.

Un’altro anno va a dormire
la Fender attende ancora il suo sol
Cinecittà sta smantellando i suoi perchè
e la tua ragione si sta svalutando
il cielo mi chiede se son vivo
fa il bischero con le mie vene
che gli dovevo un abbaglio di pazzia.

ago 30, 2016 - Senza cicatrici    Dicevi?

Crepa

Spalanca, inghiotte
senza santi né bambini:
buoni tutti, sassi e cari,
basta mordere e fuggire,
senza faccia né più fine.

Il più bastardo degli amici,
ombra attenta sotto il letto:
fotte e fugge, fugge e fotte
e alla fine del mandato
fedele servo della notte
sorride e si nasconde.

Crepa.

lug 25, 2016 - Polaroid, Senza cicatrici    Dicevi?

Senza fine e senza ombra

Spunteggiami sti batuffoli di quieto stare,
mordaci eloquenze di magnanimi e poderosi tonfi istrionici,
che si racconta senza pane se non puoi arrivare,
lasciar stare?
Pagare dogane e caldi ricambi
per un inverno al germoglio?
No, grazie.
Ma quello aveva il naso adunco,
uncinato alla rima
ma mai bugiardo, solo scambiato per poco dazio.
Sognava,
d’amore amava come s’ama senza amore
e viveva per altri
perchè d’altri si è.
Fidarsi,
è un pegno che ha rincorsa
senza fine e senza ombra.

gen 16, 2016 - Senza cicatrici    Dicevi?

Fino al primo altro quando

Togliti tutte le forze,
scordati del nome del fiore,
tutto ha una breve domanda
per altre curve risposte
in quest’onda lieve che teme
le nostre orme oltre luce
ed i nostri sogni di fede
fra le stelle e l’argilla
in capanne arse di cemento
devote a spicchi di spigoli
rancorosi al passaggio fra note
pratici per evitare i battiti
sciolti in altre lacrime
nei ferri ai piedi del futuro.
 

intarsi

 

Andarsene senza il pegno
d’un libretto di istruzioni
per comprendere incroci e ragioni
dipanare le costellazioni
mentre il resto degli altri
ti stecca con occhi grandi
oltre chi attende un pieno di balli
mentre danzo sul ciglio delle piume
solletico le bende cadute agli angeli
tra il pane quotidiano ed i calli
stringo mani e condivido fiati
accordo il piano con riverberi celesti
rendendo felici le chiome degli alberi
e strappando un sorriso nomade ai burberi
mi sento più qui
dentro la favola
di un’esistenza infinita
che riempie l’anima
fino all’ultima goccia negli occhi
c’è posto per tutti
c’è posto per tutto
fino al primo altro quando.

dic 24, 2015 - Senza cicatrici    Dicevi?

25.40

Al cappello dell’Ubione
l’affanno si quieta e lascia il perdono
ad uno sguardo d’abbraccio:
la costa del Palio traccia un equilibrio
disperso fra nebbia, rauco ghiaccio e cielo curioso.

Ser Resegone svuota il calco in uno sbuffo soave
e l’anello cinge la Valle d’un soffice risveglio.
Manca solo la prima ombra broncia del sole
a solleticar le conche e spaventare i sonnambuli.

Qui, ora e sempre
tutto se ne va, torna dal buio e s’infrange
plaudente oltre l’essenza che chiama e il tuo essere
mentre scricchiolano le prime ore
le mie orme si muovono ritrovandosi.

Quante battaglie han spronato questi borghi
quante urla d’anime candide
e quante movenze a rincorrer le stelle.

Qui, ora e sempre
lo sfondo delle foglie raccoglie le cadenze
attento a cosa raccontano gli sbuffi dei fiati
e riesci a sentirti parte del perdersi
vagito ubriaco umile
e parziale dinamica dei quaranta gradi.

nov 20, 2015 - Senza cicatrici    Dicevi?

L’attesa

Di quel che mi resta
prima del nome sull’inchiostro
stringo poco e di quei frammenti
tendo ma non torno.

ouw

Perciò di quel che sei
adesso hai difronte tutto un sarai
porta stretto nello zaino
per quando ti saluterò e mi racconterai
il mio non afferrarti al solfeggio delle scale
l’accenderti luce alle stelle
il conteggio storto dei bottoni del grembiule
le nostre colazioni da baffi tinti latte
il tuo starci tutto in abbraccio
l’attesa di racconto nostro al pulmino
le torri a cubetti che fan piccolo il cielo
i miei sbagli sempre pagati al tardi
il tuo cantare la gioia per purezza
il mio guardarti che non t’accorgi
il tuo respiro sul mio stesso cuscino
la vita che porta il tuo nome
il sentirti sempre vicino.

ago 3, 2015 - Senza cicatrici    Dicevi?

Dall’uno al sessantasette.

Una virata di gabbiano
tra due fianchi di prue
il nulla la dov’era
lacerata è la vela
in questa attesa della festa.

Unire i puntini,
scardinando le gerarchie
senza consigli
unire i puntini,
fra strade di polvere d’acqua
e lacrime senza uscita
unire i puntini
vincere la costellazione migliore
semplicemente incatenarsi al mondo.

Unire i puntini
dando inzio ad un nuovo disegno
con un accordo tonico al sottofondo
e capire che il tutto era già
il condizionale un peccatore,
l’andato non avrà mai un nome sarà
e la realtà decisamente migliore.

 

feb 4, 2015 - Senza cicatrici    Dicevi?

Yana

Quando sarete quel che vorrete
distanti da stelle e punti dagli astri
rivorrete il destino e i vostro sbagli
senza contar più lacrime di miele
vi ritrarrete difronte agli specchi

lievi vascelli sospinti da sguardi
un solo sorriso sguainato tagliente
con voce bucata dal taglio dei resti
e una fiducia alquanto insolente
arsa sovente da labbra distanti.

nov 6, 2014 - Senza cicatrici    Dicevi?

Per quel che costa

Appuntando le scie delle nuvole
mi determino inutile fisso
penso al ritorno e al desiderio
aggrovigliando i colori
sbucciando i profumi
mi perdo, un fesso.

Formiche d’arazzo
sparpagliate disturbate
dov’è che andate?

Sul banchetto dei fiori
passato il vento
resta un narciso circospetto
che spettegola un pianto
baciando se stesso.

T’ho perso gli occhi
sotto al bicchiere
del mio antro lunare
ora che posso sentire
di notte l’ombra
ed il rumore che porta
mi affanno alla sedia
e pago la vita
per quel che costa.

ott 8, 2014 - Senza cicatrici    Dicevi?

Cerca che ti passa

Stai qui i tuoi anni
che non son niente:
sei massa,
sei briciola,
sei corpo
che cade latente.

Che ti affanni?
Che misteri
in quel neurone
che ti ritrovi.

Sei peso portante
in gravità assoluta,
sei senza spiegazione,
sei essere
perchè ti ritieni di esserlo
ma non è detto.

E se lo credi
non hai idea del fonema,
la tua stessa essenza
non è comprensibile.

Non sai,
l’universo non ha tempo:
più dell’immenso
bruci l’incenso.

Chi te lo fa fare di crederti,
chi ti disegna centro di un passaggio?
Probabilmente tu sei anche me
ed io son mio avo,
arsenico e concetto.

Alla fine
accettiamo le regole fisiche
per non impazzire,
perchè sappiamo
che prima di quell’oltre
la valvola ci blocca con la sicura,
perchè il grande perchè
non ti risponde
ma ti mantiene diverso,
attento e valutante,
assente e sollevato
rispetto al costo del denaro
o al litigio del tuo vicino
perchè hai capito
di non aver ancora capito.

Cerca,
che ti passa.

lug 24, 2014 - Mangianastri, Senza cicatrici    Dicevi?

Al piöf

Occhi da sole
dove arrivate?
La tua soddisfazione
passa per tv, magazine e selfie sfuocati.
Bella giacca d’un viola violento,
ottimi i polsini ed i risvolti metodici.

Com’è il tuo star li dentro?
Perchè mi tenta il nervo,
mi suda il plesso
mi scortica l’angusto.
Possibile?
Che t’abbai, che tanto
sempre là rimane il satellite.

Qualche anno fa
m’avrei avvolto d’altro corso
ma ora
infeltrito
no dai
gessato
a che serve
speechless
veramente
m’orso ballerino
basta la quiete.

giu 16, 2014 - Senza cicatrici    Dicevi?

Bosso

Maregiralaruota
mi richiami
ma che sai
fai che poi
ogn’unto di terra
debbo bastare
senza onda
senza scuffia
sotto la calda cialda
del cielo che non traballa
la stessa stretta
che bramo poi breccia
non mi tentare
se rischio del monte l’oltre
è pur questo il mio fazzoletto
dove asciugarmi lieve
ferite di placide delizie
dove poter bagnarmi protetto
dove specchiarsi d’intagli
nel tuo crescere svelto:
io qui resto senza fermo.

mag 20, 2014 - Senza cicatrici    Dicevi?

Arlechin Batocio

Son stuf de scrif
tanto al mi gala a gnente:
sensa palanche sensa speranse
faticoso de fastidio al buco de tasche
mia oia ansi speto che spento al passi.

Invece
mi piego al ruscello
che se n’esce domatore
intrattenibile essenza
incorreggibile esistenza.

Mesce di cura
pasce i miei insonni
tela i miei sogni
cheta gli specchi.

Onesti bellimbusti
ruvidi ai conteggi
avidi infiltri
tra chiostri e disegni:
pece nelle vene
le mie rime crepe.

apr 15, 2014 - Senza cicatrici    Dicevi?

Un appoggio sul do minore

Ah come sfrigola questo raccordo
sto male d’un breviario caldo
interpretato senza convinzione
senza lo slancio del profumo al traguardo.

E le direzioni?
Casa mia, le mie braccia, la stessa aria.
Passerà il rodeo dell’involuzione
sul tetto osserverò le gazze
e darò loro la mancia
in cambio del brivido asciutto.

Rimarrà? Che spreco, che fatica, che bel credo.
Un diverso modo di passeggiare
un brutto bel fiore
un appoggio sul do minore.

mar 19, 2014 - Senza cicatrici    Dicevi?

Chiringuito

In Grazia al limitare del primo movimento
senza cravatte, tabacchi o parole sagge.
Non che ci sia di molto mai curati addosso:
mi basta l’ombra che ancora ricordo.
Non è un soldo, o un lavoro ma un modo:
il tuo è quello giusto.

Fiuta i tormenti, lasciali nel cassetto.
Son di tutti: anche del tuo essere primo.
Ogni risveglio omaggia il segno del tuo vero:
per quella voglia che poi – fidati – torna,
per il sorriso nel seme del seme
che è il tuo vivere lieve.

Pigliati quel chiringuito:
che le rughe han bisogno del sale
per soffiare ai fiordi la nebbia
per rinascere in colline d’attesa
per cantare il tuo ritrovato mare.

feb 12, 2014 - Senza cicatrici    Dicevi?

Son dieci anni. Già

Le tue camicie,
il tuo profumo,
il tuo pettine,
il tuo fazzoletto,
la tua altezza.

La tua camminata.

Il tuo orto,
la tua valle,
il tuo bastone,
la tua Madonnina.

La tua catenina.

Le tue mani,
il tuo canto,
il tuo mondo,
il tuo dono.

La tua famiglia.

Il tuo ferro,
il tuo futuro,
i tuoi valori,
la tua casa.

La mia famiglia,
la mia catenina,
la mia camminata.

gen 21, 2014 - Senza cicatrici    Dicevi?

Battery Park

Non ho combinato un granchè lo ammetto
a causa di questo libretto sordo
più che costruito ho ammirato
l’alzarsi solenne del tulipano
o il rosa timido dei portoni al tramonto
col fumo d’altri sulla giacca
ed una voce di polvere andante.

Curvo e sdentato mi resta il concedo del fosforo ai posteri.

Un musico lo vorrei or più che mai
che sento stanca la metrica e mai le note
dottore lei ha una parcella simpatica
ma io non levo la ruggine da queste rotule
e conti alla mano mi conosce:
io rido in silenzio ormai troppo.

La luna piglia un nascondersi e la mia nave è già tua.

Ti dissi di sassi e mari
come ostenti quello a cui non credi
mentre l’aria ti ascolta e t’abbraccia
qui non sei lontana da nulla e per nulla sconfitta
ci sarà sempre un mezzo bicchiere
ed un biglietto per andare e credersi tutto
con i binari sempre incrociati
fra dadi e i nostri giochi di scacchi.

dic 25, 2013 - Senza cicatrici    Dicevi?

Miele Selvatico

Ciao,
un’esca molesta la punta del mio siero.
Torno indietro ma non trovo nulla,
solo una fotografia del mio buon pensiero.
Sono certo che quest’anno sarà pagato,
e tutta questa attesa finalmente capirà.
Non c’è motivo per raccontarsela con altri sguardi
o nel tirar le coperte al cielo:
con silenzio e parole in balletto
ogni strada avrà il suo ricordo.

Vieni,
quell’intruso dentro al non detto
sarà svincolato dal contratto
e la risata svelerà la combinazione
rinascerà d’un giorno perfetto:
sopra una panchina di un parco,
danzando assieme a te,
afferrandoci forte,
tenendogli la mano.

La musica,
note tra passi e neve
raccoglierà il filo, avvolgerà il destino,
guiderà i passi finchè s’arroccherà la voce
e farà male, e farà bene,
splenderà del suo raccolto tributo,
sfamerà e racconterà
finalmente la sua alba scalza
pronta a scaldare
quel che non si può fiatare.

Tu
dormi, che passa,
regna di sogni che restano
e sarà un buon risveglio:
per un mio attimo
rallenterò il tuo battito
profumati di miele selvatico.

set 21, 2013 - Senza cicatrici    Dicevi?

Geyser

Quinquennio fra me e il mio pitch
robe di una certa grafica scenica
molto più di una semplice ugola punta d’acuto
c’è tutto un discorso d’avvenire
che si morde la lanuggine delle mie poche banconote.

Spaventerò quieto dalla felicità
al primo venir meno del fiato brusco
mi godrò la tempesta
essa stessa mia essenza
senza fesa nè sirena
ma guardia della mia preda
che dentro tace
e tutto annega.

giu 25, 2013 - Calamai, Senza cicatrici    Dicevi?

Mechanè

Ambrata per controluce
spaventata dall’ellittica considerazione di se stessa.

Pliè
sei attente strade per osservare tutto il pubblico
aspetta un secondo,
alleggerisco l’indice verso l’alto
arrivo subito
riesci a vedere la luce
oltre il ferro battuto
sfuoca la notte
s’arrende al gioco delle stelle.

Ah
il nostro diastema da canini
ci morde e ci nutre
rotola sopra la moquette
consacrandosi sotto le guglie
a spalle nude
al bagno dei capelli
pittato nel cerchio
tempestato di sole.

Corri
sfruscia l’erba
ribolle il tuffo
s’avvolge l’ombra
ruota la stanza
cade il velo
si vola.

mar 28, 2013 - Senza cicatrici    Dicevi?

Boröle

Commediante commediante
col tuo bel lacchè
e la toppa sul bacucco
ballami di samba
povera gioia
che se starnuti
ti si leva la cera.

Mio bel sultano
pagami di swing
il mio servizio notevole
robusto e preciso
all’incrocio delle brugole
che la secchezza di corde
produce crini incrinati
di notevole caratura
e supportanzievole peso.

Stop, hey, what’s that sound
fermes u moment
palindroma sai di ragione anche tu
che a faticar e mattoni
siamo a posto
tra un bricco e un rimbocco
cosa voglio di più?

Conformismo
e pressione bassa
tra spread e boröle.

dic 8, 2012 - Senza cicatrici    Dicevi?

Pace

L’autobus per Canal Street
o certo sarebbe stato un bel piano scoperto
allungarmi a fare il verso delle carezze
sui tuoi baci poggiati alle guance
mentre l’Hudson brontolava
la neve ti ci porterò a pattinare.

Fuliggine candita trotterella
e la moneta s’esce più del mare
mi ricordo un placidare
al porto di Smirne cantavano nenie
ed io pensavo già in triplice mandata
che la nave non sarebbe mai affondata.

Alleluia.
Ora la città si sbuffa algida
dall’alto mi pace
e chioso arzigogolando
il dito sul fumo del camino.

Ventuno universi già
mi lisciavo il prospetto
ma rugato son più landscape
tre passi indietro
e non m’otturo
un’altro ancora
e la pupilla resta fissa
persa oltre
via i dettagli
mi basta laggiù.

Poggio due pensieri
sulle panchine solitarie
passano i treni sott’acqua
attendo il gorgoglio a vapore
come l’amico migliore
e racconto
il viaggio
maestro senza inchiostro
busto eretto del mondo.

Pane ai piccioni
smusso gli angoli canuti
osservo occhietti arguti
incrocio il tuo fior fiore
quanto sei bella
fra l’aria
e la rima migliore.

ott 14, 2012 - Senza cicatrici    Dicevi?

Ganimede

Ad un passo dal traguardo
per tutto il cerchio mi rincorro
perduto al rifornirsi
d’una stanchezza per zaini d’approccio
honky tonk per grappe in vipera,
salve spara spiega.

Riflettenti oggetti attenti
per suoni di sogni in sorsi
fra tralicci arsi d’abbracci
credo e prego
i need your love.

S’allagano lievi le mani
mentre truciolo la siepe
per la prima volta ti siedi
e resto Ganimede.

feb 12, 2012 - Senza cicatrici    1 Commento

Sono otto anni già

Sono otto anni già:
infinito disteso tendente al cielo
campane in festa per l’amore ritrovato
coppia accanto d’anelli fusi nel tango
nuovamente pronti ad un eterno bacio.

Non mancherete perchè siete
nel primo vagito dell’ultimo sole
oltre la calce della via al Piave
nostro cemento e nostro fiore.

Andate liberi di rinascere,
litigare e cantare:
avrete primavera ch’aspetta
e nuove gambe per scivolare
sull’erba fresca.

Racconta note di pace
rivedervi ballare.

ott 29, 2011 - Polaroid, Senza cicatrici    Dicevi?

Lanterne spente

Mele al tavolino del circolo
bucce di stelle a debito spremute
sopra i tasti di una vecchia Olivetti
l’aria pregna di sbuffi e bestemmie
la scrittura musicale del macinino tritacaffè
la fisarmonica parigina del vecchio Leopoldo
la spazzatura bagnata al margine delle crepe
i grovigli a meraviglia cablati e fritti
gli scialli neri e gli occhi sgranatamente piccoli
denti sbiaditi
pescivendoli in frac
latrati appoggiati sulle zecche dei cani
lo scavalcare del sole d’anemoni
il doppio timbro sulle facciate dei palazzi
le corse soffici sopra il fango
gli sguardi polverosi degli arazzi
il gioco dei gabbiani
le nasse nascoste ai santi.

set 19, 2011 - Senza cicatrici    Dicevi?

Doppia elica

 

Un per cento
d’avanzo senza resto
vado piatto contro il muso
schiaccio l’aria dentro il fuso
remo e canto
festeggio
giochicchio
perfeziono e testo
riprendo, riconfiguro e controllo
perdo l’aereo sbagliando cielo
seguo la scia
monto la panna
assaggio ed immagino
rispondo ai messaggi
pronuncio formule segrete
aspetto il bollore delle pozioni
pazientemente sorseggio
appeso al lembo
volteggio
imparo il carpiato
corro leggero
ancora non è reato
piego i panni
allaccio i lacci
salto, cado, raglio,
brontolo, mugheggio,
conto i sassi
lancio anatemi
percorro pensieri
ora ti guardo
ed in silenzio
parlo al tuo ego.

gen 26, 2011 - Senza cicatrici    Dicevi?

Casoncelli e tulipani

Avanti con fierezza
senza soldi senza fretta
avanti con i fiori stretti
i tramonti alti
le braghe rotte.

Avanti con la fede
con le vite nuove
e le pancie vuote.

Avanti chissà dove
nascondendo fatica
scartavetrando scelte
del non arrivi a niente.

Avanti con orgoglio
fiutato e storto
di chi a un sogno
e un giro al molo

di chi ha un sogno
e un fuoco buono
di chi ha un sogno
e un amore solo.
gen 12, 2011 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Bacheca con colpo della strega.

Prima il banjo, poi un’attenzione.
Le due colonne dopo il dieci ne faranno un anno rauco.
Poc’astruso.
Ci si vedrà un bel splendore erto.
Non come adesso, che son qui avvitato a stento per via di un aratro tosto.
Ora punteggio con la quiete dei panorami larghi ma sta già scandendo il tempo.
Per questo ti avverto: sarà un erba scalza da temporale ma non ti preoccupare.
E’ che danzerà il vento, ci saran così tante cose da fare e così poco da star fermo.
Sei invitato al ballo.
Portati un sorriso e un giro lento.
Prendi fiato, riponilo al sicuro dentro all’eco: tra poco sarà onesto al salto.
Pronto? Uno, due..

dic 23, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

E’ di nuovo il post del 25.

Oh oh oh
è di nuovo il post del vigilante
quello che avresti voluto
dovuto aver paffuto
e invece
senza neve pare cenere
piove n’aria gelida
che raddrizza la cute ballerina
e ti ostica abbracci e mattina.

Mi metto in un cantuccio
sotto al vischio del vinsanto
e attendo il babbo:
al suo scendere scaltro
l’agguanto brandendo
il suo acido didietro.

A tutti quelli
che mesciano parole
perchè così lustrano
il son capaci tutti
lascio le penne
senza le mie maniere
di star sghimbescio
ad osservare il cielo.

Per chi non brucia
nell’incenso denso
da gran cerimoniere
del salcazzo a prosopopea
solo perchè pota parole
e non si scontra con le rate
dico piacere
vada a rifarsi il sedere.

Qui l’anno decano
ha rubato bastardo
platino e sale
subito dopo il miele:
sappia il tempo
che io son paziente
attendo e limo bene.
Per fortuna
le due stecche
s’attendon di celeste
e la primavera
s’è già messa
il profumo della sottoveste.
dic 11, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Apriti cielo.

Trasvolando attento l’immaginario undecisimo parallelo mi affianco ad un veliero che ultimamente mi tiene ben sveglio il bolero: indugio sapendo e inquieto m’addentro.
So per certo che non sarà un velluto cadendo perciò mi premunisco d’un trabattello con cui roteare sul disagiato mare del crescere leale.
Tremo al pensiero stringendomi a brugola le scapole del mio acufene dorato: se non altro m’affranca vigile con raccomandata di non ritorno e questo rasserena amigdala e duodeno.
Attendo il sorgere del punto e croce adornandomi d’esteta ma il mio ombrello di sale piange al primo acquazzone lasciandomi zuppo d’un torpore interiore.
Lacerato dall’agguato di si tanta bellezza pascio le mie pietre oltre le porte disperse della volta celeste.

nov 26, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sberleffo.

Tondeggio paffuto rosicchiando il tuorlo del mio acuto.
Spesso sbecco e rosolo un contegno curioso al difetto.
M’arresto al mio verso e gioco d’abbaio sopra il tetto.
Furbesco attendo e rido anticipando il tuo vesso.
Aspergo l’intarsio del verbo giogando lingue a coltello.
ott 21, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Rapsodia in blu.

Non c’è peso che ritagli il tempo
perchè possa riposare gli alibi
su cuscini di fioretti e sgarbi.

Per quanto concerne il mio movimento esso rimane sempre lo stesso nonostante si interfacci in modalità diverse a seconda della tipologia licantropa delle persone che s’affacciano dentro al mio gabinetto: non ho bisogno di una manifestazione da incitare o di un fiume in piena da guadare per dimostrare come

si possono soffiar via le nuvole col dà farsi.

Primo s’arrotola l’avambraccio poi si spanna la camicia ed infine ci si infischia dei pregiudizi e ci si immischia negli umori: solo così se ne esce dal pertugio umido e ci si scotta al sole perchè esso splende di se stesso ma per goderselo bisogna prima bruciarsi almeno al primo rintocco, screpolarsi e sapere che sapore ha il saper conquistare, piantare la bindella e misurare la distanza dell’esistenza.

Non ho voglia di riavvolgermi
non ho voglia di aver voglia
non ho voglia di non respirare
quando fuori c’è acqua abbondante
per dissetarci l’estremità
strimpellare e baciare il mare.

Allora dimmi un po’ cos’è che si vuol cavalcare? Ci si vuol sentire bene, destinazione senza paura, rapsodia in blu senza orgoglio e pregiudizio? Valigie pronte, lupi e san tommaso al bando e coperta giusta per due, cosa vuoi di più?

Per volare c’è da sbattersi le ali.
ott 12, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

La nebbia in vetta.

Gli alpinisti migliori
aprono vie sconosciute ai più
domano la natura
e mostrano a tutti
un mondo nuovo
per giungere alla cima:
inconsapevoli della propria forza
sorridono alla sofferenza.

I mortali
possono solo curarli a valle.
Nessuna imbragatura,
bisogna lasciarli andare:
son destinati a volare.

Per questo

il loro splendido salto
ha sempre accanto
un buon compagno:
il suo valore è pari
a quello dello scalatore.

Solo lo sherpa
sa quando è il tempo
solo lo sherpa
ne condivide l’universo
solo lo sherpa
sa quanto grande
sarà il suo regno.

Dove si avverte il vuoto
lui avvista il fiore
e quando manca l’aria
ne ricorda il profumo
in una danza rarefatta.

Oggi
la salita al cielo
pare più serena:
dannatamente
più serena.

La nebbia in vetta
si scioglie sempre
nel più bel sole.

Driiiin!
- Chi è?
- Arriva la più brava,
arriva la più bella!
set 22, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Incerto del suo adesso.

Mi son qui bell’impacchettato
a tirar di nuovo calci alle parole
piroettando un traverso
di note e suffumigi.

Il profumo s’è preso l’erba
e l’aria scalza del mattino
così eccomi sveglio per primo
ad imboccare i ghiri
scartavetrando l’orecchio destro.

Mentre il tesoro s’è sottocoperta
m’accascio in attesa
e dispenso respiri
per appannare meno
il vetro del pensiero.

All’improvviso
oltre il castagno
rivola un cerbiatto:
quando la smette di franare
s’impaurisce,
raddrizza gli stecchi
e rimane ombra di se.
Due passi alti più in là
scricchiola la pioggia:
nell’attenderla lui stritola
un salto predetto.
Scompare verso il sentiero
incerto del suo adesso.
set 4, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Mr. Difetto.

Arricciando una cravatta eccentrica
mi vesto di canticchi all’occhiello
che la vita s’è già presa il resto
sono Mr.Difetto
ma canto lo stesso
agguantandomi il numerino di coda
al mio turno un ettoemmezzo
di vero sempreterno
rilancio e non lascio.
Commuovo l’aria fresca del Resegone
sussurandogli l’impudicizia del nome
che la vita s’è già presa il resto
sono Mr.Difetto
ma canto lo stesso
sgrollandomi un profumato abbaglio
con l’ultima nota stacco en arrière
mi ricompro il fiato sbadato
guadando le stelle ammaliato.
Struccato dal primo bacio d’alba
solletico un altro passo al sole
che la vita s’è già presa il resto
sono Mr.Difetto
ma canto lo stesso
tu credi scialacqui e bevi
ma il giro d’eclisse è un’ellisse
e al primo equinozio
ci scambieremo le fedi.
ago 12, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Maioliche sgualcite.
I numeri doppi
mi ci mettono panico
non riesco a divelgerli
già mi scassano l’ansia
così li miccio da lontano
auspicando.

A notte fonda
olio il conteggio dei treni
dedicandomi agli occhi assenti
passano e non s’accorgono
con la bile
e tutto quanto.

Oggi mi trasfuso
un baratto pulito:
dalle vene alle Dean Markley
spumo un solfeggio acuto.

Andandosene
m’avanza un sottovuoto
ch’arpeggio all’autolavaggio
mozzando spruzzi
di microcosmi griffati
per lamiere audaci.
ago 4, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Rotelle a duecento lire.

Di cosa vuoi che rimi?
Di quale perchè vuoi che ti racconti?
Tanto sai sempre tu
cosa vuoi che me ne assomigli?
Singhiozzi, vai a colpi, pretendi e non chiedi
di cosa vuoi che perda?

Scichità
tling e tang
guarda com’è alta la montagna
quando non sai nuotare
paletta e secchiello
per scavarmi un po’
m’imbuco con francobollo paypal
bonificami sti pixel va’
che ‘l vento fugge
e io non gli sto dietro.

Al fubalino
si giocava per fighi
gli altri al tamtam
o dietro al ping pong
che eran le prime
palle tagliate
ce ne sarebbero state poi.

Eppure già fotocopiavo
il mio articolo al megafono
ed il mio bacio al cioccolato
tormentato fra i Righeira
ed i brufoli alpini
non darmi i pugni
son bocia molta
ma quieto.

Si lo so che sai
sai tutto te
alurà desdes
o sommo
che c’ho
d’allungarmi
il tramonto.

lug 26, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Ottantaseimilaquattrocento.

Vapor di palloncini
rucole di panna in torta
blu della maglietta
camminata stretta.

Riprendo e distendi
volto pagina e scarabocchio
rotta portafortuna
avanti beatamente.

Incavo del collo
ultimo sopracciglio
chiamarsi in silenzio
sì lo voglio.

Zaino spazzolino diario e tu
sopra le onde dentro le nuvole
fra tramonti e temporali
io non ti lascio più.

Ottantaseimilaquattrocento
giorno al secondo buongiorno
ti curo ti fuggo ritorno
notte mio fiore buonanotte
ottantaseimilaquattrocento.

Stessa lingua quando dico vita
gridando prendimi col miele
rapiscimi brindando sul divano
lontano s’intravede un belvedere.

Empirici elettrici spifferi d’animi
medesimo tetto s’alza il vento
corri son qui e piove il resto
attenta arpeggia stringiamoci.
lug 19, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Tulipani.

Can caminin camuffami il drin dell’esser qui,
scolta l’indugio del mio giochino esattoriale:
dall’Elba al rotocalco salva il mio miraggio
perchè dalle favole del percorso spesso arranco.

Posso venirmi al riposo senza quell’aria duttile
di chi si plasma di ricordi senza fronzoli nè soldi
oppure mi vuoi Arduino reinventore dei miei mondi
ogni santa volta che pungo il sorteggio succube?

Esondo ludico dal gregge squassando quiete
striato inverso al canone del non oltrepassare
ammainato alla balbuzie del contar dolore miele
riavvolgendo i bulbi per tramonti da baciare.

lug 6, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Rallentare in prossimità del dosso.
Il nuovo gadget del quant’altro mi fa scordare i rumori nel naso. Ci giochicchio, lo spalmo e mi ci diverto a star su dritto con la sua spalla di compagnia. Ho la mente riversa al bus del gnao: sarà la prima brezza del settenario, sarà il ciclico anno del cambio, sarà un voler capitan futuro cataratto. Arrivà quella ruga in cui il rodere degli altri ti cura: niente più di niente, basta signor sì signor tenente. Nessuna problematica azzeccatissima del dover rendere. Forse perchè stai per strambare a metà del guado, forse perchè cominci ad ammirare il creato, forse perchè dal niente sei rimasto un creatore di stelle. Fatto sta che che t’è aumentato il convesso e di srotolarti lingua e pensiero alla prima ombra del fesso non ci ottemperi più come un riconoscimento della tua piscia sul sentiero. Se vuoi vieni, se no sfregola tranquillo l’idrocarburo del tuo piedistallo. Io sto agiato fra i randagi a rattopparmi le pezze di chi ha fatto spezie diverse: rare, poco daziate ma a loro modo pregiate in questo emisfero personale di scalzi mangiapatate.
giu 16, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Atteperto.
Ah per le tue fronze
che Giove!
Spulciarti attonito
nel mio astratto,
cruggiato da sberleffo,
grazie.

Bisogna tagliarsi

a fontana le braghe
passar di qua del fosso
senza metter numeri
a carboni d’originale.

Ci ho detto
nonostante tutto

tuo questo
m’alza il basello
sguscia un sorriso
se son per davvero
nastro svolto dal mastro,
tuo tempo da ricamo.

Stimarsi
con usmo da cani
prima del morso
che sgorga il gioco.

Bisogna schiumarsi

a Duvel,
io e te.
giu 8, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sbalzo di tensione.

Marketing di sfruscio
con strizzata d’occhio
al lineamento.

Sarei il primo degli altri euforici
se m’uscisse una fonduta placata
dal principio al termine
col pensiero sciolto
in endecasillabi da riporto
e potrei godermi fra i concavi
anzichè soffrire su acufeni
in appunti diamantini.
Invece nulla, cicca bua:
perchè tutto questo inventar mondi
non è affar di chi spollicia i miei indici,
non è un divertirsi in bocca ai soffiavento,
non è un imbrattare per scrostare
il banale di un canale
in attesa dell’eco di altri ego.

No,
peccato
mio caro
percolato.

E’ aria senza la quale,
è polvere del mio andare,
è scelta oltre il raccontare,
è allergia su piume da pavone,
è notte che zampilla Virgo,
è buca nelle tasche a protegger l’armonica,
è danza scaltra d’ammirare e tesa da portare.

Perciò, con garbo, senza offesa:
piuttosto che mutarmi sciolto
io nasco, canto e mordo contorto.

Non mi svesto
e ti lascio il resto.
mag 27, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Per tre stralci d’elisir e chitarra.

L’istrice del buono che punge
parrebbe un sogno stonato:
lamento adatto ad un errore
al raso d’un marciapiede cantato.

Dolce per nuvole a caramella
sfugge acerba d’erba in maggio:
non ha ritegno nè cane ululato
solo la fuga in fine scalza scoperta.

Muschio di sponda in attesa,
gruccio su baci d’altra fronte
al passo d’una vita mai spesa
sul canto che disconosce il monte.

Per quel che valga baratto l’aria
con tre stralci d’elisir e chitarra.
mag 6, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Figura retorica in scala armonica.

Maggio in freddo cane
basterà a sbudellarmi le ossa
a rendermi innocuo al sol levante
pronto alla resa delle stelle
ligio al dovere cadente
e vaporoso al riflesso del cromo?

Disordine che muore in un solo candore
senza il volto di uno scalfito d’alba
senza il ritegno d’un buono sconto
senza la vela in assenza dell’ago
resto o vado per ora scuffio
con animo brado e probo.

Neve in bianco e nero
sbuffa la brezza
scortica un sorriso
scioglie la corteccia
in un ricordo sbieco
protetto dal miele
radente al gelo.

Sciarpa al collo m’interrompo
coltivo un ticchettio vangato
lo espongo in presa visione
contando le pause
di quel che non ci vuole
di quel che non ci duole
di quel che non ci vuole
di quel che non ci duole.

Sulla luna siamo sempre leggeri
con l’instintiva sopravvivenza
senza aria nei polmoni
con una prospettiva di resistenza
ai paesaggi ristretti
ai dossi e ai crateri.

E’ ora di rientrare
salgo sull’autobus e mi preparo
m’aggiusto la cravatta color rivoluzione
osservo senza peso e di colpo
mi rendo il conto
allungo la mano
ed afferro un dolce suono.

apr 24, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

L’iperbole dei cieli.

Prima del mille non v’era previsto il suo doppio: ognuno s’infliggeva la convinzione che aveva. Pre fioritura del rinascimento al di qua delle gambe ercolane si impaurivano al tondo: v’eran solo gli spigoli e si faticava ad accettar le forme curve, irreligiose ed irrazionali. Se ne potrebbero fare altri di sgraziati e fastidiosi mementi ma il succo d’arancia fresco rimane sempre quello: si è convinti e seri che questo sia il nostro oggi, il nostro domani e il nostro ieri. Come quando ti chiedi il trittico blasfemo del dove vai, del chi sei e dal dove vieni. Reset. Così oggi non annusiamo spiriti, mandala o alieni… ah ah che risate mentre s’osservano altre vie illuminate: adesso m’iberno e torno nel duemiladuecento per riparlarne con calma difronte al nostro stupido credo eterno di schermi multi-touch e sfioro pudico del coseno.
apr 7, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Occhio che cigola.

Spesso mi grattacapo la testa in un gesto spanna dubbi e pulisci divieti. Passo i secondi a lisciarmi le sopracciglia nel tentativo di capovolgere gli alambicchi delle mie scuciture alle tasche finendo sempre per ruzzolare in un andirivieni di cicale mai dome.
Allora per calmarmi guardo il sole e ci passeggio dentro. Il primo effetto mostra l’istantanea di una liquefazione imperfetta di chi crede non si possa scartabellare l’inconscio. Di conseguenza prevedo l’agguato dalla parte dell’esca e capovolgo una virgola a guisa di amo.
Catturo chi insegue lo spergiuro del non ammissibile sentendosi figo all’inverosimile: lo accarezzo e poi lo lascio andare fess che tanto di molto stanco rigurgiterà solo il prossimo anno.
Poi m’esco ad asciugare fra l’equatore ed un canto ad ore contate: non sarà quel che dovrebbe ma per ora basta a lenirmi i desideri prima che un tram m’attraversi questi segnali d’esistenza fra incompresi andirivieni.
Occhio che cigola.
mar 24, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Ndemo ostreghèta.
Vinilico di colla e di effe emme.
Con la prima scalfisco i grumi del pretendere un perfetto testo alla consapevolezza del mai e con la seconda mi incuffio per non sentire il mondo urlandogli contro.
Ho una gerla piena zeppa di incastri smussati: per combaciarli al bacio ho imparato a tagliarmi altrimenti non ne esci. Se sanguini poi cicatrizzi e quando ti cambi la muta allora altro che grammo sarò peso quintale dell’essenziale.
Per adesso mi diverto a ricordarmi di non smettere il divertimento altrimenti perderei il baricentro e sarei preda del malcontento. Forse guisando a trottola non ci si accorge di quel che altri avvolge ma io preferisco così, è meglio, piuttosto che cadere ogni giorno genuflesso al dazio del credersi eterno.
Vado a cantare, ascoltare, raccontare: mi sembra un buon gioco da continuare a sgranare.
mar 16, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Alpeggio al nebbiolo.

Bardello con le tempie ad un proposito di scarnificazione. Firma qui, timbra un rantolo, balla cieco che è meglio. Sblessa l’angolo curvo della mia vetrina in direzione di una latrina malandata che non sciacqua via il trasloco del mio affresco. Senza preventiva autorizzazione mi prendono e ti portano via il nome, ti cambiano l’anfratto, ti regolano su un canale dalla isofrequenza ad impulsi stordi. Ah meno più male che le cuffie tengono buono il testosterone dell’anima e alambiccano sdruse vocali per attori. Me le mancassero non saprei chi esser altro mentre mi porto a spasso in un sogno da bimbo cresciuto fra gli squali non più umani del Devoto Oli.
Vado a spugnarmi e sfoltirmi dalle regoluzze in codicini da postilla al gesto e da spolvero all’olezzo, carriolo verso un appendice di ortografia mal messa e sempre quella che tanto soldi in tasca non me ne vengono perciò posso permettermi di esser sgualcito sì ma adatto all’arpeggio.
feb 12, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Son sei anni già.

Son sei anni già
d’assenzio in acciaio dolce
battuto in tondo per mancanza,
ingiallito come una fotografia distratta,
indelebile come la tua ombra calda.

Manchi a questo andare
si pietra di ritorno,
acqua fresca di bosco
corsa nel fieno d’agosto.

Ma la tua ombra è attenta,
il tuo sguardo lo salvo a vanto
e la tua gioia del mondo
uno spillo traverso profondo.

feb 6, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Disintossicanti.

Boriosi postulanti,
fatevi calvi di spore
in erezione di parole.

Per favore.

Che supporto al sopportarvi
non tengo più nelle tasche
abbastanza grandi.

Disquisite e ponderate da vacche
credute sempreterne,
pasciute al macero dell’esistenza.
Inerti al creare,
inermi al saggiare.

Fuori c’è il sole:
andate a dar via il maggese
santa polenta,
null’altro da fare
che segarvi l’esistenza
dimostrando che il vostro pensiero
è sempre il più glorioso
di chiunque voglia farne l’orlo.

Dai osti,
accettare e non pontificare,
amare e sbranare la neve
prima che si sciolga:
quanto vi costa?

feb 2, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sperom.

Eh, facci caso, non siamo su quel piano.
Non mi torna in mente quella canzone di Bruce così bella, perchè? Proprio ora che ne avrei un matto d’astratto a sbalzo di bisogno non mi terge il pulviscolo della cerebrale.
Azzo. Proprio nel giorno in cui il verde sbava di canna con un po’ di gas vermiglio rendendomi double face pronto alla fuga. Pendola il motore su una salita a fatica, scarica le nubi e raccoglie furore ma qui non ci si scalda nemmeno più. Perciò rigetto un po’ di fango e me lo spaccio come cotoletta dentro la quale m’impanno vita e giorni di festa. Stanchezza e tempesta. Fa un freddo meno otto polpastrelli, me ne restan due per segnalare a qualcuno una vittoria. Sperom.
gen 18, 2010 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Post Scriptum.
Buongiorno son del vanto unico centro benessere del tuo rantolo.
All’ascolto son tordo, tonno e immune all’olfatto tranne quando piango.
Resto se chiesto, m’elevo desto e m’immergo profondo al sogno.
Spesso unto, a volte pravo e malvolentieri indomito al balzo.
Bazzico baricentrico sulla circonferenza del tuo gesto.
Ti osservo spesso mancando d’avarizia in pathos usato
ed ho notato non te ne avertene a male che ti manca l’amalgamo del fiato.
Spero cordialmente di riaverti a cena senza obbligo di offesa.
Rimango in attesa di un cenno di assenza alla tua conferma d’essenza.
Tanti cari saluti, a te e alla tua nemesi.
dic 22, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Blanco.

Blanco ammantato sporco di ricalco,
fumo d’animo sadico,
rudere nel fondo del fischio del vento.

M’ascendo oltre il riflesso del vetro
e quel che vedo è il passato.

Scavalco gli aghi di strazio
sognando scalzo:
pomice è la pietra del dazio
vago per ore nel bosco
aprendo la bocca persa al cielo
raccolgo sudore d’angeli.

Piango perchè solo
non visto dal rifugio del peccato
piango perchè da un lustro
non mi ritrovavo candido.

Ma questa notte vale un bagliore
scricchiola al passo del mio stupore
perciò mi raccolgo nel silenzio alto
di un bagno caldo nel ghiaccio.

dic 15, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

La mattina faccio sempre più fatica ad alzarmi dal letto.

Mentre m’ascio la crapa spellandola in due emisferi circoncentrici tenendo le mani ferme a snocciolo mi sfrego le pupille affannate e penso che il giro di giostra è sempre più faticoso ogni nuova volta. Servono sempre più risorse, la richiesta aumenta e il prezzo del greggio del mio raffinamento s’eleva inversamente proporzionale al frutto del campo dove la teoria vedrebbe un raccolto. Scolta il vecio, brutto invecchiare, anche quando la gioventù dell’ossa è relativa ma densa al tatto beh è il tuo andare che si sente nel fango. Meno due gradi gelano e ti scricchiolano addosso, ogni inverno allunga il freddo. Finchè c’è legna sul camino ci si perde ancora addosso alle fantasie della fiamma, fin quando avverti le campanelle in lontananza tenti ancora una danza.
Ma ci vorrebbe un tango, adesso, e non so più quali passi sperare per essere leggero o quantomeno sereno.
Andare, voce del verbo cantare.
nov 21, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Libera uscita.

Ah
Santa Claus de noi artri rubaci i quadri e lasciaci elastici
molli al vento pronti all’ondeggio
chi più ne ha più si senta disperso:
qui fa un freddo che a parlarci mi glacio le fauci.
Piove vapore dal sugo di queste dimore
finte neoclassiche finte fatiscenti finte farse per chi non ha conpromettenti
con le tonde vetrine a sputi, con le mimiche dal volume a palla
si scrisse qui giace uno che giocava a carte col quartino
mezzo di vino e creduto divino dopo un bianco sporco
dopo un benvenuto d’osteria
ma poco prima di mandarlo via
verso i campi ad arare carezze ai corvi
verso venti distorti da frequenze usurate dai poggi
nascoste da gomiti alzati e da calli scarsi fra martelli e travi.

Pace in terra
fra le brioche e la gerla
ch’ora vado a biasimarmi
lasciato sul fieno
protetto dal gelo
aspirando un segreto.

ott 22, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Gomitolo.

Perciò esci dall’onda come mela morsa,
dignitosamente offesa scegli l’assenza
fra rumori di scontro e magma calcolata
ruoti le stelle a favore di camera,
dimentica della nostra eredità dissolta.

T’appunti il guanto bianco al seno
lavando i piatti asincrona d’umore
immolandoti socchiusa agli sbalzi,
barando gli scatti, danzando ricatti.

Torni valutando la tensione del sole
cedendomi spavalda la mia inadeguatezza,
alzando l’aria nascosta fra i silenzi
mentre solendo mastichi diminutiva
gocce fatte acqua in giusta distanza.

Ma la massa non ha consistenza
quando goffa annienta la parvenza
stringe e resta, resta e stringe
al capo dell’altro capo
s’avvista sempre meno lontano.

Non serve candidarlo
nero nostro su ambrato
perchè in ogni silenzio
c’è quel che sappiamo:

il nostro ti.
ott 14, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Voltampere.

Groppa
buttera stanchezza
del laico prevedere
che in questo paese
vince sempre e solo
chi non ha pretese
s’esalta l’immagine
s’evita la fatica
il sudore non patina
meglio la fica.

Butterò giù la mia casa al simulio
di un crollo da diga alluvionata
per vincere il ticket dell’unico modo
in averla ricostruita d’incentivi a nuovo
grazie al bla bla bla
del chi sa solo prendere e non s’avvezza il dà.

Ho scelto al masso
dagli anni del respiro al vento
ora non ho che l’attendo e resto
la spirale gira e sicuro
dopo la ressa resta il seme
alzata la panna al polverone
ritroverò i compagni del senso
spersi chissà dove.

Vorrei finger volo
nello stesso elicottero
di chi vanta sapevo tutto
per dargli un calcio al culo
nel sniffare da vicino il suo raglio
sapendo che per quanto cadrà in basso
lo salverà sempre il suo stesso fango.

Ho noia del finto dolore
ho rispetto di chi si reinventa.
Per chi attizza il fuoco
invece solo diffidenza
se non s’è mai scottato
una volta l’agenda.

Resistenza,
ecco quello che mi appare in difesa
silenziosa, quotidiana,
rabbia d’ incandescenza.
Resistenza,
perchè anche se imbavagliata
la luce brilla sempre

della sua giusta essenza.

ott 9, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Un lungo messo per contare che il sentimento superiore
non si può nè dedicare nè retribuire con le parole
poichè il più bel arcobaleno s’ammira quando piove
e si sconfigge con la brezza.

Detta premessa, ecco il titolo di questa:
a Cinzia.

No,
non è la stessa cosa,
che me la rigira in testa la domanda
fra fortuna o destino
e non lo dico a nessuno
dovrei solo fermarmi
respirare forte
e togliermela da dentro
questa parte tua di me

il bisogno d’avere il tuo bisogno

e non passa un sole che s’alza
una mattina che scalda
senza il tuo vestirmi
senza le tue mani
senza la voglia
di dare un senso al domani.

E se ci fosse
almeno un passo
insieme
forse riuscirei a rimettere
le rime nel modo che sanno
per dirti
che senza anche solo un po’ di Blu
qui il cielo non sarebbe lo stesso.

Vale la scommessa
d’una fortuna che non conosco.

In qualche mondo
quando parte un ritornello alto
c’è un bimbo che aspetta
un giorno o presto l’altro
oltre i morsi ed i palloncini a fiori

ma
io
non so ancora
come brillarti
senza prima
scardinarti

io
so
solo
il
mio
amarti.
set 24, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Benna alzata sulla provinciale.

Poggiami sui 75Hz mentre sostieni il mento con un palmo di mano esoso. Sfrucolati le ciocche come valle in piena distratta: eppure ho appeso un cartello, eppure mi sbraccio buffo dalla vetrina del mio scantinato. Mi manca il fiato. Ogni rinascita passa per lo scartavetrare della terra sopra la tua mascella. Gratta gratta in buio finchè non scorgi il primo filo d’aria. Ma il carosello se ne sbatte, ogni tanto solo finge di spiare per poi tornare al nulla fare. Eppure sento un fremito, eppure a poco a poco s’alza uno scatto di palpebra. Attenzione, mi dice qualcosa, insisti costante contro ogni variabile muta e contrario al gioco del non attraversare. Andare, come sempre, incapace del quieto restare. L’ho già fatto e non mi resta che ben lungo pedalare, schivare e provare. Provare provare provare…

set 15, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Lo so.

Passo al mio ritorno dopo dieci anni.
Passo con sopra un tetto nuovo, una speranza, molti incubi e tanta voglia.
Passo che credevo nessuno se lo ricordasse.
Passo che invece la valle non scorda.
Son neanche due settimane che ho aperto una seconda chiave, acceso le luci, messo gli annunci e pulito i vetri.
Eppure ovunque volti il naso in attesa di gente sconfigurata ecco che ognuna delle persone che mi si presenta fa una festa con questa cadenza: tu sei il nipote del tuo nonno.
Già.

Lo sai che mi portava sempre i tortellini?
Lo sai che ti comprava sempre la cioccolata?
Lo sai che era sempre elegante?
Lo sai che era un marcantonio?
Lo sai che si fermava sempre a farmi un complimento?
Lo sai che aveva sempre una buona parola?
Lo sai che aveva sempre dei modi gentili?
Lo sai che era sempre pettinato e profumato?
Lo sai che era sempre un Signore?

Lo so.

Lo so che era sempre una festa.
Anche nella sofferenza.
Che quando si alzava si inchinava il mondo,
che quando camminava era un canto,
che quando lavorava era un artista
dallo sfioro di legno e con tempra di ferro,
che quando parlava insegnava
e quando raccontava incantava.

Lo so.

Era mio nonno.

Volevo dirvi
che lui è il primo pensiero ogni giorno quando vedo il bosco,
che sorrido quando viene a trovarmi la notte
che ha lasciato pietre d’amore disseminate nelle sue parole.

Lo scrivo oggi, ch’è un incrocio astrale a congiuntura del mio andare.
E’ un grimaldello a giornata segnata, di quelle che accadono raramente nell’arco della vita.
E allora sussurro prolisso a mo’ di aurora boreale, che a questa latitudine spesso non accade.

Ma’
s’è risvegliata da un’ora,
avrà da armaneggiare col braccio bendato,
raccontargli di nuovo le movenze base della danza
con cui per oltre trent’anni mi ha cullato al mondo.
Volevo dirle
che se non parlo è perchè son fatto male
più m’avvicino al centro del bene più m’allontano dal mostrare
ma quel che m’ha dato
è prezioso
e lo custodirò
per chi verrà dopo di noi
come il più prezioso dei tesori.

Pa’
le sarà accanto
orso pacato, esempio di un ruggito condiviso,
lanterna scuotiossa e maestà d’esempio,
rispetto conquistato sul campo del suo fare quotidiano,
gigante buono d’una altezza
che credo mai raggiungerò in rincorsa
ma che sarà sempre
il mio traguardo mai tagliato
mentre cerco faccio creo altro
con la titubanza del non adeguato
con l’incertezza del sarà giusto
con la paura del non saper mai
dove porterà la mia rotta.

La vostra grandezza,
da sempre,

è bussola del mio andare.

set 6, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Beautiful drum.

Sono le nove,
esco dalla doccia nella foresta
per inseguirti fra la roccia e la mia testa
m’asciuga di caffè per cercarti lontana
assaporo la distanza,
rimani sempre la mia più bella danza.
Fischietto,
ballo in cerchio con me stesso,
qualcuno mugugna, qualcuno piange,
qualcuno nemmeno si accorge
che quasi lo portan via le onde.
Casa,
lasciami a casa sfuocato,
lasciami a casa tra il soggiorno e le piume,
tra il catartico e l’ansia
mentre faccio errori di ortografia,
sento quanto pesa il giro della ruota
e taglio l’erba
innaffio i tetti
infilo le ciabatte per dar da mangiare ai gatti
e mi rimetto a pregare
prima di sudare.
Puccio le assi di parquet
in una colazione dispendiosa
osservo l’inclinazione pericolosa della lancetta destra
sull’orologio appeso al vetro
penso al mio velcro
che non sono ancora andato nello spazio
m’han già messo in croce
ed io non ho neanche l’età per scrivere.
Ieri s’è spostato uno che ha m’ha detto
scrivi per bugia
scrivi per calore
scrivi perchè non puoi fare l’esploratore
in verità non me l’ha mai detto
ma lo sento
che lo avrebbe
ed io in fondo
son ancora qui che m’allungo
ma ancora non tocco.
Devo uscire
andare chissà dove
allora mi metto un papillon
i bermuda
e fingo di ricomprarmi i capelli
vado in cerca di un fiore
un asfodelo
mi piace il suo nome
da cruccio interiore
e bellezza esteriore.
M’infilo oltre la siepe
esco dal cancello
ruoto verso me stesso
andrà tutto bene
lo vedi
lo vedo
batto le mani a tempo
nonostante il temporale
continuo a fischiettare.

set 1, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Rischiatutto.

Il pane da venire sfugge al mio inveire.
Oggi schiude una porta sognando il portone.
Lo spiffero del mezzo mi costa l’eterno, il passato ed il futuro con un pagamento all’accesso.
La timbrica della sveglia ora anticipa l’alzata del sole. Quando mi alzo preparo la colazione, sfioro il mio amore e scommetto che sarà sempre migliore.
Oggi, detto anch’esso, s’apre una voragine affamata del mio meglio.
La sazierò con quel che ho, perchè quel che sono dovrà divenire un buon falò del mio sarò.
Posseggo del legno ed un sorriso mai incerto.
Osservo la muta delle foglie distante dal fruscio.
Fa che la neve sia bianca e non fredda quando coprirà la tormenta.
Che sia una buona coperta, scaldaossa e dal sapor pelle rosa.
Oggi è un vagito per due, una danza per tre, un filo sulla seta dei miei perchè.

ago 3, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Mahna manhà.

Sfronzola in tuba poliedrica la voce sussurrata d’ebano e marmellata. S’insinua in rantolo verso un sesso per tanto. Vorrebbe un rullante per esaltazione ed un automatismo ad iniezione ma si contenta d’un onanismo gratificatore. Le rughe faticano la tela da copertura a pseudo teca e corre via lontano il suo lamento insoffribile e sgomento. Ad un tratto sganasciano le corde in nylon per siglare in lacca cera il termine della caccia. Ecco, ora torna dal suo distretto con un fare di chi lo sa fare senza nemmeno una bavetta di errore o un sunto da sugo per un credersi attore.
Avevamo tutti vent’anni ottanta, s’aspirava sgargianti e si finiva in bettole. C’era chi godeva al frastuono e chi non pensava al sarò: la livella ha continuato la burla senza richiedersi altri sermoni. Prim’ancora s’inzuppava in pane nella via del Sesamo: d’uopo allo sganascio con Elmo e lesti al baciamano con Miss Piggy.

Rider del mio Ph estinto sopra l’importanza d’un acido basico: sangiovese all’avvenire e turchese al tramonto mattutino.
lug 21, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Bilancia sfalsata.

Mai un grazie non avrai
per un cibo caldo,
un letto rifatto,
un piatto stirato.

Sono un buon disgraziato.
Mai palese attestazione d’affetto
o per sicurezza del tuo ruolo
al limitare della paura sul perso.

Dovrai cercarlo altrove, fra le spese delle ore ad innaffiarti, fra le pieghe delle tormente nel renderti indipendente, nel dono del diamante che ricopri di sputi e che ostinatamente ogni volta si risciacqua nel riavvolgerti. Dovrai scorgerlo in quel che si nasconde dietro alle foglie delle tue ansie, nel tuo abito cucito d’altri e senza cui traspare il vuoto delle scelte dove ogni giorno verso il mio sorriso più bello. Dovrai afferarlo mentre ti si aspetta al termine di ogni giostra centripeda lontana dal tuo baricentro perso, dovrai rubarlo al fiato della mia gola secca quando ti urlo che sei tu l’unica per cui valga una tua scelta. Dovrai averlo in fede nelle parole dette per il tuo bene, scovarlo prima di cedere il passo all’istinto della mancanza o alla chiusa nella difesa prima d’esser luce preferendo una triste penombra. Dovrai ascoltarlo nel secondo che precede la scelta giusta, che conosci, ma che per timore della futura tua te stessa migliore rifiuti tentandoti stanca e preferendoti oggetto di adorazione in miseria commensurata. Dovrai tenderlo come suonano le corde di violino quando si accorgono di valere la purezza del cristallino, dovrai gemerlo nella sofferenza sbocciata, dovrai respirarlo come fiato del tuo fiato.

Ma sopra il tutto
basta un solo tuo sì alla vita
per non dovermelo mai.
lug 10, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Petra.

Ah potessi saltar sull’assi e leggerne in rima di passioni, uccisioni e ribelli dal troppo pensiero dentro. Ai miei amici ricordo che è ancora desto quel sogno in cui un giorno tireremo in ballo quello spettacolo dove tu canterai, tu suonerai, tu reciterai e tutti noi si leggerà gli animi nostri. Una scenografia scarsa, luci calde, immagini che sappiamo già a chi affidare sullo sfondo dell’emozione. E seduti, in sedie parallele, le nostre virgole e le nostre pene.
Sarà un bel gioco, sarà un affranto pezzo scarno in coda di lucciola prima dell’alba. Sarà l’ultimo drappo amato di seta, un giogo d’uscita sgusciato via dal miele delle gabbie. Sarà un accrocchio tenditensione sciolto al galoppo di un nuovo mondo.
Il raccolto del mio racconto è di nuovo al traguardo di un giorno. Effimero di fatica annuale persa in un giro di chiave: all’evaporo dell’ultima goccia di sudore è già tempo di ripagarsi un futuro che da sempre porta in dote un fortunale che m’attende.
giu 26, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Bye Pass.

Omonimo al passo,
grande e cattivo,
mascherato microbo,
agguantato metallico,
eccelso vitreo.
giu 10, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Ho perso lo sguardo.

Mi testa la nuca al solco dell’orecchio.
Per questo sto più del solito attento.
Metti che me ne esco da me stesso,
faccio un giro d’universo
e poi torno più tonto che sguercio.

Ogni musichetta da ritornello
contiene una campanella di appello:
potrebbe esser l’ultima del fisico
o la prima del bilico.

Così ascolto teso
parole sanscrite
fuse in lingue baltiche
e quel che traduco
è pane
del mio vicino glaciale.

Non ho una dimora fissa,
non ho un tempo determinato,
non ho neanche un callo bucato:
indi vado.

Senza timone,
senza rumore
ma con il tra dei capelli
un fiore dal campo raccolto
al sorgere cobalto del sole.

Il profumo del legno
invade il prossimo bosco
dove svernerò il mio affetto.

Brace che tace,
fusa dolce su tende
lieve per sempre.
mag 29, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Novecento suona anche in terza classe.
La prima volta fuori dalla porta penisola per festeggiare diciotto primavere tonde ed un pezzo di carta sciolto in algebra afferrai il primo treno cicatrizzando l’attorno assieme ad un Nino dal torace pronto al vento.
Raggiunta la capitale del vecchio mondo la setacciammo di vita lunghi e larghi fino a dormire distesi sotto le pulci di un vecchio ostello Giordano.
L’ultimo giorno da quelle parti attraversai illibato il ponte della torre accanto ai gioielli. Sostai in mezzo: non so a tutt’oggi per quale motivo o per quale contesto.
Ma mi fermai, respirai, guardai il Thames. Rimasi a lungo a farmi punto.
Chi dove quando perchè.
Da a.
Srotolavo legato al levatoio il mio gomitolo rosso senza rendermi conto ne importanza del come sarebbe andata la danza del mio mondo.
La seconda volta fu nel bel mezzo di una festa.
Stordito dal dolore ed ebbro di raccolta fui spalla di un’amicizia mai dissolta.
Finite le teorie, le pratiche erano fondamenta e il giro del filetto s’intontiva al giro, pronto a smuoversi inverso.
Raggiunsi quasi senza riflesso di nuovo il ponte del mezzo.
Ci vidi scorrere la stessa acqua sotto.
Ripresi il mio filo rosso sbiadito accarezzandolo con un dito.
Ora sapevo da dove venivo ma rimaneva l’incognita del mio destino.
Non uomo, non più ragazzino.
Mi voltai e continuai il cammino.
La terza volta fu la svolta.
Arrivai perchè voluto, accompagnato dal mio cuore.
Come le altre vite sostai nel mezzo ma raddoppiando questa volta i pollici.
Riavvolsi il gomitolo e lo buttai nell’acqua diversa.
Dalla tasca del cappotto tolsi un anello.
Guardai il Blu baciandone il respiro.
In quel preciso istante trovai il mio posto nell’attorno.
Oggi continuo ad andare: ma ora conosco dove tornare.
mag 29, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Novecento suona anche in terza classe.
La prima volta fuori dalla porta penisola per festeggiare diciotto primavere tonde ed un pezzo di carta sciolto in algebra afferrai il primo treno cicatrizzando l’attorno assieme ad un Nino dal torace pronto al vento.
Raggiunta la capitale del vecchio mondo la setacciammo di vita lunghi e larghi fino a dormire distesi sotto le pulci di un vecchio ostello Giordano.
L’ultimo giorno da quelle parti attraversai illibato il ponte della torre accanto ai gioielli. Sostai in mezzo: non so a tutt’oggi per quale motivo o per quale contesto.
Ma mi fermai, respirai, guardai il Thames. Rimasi a lungo a farmi punto.
Chi dove quando perchè.
Da a.
Srotolavo legato al levatoio il mio gomitolo rosso senza rendermi conto ne importanza del come sarebbe andata la danza del mio mondo.
La seconda volta fu nel bel mezzo di una festa.
Stordito dal dolore ed ebbro di raccolta fui spalla di un’amicizia mai dissolta.
Finite le teorie, le pratiche erano fondamenta e il giro del filetto s’intontiva al giro, pronto a smuoversi inverso.
Raggiunsi quasi senza riflesso di nuovo il ponte del mezzo.
Ci vidi scorrere la stessa acqua sotto.
Ripresi il mio filo rosso sbiadito accarezzandolo con un dito.
Ora sapevo da dove venivo ma rimaneva l’incognita del mio destino.
Non uomo, non più ragazzino.
Mi voltai e continuai il cammino.
La terza volta fu la svolta.
Arrivai perchè voluto, accompagnato dal mio cuore.
Come le altre vite sostai nel mezzo ma raddoppiando questa volta i pollici.
Riavvolsi il gomitolo e lo buttai nell’acqua diversa.
Dalla tasca del cappotto tolsi un anello.
Guardai il Blu baciandone il respiro.
In quel preciso istante trovai il mio posto nell’attorno.
Oggi continuo ad andare: ma ora conosco dove tornare.
mag 22, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Forte di polvere.

Occhio per terra,
orecchio che trema:
sangue stesso sangue.
Respirare l’essenza.
Stringere mani.

Forte di polvere.
mag 19, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Di nuovo benvenuto.

Sfuggo dal finestrino contro la corrente del mio brufolo andino.
Ne temo uscendo lo sguazzo del prato accanto, ma per fortuna cado senza un fiotto lungo e disteso presso un pozzo.
Incontro un pranzo consumato tutto attorno e mentre m’asciugo lo sbuccio già canto diverso.
Leggero e intonacato di fresco in lontananza osservo uno storno andare verso il castello.
Chiedo l’arrivo a Chihiro, mi sussurra mirtillo di bagnarmi per terme ed infine strizza l’acqua uscendone indenne.
Corro al giunto e prima di bussare tolgo il superfluo fugace.
S’apre il portone, scavalco il mio attore e son di nuovo nel mio gioco migliore.
mag 19, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Di nuovo benvenuto.

Sfuggo dal finestrino contro la corrente del mio brufolo andino.
Ne temo uscendo lo sguazzo del prato accanto, ma per fortuna cado senza un fiotto lungo e disteso presso un pozzo.
Incontro un pranzo consumato tutto attorno e mentre m’asciugo lo sbuccio già canto diverso.
Leggero e intonacato di fresco in lontananza osservo uno storno andare verso il castello.
Chiedo l’arrivo a Chihiro, mi sussurra mirtillo di bagnarmi per terme ed infine strizza l’acqua uscendone indenne.
Corro al giunto e prima di bussare tolgo il superfluo fugace.
S’apre il portone, scavalco il mio attore e son di nuovo nel mio gioco migliore.
apr 29, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Ricci a sgoccioli.

Busca sbuffa stonda e scuffia.
Piatto oltre l’aria come un’eccelsa falsa testimonianza.
Intrepido sacrilegio del credo del me ne frego,
robusto abbastanza per piegarsi nell’atto dell’eretico
riscoprendo un magone concreto.

Giunge s’abbascia e scioglie .
Volta la faccia per scrutare il già dato
mentre scorza il rumore del contro il palo
stoico allo sbeffeggio ed adunco nel respirare malox.

Gloria all’eccelso,
vago fraseggio,
senso senza esse sciolte nel portafoglio
desto per verso.

apr 6, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

5.8

Allora fra i pixel non ho più visto Onna,
solo rovere sotto la polvere.

Così mi sono cambiato i panni durante la conferenza
tra le facce credocosternate sono uscito di casa
chiudendo la porta
il più lentamente possibile
ed ho cominciato a camminare nella pineta.

Mi sono fermato sotto la grossa quercia, ho stretto forte i lacci delle scarpe
per non perdere i pensieri.
Un secondo e poi.
Mi sono messo a correre, per non avere tempo di dimenticarmi la bellezza.
Ho visto sbocciare i denti di leone,
le rughe di due vecchietti tenersi per mano
e un uomo anziano che mi salutava.
Mi sono avvicinato.
Lui ignorava il resto e suonava l’armonica seduto accanto al suo cane.
‘Non è mica facile sai, ho cominciato a cinquant’anni ed ora ne ho solo settanta’.

Ho ricominciato a correre
veloce
per asciugarmi al sole
il sudore
e ad ogni respiro
mi son detto
ricordati del profumo della terra
quando penserai al 6 aprile
e scrivilo da qualche parte:
pioveva piangere
ma s’intuiva già il sole.

mar 28, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sgrana e ingrana.

Vestirmi uguale in anni otto mai passato.
Rivengo, divelgo e svengo.
Per esempio, amore.
L’avrò scritto in pixel sotto il conto dei miei polpastrelli.
Prova, scartabella e appallottola.
Se vinci ti porgo una Duvel.
Non lo puoi mica fare a tuo agio come l’aprir l’acqua al rubinetto.
Il semplice va dosato, la magia è un attimo alla fine dell’eterno.
Ci vuole scienza, un portamento esatto che guadagni in lustri.
L’inchiostro non paga, forse manco la bara.
La vita svolge il suo tema in fretta e non puoi nemmeno cambiar penna.
Firmare d’oca e ceralacca votiva.
Rifarsi il giro e sperare, pregare, sogliarsi e tentennare.
Sembra tutto fermo mentre l’orizzonte resta in silenzio ogni giorno diverso.

Vorrei poterti raccontare che basta una rima.
Ma bisogna arrivarci, prima.

mar 17, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Alzarsi e via, andare.

Torna l’onda della coscienza senza fame senza pane
parte dalla distanza per un’illusione a creanza
ognuno si rigira dalla parte del torto
raccogliendosi ogni giorno almeno un po’ più stronzo.

Vale quel che vale la ragione del non saper fare
perdendo granelli e lacci di percorsi andati
accarezzando spalle, sollevando guance
mantenendo sempre lo stesso intercalare audace.

Via, vai ovunque sgrassi che tanto il conto rode altri
lasci la mancia ma non saldi la paga
furbizia per mesti roditori d’umori imprenditori
strimpellata in bocca ad una gioventù insaccata.

Non lo capisci
perchè l’avresti già dovuto
ma non l’hai mai reso
perciò basta farmi altero e spreco
non parole grasse e vuote
perchè anche se mi spremo
la goccia non risucchia il cielo.

feb 26, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Shanghai.

Pulsar dietro il visibile fra Cappadocia e collo al freddo. Tarlami di un plausibile futuro mentre penso all’oscuro. Perfido lascivo mentre sorrido s’infischietta stridente quando scelgo un nuovo banco di prova o quando perdo con un cinese la mia quota di mora. Adoro riluttarmi per risultare sgradito ai falsi santi e se dico Agosto sudo freddo e predico redivivo.
Non ho un fischio di treno da corrergli dietro ma son svelto a contare i binari in esadecimale corrugandomi quando mi compare una virgola a richiamarmi che l’arte dell’astrazione è ben più superiore. Pelle liscia fra le rovine post belliche. Gli sbalzi di temperatura dilatano la mia luce interna fino alla speranza di un bonifico delle mie azioni peggiori. Riduzione della pena, aumento del capitale sociale subalterno al divino. Mettere in cascina la mia fascina di legna caprina senza contare quanto sale anteporre al contare debiti e remissioni.
Le orbite non sono affatto composte mentre firmo per un bisogno doppio.
feb 12, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Son cinque anni già.

Son cinque anni già:
un gruviera di sudore
al di là del confine
per guadagnarsi il pane
e la mia traccia
che non sapevi
ma già seminavi.

Manchi
a questo svincolo
che farà girar la ruota
come un bis da palcoscenico
a nuovi occhi marmocchi.

Polvere di ferro modellata,
occhi giganti per cartine di mani:
il tuo profumo non se ne va
e quando rido
tu sei marmo vivo.

feb 6, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sconnessa.
Fantocci,
sono più viva di voi.
Per questo
lasciatemi andare:
fuori da questo scafandro
v’ho già smosso le onde.

Io
sono già altrove
irreversibilmente
sopra le leggi
sotto ai bit
oltre le frustrazioni
e nella Storia
la vostra
e di chi
mi ha stretto la mano
per anni.

Non vi ho mai visto
non vi conosco
non vi ho sussurrato
quando avevo bisogno
quando ero
ed ora non sono.

Eppure parlate
firmate
decidete
giocate a fare
l’onnipresente.

Ma chi siete?

L’unico degno
insegna in silenzio.

Fantocci,
sono più viva di voi.
Per questo
lasciatemi andare.

feb 4, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Prima del nuovo salto.

Sbulbandomi gli epiteti com’occhi farnetici resto in devianza di presenza ad osservare dall’altro angolo la gente che scende e che sale. Tutto m’affatica, germoglio che scuote la primavera, annaspa la terra, ascolta il calore del sole. Mi piacerebbe stender le spalle con le mollette ad asciugare, restarmi bucato attraverso il vento ed apprezzare la parabola del giorno. Aspiro per non infeltrirmi e spruzzo inchiostro su fogli notturni. La cera che cola al tramonto modella una statua in disaccordo. C’è da graffettare, sporcare, mettermi del Blu sotto il palmo della mano. Chinato a riavvolgermi nel mare aspro per giocare a riemergere trattenendo il fiato: sotto le onde la luce s’attende diversa.
gen 20, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Dreams from Our Father.
Rarefatti ad un obelisco, presenti d’un puntinismo,
ad memoriam abbracciati.
Fonde sottozero la pelle del presente:
sente, avverte oltre quel che la banda tende.

Oggi, se per brindare. Oggi, ascolta e sogna.
Oggi è già quel che non ti accorgi.

gen 17, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Bluegrass and stars.
Precluso canuto
sepolto ossuto
rubo squarci
di legni marci
tra fiori e santi.

Elga voglia
avanza lenta
stanca l’ombra
lava l’onta
e raschia l’aria.

Salvo in fede
incrocia croste
lima unghie
glassa chiese
inchina le chele.

Marta canta
brezza di pane
bucato di rose
sole diamante
nome al colore.

Precluso canuto
sepolto ossuto
rubo squarci
di legni marci
tra fiori e santi.

Fermo corre
equo al centro
raso binario
bolla colla
schiuma d’onda.

Clara contessa
ricama atti
impone attori
imbalsama cuori
catrame ai polmoni.

Precluso canuto
sepolto ossuto
rubo squarci
di legni marci
tra fiori e santi.

dic 23, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Bardo’s Carol.

Cascata di fumo sul parquet lucido.
Bardo il piccolo s’avventa contro l’ospite inatteso e sconosciuto. Fa il feroce ma in realtà si squaglia al primo sole perciò l’attacco non va oltre l’intenzione. Ad un ridosso di bottone già son girotondi e scaglie di furore in burro agrodolce. Solo quando si accorge del mio stare a guardarlo allora si riavvolge mentre il nuovo arrivato guadagna l’attenzione.
Piacere mi scusi si figuri fa sempre così con gli sconosciuti ma le pare ci mancherebbe gradisce un cordiale no grazie diamoci subito da fare effettivamente l’ora è tarda e qualcuno si potrebbe svegliare.
Poggiato il sacco e svelato il laccio eccone uscire quel che muore a dire. Convenevolmente imbarazzati e sorpassati da anni allunga ossa ci si guarda come la prima volta.
Non si doveva disturbare guardi che per me è un lavoro si guadagna bene lasci stare non mi dirà che va tutto in beneficenza davvero le assicuro che lavoraccio mah cosa vuole che le dica una volta all’anno perbacco dunque tutto questo e beh e certo.
Comincia a nevicare ed al primo fiocco tutto di colpo diventa manto persino Bardo s’affaccia quieto al quarto angolo della finestra in legno ad osservare il freddo mentre si lecca il pelo.
Quindi ora riparte per ma faccio la Francia poi la Spagna pensavo andasse a oriente no è che mi è più comodo l’antiorario guadagno sul fuso non mi dica le dico non mi dica le dico vuole un caffè grazie ma l’ho appena preso dal suo vicino e così deve già partire allora all’anno prossimo all’anno prossimo risale dalla fuliggine no se non le dispiace esco dalla porta ma le pare come una persona normale beh se ci passa la pancia ci passa tutto il resto ah ah ah ah anzi direi o o oh o o oh.
La coda di Bardo s’è smessa il volteggio ed ora se ne sta placida come la sua palpebra accanto alle lucine che gracchiano ed incantano. Lo saluto soffiando sulla candela e lui nel buio sogna un allontanarsi dei campanelli bianchi.
dic 13, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Legoland.
Caro grande B.
discendiamoci al nuovo l’avvento con il pretesto di una pregunda che ci obbliga allo scandaglio interno.
La notte DellaSanta porta un’alba dove se stai attento ci son più finestre accese.
Vorrei di tanto un paio di stampelle, non per la rottura ma come vagito di rinascita. Conoscendo il lento del tempo non mi sono azzardato al volere un verticale, ma il team ci sta lavorando e questo è già un vessillo da innalzare.
Vorrei un tetto caldo per riporci la paglia e una veranda dalle cui vedute immense dare al Blu la giusta dimensione al sentimento più grande.
Vorrei una parrucca in meno sopra uno sguardo fiero.
Vorrei un sorriso al termine del discorso e non una ricerca di quel che non sono.
Vorrei a sorpresa delle cuffie per giocare a dove un tempo mettevo la voce. Non per altro, ma per essere cullato dalle note e riscaldarmi il motore perchè il viaggio ora riprende la costante con una variabile nuova ed eccitante.
Si sa mai.
nov 21, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Traccia 03 – Nessun artista.

Incollato di puzzle in questa colonna ferma, tutte le mattine un singulto vomitato al lavoro.
Per favore, tutori dell’ordine: al sorpasso di noi scaccolanti dovreste per cortesia lampeggiarvi perlomeno oppure cantarvi sincopati con sirena al seguito. La cordialità di un’urgenza, un salvataggio di vita o sventata rapina sarebbero non solo altamente ma semplicemente comprensibili: l’arroganza e la negligenza del parallelo codice stradale di vostra competenza vi manda invece in vaffa da tutta la truppa inanellata e assonnata.
La manopola arcaica ormai è digitale e quando la sgranello col pulsante per l’abitacolo s’infondono i ricordi. Domani – mi infradico – è il compleanno di un fraterno amico. Ancora mi sberluccico se penso al secondo giro di ruota che tra poco svolgerà al mondo. Mi sembra d’avere un cuore doppio. Lui è l’ultimo pensato accostato alla parola padre ed il primo pronto fortunatamente a ricredermi. La gioia gli gattona accanto e l’abbraccio è per natura esempio d’ammirazione per come sta camminando con le mani strette in quel che ha creato.
Quando alzo gli occhi già da alcuni giorni l’attesa in questa carovana assonnata mi regala il metallo di una gru protetta da mucchi di sabbia, sacchi di cemento, trabatelli , as de put, betoniera e compressore. Li conosco, ne sono sicuro. Non per nome, uso e ricordo. Diverso.
Ne conosco il profumo. Stamattina accanto al paesaggio c’è parcheggiato un camion. Impresa MC.
Mio padre. Non c’è, lui. Ma c’è. C’è il suo maglione appoggiato al badile, c’è un pacchetto di sigarette per terra, c’è la portiera appena aperta che spiraglia il sedile dove mi siedevo accanto a lui.
Adesso lascio l’auto al destino di altri clackson e me ne vado a impastare un po’ di malta con lui.
Ma non lo faccio. Continuo a seguire la mia strada incolonnata.

Smucky è in macchina con me, spaparanzato dietro ad inventarsi facce strambe verso i passanti che da fuori ne guardano lo show dai finestrini. Lui allunga la lingua, gonfia le guance e ogni tanto finge di svenire. Con questo trucco ha già fatto allarmare una mamma con carrozzina ed un vecchietto dalla vista aguzza: entrambi li ho visti trotterellare di gran lena agitando le estremità verso il lunotto posteriore. Quando sono a due passi dalla carrozzeria Smucky si alza all’improvviso regalando due mezzi infarti. Divertente, qualcuno dice. Bastardo, ha urlato il vecchietto.

- Smucky che intenzioni hai oggi?
- Allungare qualche vita.
- Se vai avanti così mi sa che devi applicare un inverter al metodo.
- Partendo dal fondo la costante si trasforma in variabile.
- Oi.

Verso l’arrivo c’è sempre un balcone con un paio di girandole appese. Oggi dal gran vento son candide e pronte al balzo. Un giorno voleranno via e raggiungeranno lo stormo delle colleghe perennemente in viaggio nel Blu.
Siamo vicini al tuo giorno dell’anno.
Ti dono il mio inchiostro oggi in regalo: prendilo all’Amo.
nov 15, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Spostamento Compton.
Un bulbo più grosso della mia deambulazione mi avverte di doverti tenere stretta, rannicchiata come la brace attorno al fuoco che ha visto bruciare. I miei sogni si divertono a raccontarsi mentre lo scirocco ci miela di un salvarsi reciproco inadatto ai lontani. Toccandomi la pupilla ora sa di spillo, preallarme d’un buio che sento fra le pieghe delle rughe.
E mi guardo attorno solo per riconoscerti, per sentirti fra le mani, per non avvertire la mia assenza. Ogni volta è un asceta a cui pongo un bacio. M’imbarazzo all’inizio di questo nuovo ciclo da mezzano all’erta del nuovo millennio non considerando altro che questo sentimento eterno pulviscolo dell’universo. Ombra dentro il lume, appanno nella rugiada. Vestimi dal mio tremito col tuo fiato caldo e offendimi se non reagisco. Nel nulla vago per la fiamma che hai voluto mostrarmi sfidare i venti.

Mi sentite là fuori?
La strada dei giorni passa veloce
ed ho un ritorno sempre più breve
mentre m’indecido su quale senso debba orientarmi.
Vagando nel caso mi presenterò ad una costante.
nov 5, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Suonano alla porta.
Il telecomando del mio fiato resta al livello di un piatto e sottile affanno. Pluvio con la bocca aperta m’atteggio a discopolo privo d’un peso ma fermantato nell’attimo del lancio. S’aspetta un cambio di paesaggio mentre orrende creature vengono schiacciate sotto le scarpe e raccolte da troppi avi. L’accoglienza strugge in voce dietrostante al megafono ed affascina di una distanza sfalsata. Femmina è il canto, le curve attraggono, l’occhiolino strizza un prossimo participio passato.
Le nuvole passano veloci accarezzando il basso ventre. Soffio per allontanarle perchè la promessa è già ciò che m’attende.
ott 20, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Un deserto che conosco.

Vuoto alla mancanza d’uscite in sillabe,
calamita spugnosa di carenze ferrose:

mi s’è riquotato il mio inutile rame tossico
mentre non c’è rispetto nemmeno per i mostri.
Pino mi deve 4 euro e novanta, al fare il conto della serva si aggiungerebbe un cappuccino. Ma lo lascio stare eh tanto tutto torna e prima o poi lo becco ancora con quell’aria da poverello mentre sceglie il suo listone di parquet preferito. Io non so come faccia certa gente. Guarda. Brutta bestia l’invidia, dai lascia perdere. Lascia perdere cosa, ma ti pare, ti sembra, ma io non lo so. Cosa vuoi che sia.
Ieri Tommaso mi ha detto Il Gatto ha tagliato le ruote del suv di Oscar solo perchè lui dice doveva arrivargli il messaggio.

- Lui lo sa? No, lui ha già capito. -

Mentre zoccava il punteruolo ruotandolo al seguito delle tre di notte canticchiava sereno tu sei cattivo con me perché mi lasci da sola e ti guardi quei film un po’ shhhhh la camera d’aria scendeva e lui se la godeva beato d’un trono malato, incurante del rinculo e del Carlino al quarto piano che lo aveva già radiografato per un possibile domani senza più niente di quel niente insonne che odierno si porta addosso.
ott 7, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Pensierino sul comodino.
Variazione di registro.

Mai più tentare di allargare il sorriso a chi non lo vuol fare. Mai più credere di offrirlo come medicina a chi preferisce la trasparenza della negazione. Inutile spiegare alla ruota che l’oggetto rimane lo stesso ma cambia la prospettiva. Gli eventi, il destino, il fato, le decisioni, accadono per tutti distribuendosi in egual modo. La fortuna e la sfortuna non esistono. Esistono solo pessimismo e ottimismo: il primo non porta a nulla, il secondo a migliorarti. Migliorandoti comprendi di avere più soluzioni allo stesso problema. Il problema in realtà non è un problema, ma un evento da valutare. L’ironia si conquista con la diversa prospettiva. Si può variare la storia solo modificando la propria storia, agendo senza paura e preferendo i rimorsi ai rimpianti. Dall’idea nasce l’azione. Da una buona idea nascerà una buona azione: la perpetuazione delle buone idee forma il buon carattere.
Un buon carattere porta ad una buona visione del mondo.

Buoni non si nasce: si diventa.
set 29, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Frena.
E possiamo starcene qui finchè vuoi a ciarlare del traffico che aumenta ogni giorno e che da ogni giorno s’allunga, del Natale che arriva subito dopo Ferragosto ed è ormai solo un centro commerciale, della campagna che v’era una volta e chissà dove mai se n’è andata, dei politici che si illustrano ma che non si sporcano per paura di perder l’unto, del vendersi l’anima per comprarsi un corpo e viceversa, della moda che cambia ogni stagione fino a mandarci fuori taglia, dell’ impertinenza di chi si crede mai quella senza filtro nella testa, dell’uovo nato al cospetto del culo del gallo senza il rispetto di chiedergli almeno il permesso
e sul finire della litania avremo sgranato il nostro rosario pronti per l’alzata del capo accorgendoci dopo l’istante che siam appena passati col giallo.
set 29, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Frena.
E possiamo starcene qui finchè vuoi a ciarlare del traffico che aumenta ogni giorno e che da ogni giorno s’allunga, del Natale che arriva subito dopo Ferragosto ed è ormai solo un centro commerciale, della campagna che v’era una volta e chissà dove mai se n’è andata, dei politici che si illustrano ma che non si sporcano per paura di perder l’unto, del vendersi l’anima per comprarsi un corpo e viceversa, della moda che cambia ogni stagione fino a mandarci fuori taglia, dell’ impertinenza di chi si crede mai quella senza filtro nella testa, dell’uovo nato al cospetto del culo del gallo senza il rispetto di chiedergli almeno il permesso
e sul finire della litania avremo sgranato il nostro rosario pronti per l’alzata del capo accorgendoci dopo l’istante che siam appena passati col giallo.
set 27, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Piano americano.
Apri la finestra, richiudila in fretta e sbircia la nonna tener per mano la gatta morta. Apri il portone, richiudilo in fretta e scorgiti padrone di una gloria senza frutto e passione. Apri la veranda, richiudila in fretta e aspira la polvere di una cosa perfetta. Apri la cantina, richiudila in fretta: c’era una volta un buio di raccolta. Apri la soffitta, richiudila in fretta: c’è troppa altezza che ti aspetta.

Furto e manutenzione compresi nel prezzo. Banale, noioso, già visto. As-so-lu-ta-men-te anticonvenzionale. Leggi della natura ed elementi irrispettosi. Correndo dei rischi s’impara l’inchiostro.

Nei giardini notturni si annida un rospo dalla voce grossa che se lo baci nemmeno ti ascolta ma fugge nei pressi di un solo lui sa ruscello esibendosi in un tuffo plastico col gesto dell’ombrello. Se lo insegui prima ti bagni poi risbuchi da una grotta che in adolescenza credevi morta ritrovandoti disteso ad osservar quello che hai vissuto senza nemmeno poterti rivoltare indietro ma attento: tu non sei più quello.

set 22, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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E mi si spegne l’amarcord.
Il rialzo più corposo e formoso degli ultimi anni se ne sta a marcire nel retrobottega del mio frigorifero. Senza riciclo nè aspettativa di vita pari ad un moscerino gode solo per quello che è, nell’istante, e mai per quello che avrebbe o potrebbe. A pensarci bene è quietante ed è proprio per questo motivo che m’ascende e m’aggredisce all’apertura dello sportello. Troppa vita uccide. Vagherò per tutto il resto del giorno ripensando a quel tanfo. Lo decido adesso mentre nel frattempo son già chino a sturare il cesso ed un effluvio di ritorno aggredisce il mio contorno. Ho come una voglia di ciliegia stampigliata a primo indizio d’enigma sulla guancia destra. La meticoloso di riflesso nello specchietto retrovisore mentre sono parallelo in guida alla litorale che costeggia una oscillazione d’onda in sol minore.
Bevo per ricordare e appena mi si accende una lampadina ci soffio sopra e mi si spegne l’a m’arcord in squaquaron.
set 16, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Round and round.

Dovresti scrivere più meglio, mi dice. Essere sciolto, comprensivo, comprensibile e vedresti. Primo me non mi riesce. Ci provo e mi ci metto addosso ma non m’esce. Fare come facevi col pallone in allitterazione. Ma il tempo e lo spazio non van più di simbiosi, neanche con lo sforzo peggiore riuscirei a rivivermi con un unico punto focale. Dovresti far giù un romanzo. Ci vogliono i dettagli e io adesso come un adesso di anni non ho più il controllo del contorno. Per esserlo di nuovo avrei bisogno di un tavolo alla fine della corsa ed in questo tramezzo io sto ancora annaspando nel mezzo. Ti farebbe bene. Un sacco di belle cose mi farebbero bene. Un milione di euro, accarezzare la Sistina, prendere il volo di Wright ed avere pezzi di pace da unire, noi e loro. Avresti di nuovo un sogno. Ce l’ho già un sogno. Più di uno, ma devo soffiarci sopra che ancora scottano. E poi. E poi mi si scioglieranno di nuovo le parole, vedrai.
set 12, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lascia fuori i fiori bagnarsi.
Perdi la scarpa scendendo dal tacco. Cadi mostrandoti estate. Fa un caldo ghiacciato d’isola deserta. Al finire della staccata prima del curvone sporgi il piede per paura di un’altra dimensione. Salti sul muretto e osservi la Riva, il suo andirivieni confuso e ti astieni. Non ne vuoi più sapere di quel che già sai e che hai smesso di conoscer per quel nulla che non comprende i sogni. Preferisci donarteli stretti senza pubblico e senza gesti. Solo l’eco ti consuma e ti consola in una quiete che ora ti assapora. Ed è monatta l’aurora, è calore d’una vita vicina, è sapere del tuo conoscere pelle arrivarti fin dove poni gli occhi. Sei già tornato dall’oltre, affascinato e disperso senza niente. Hai cercato quel che non serve tranne alla quiete del mentre per te e per chi ti sta accanto. 
Lascia fuori i fiori bagnarsi. 
Una coperta sopra le spalle, una vespa con la candela gracchiante, la pace nella ricerca di un funambolo che tesse il suo strizzarti l’occhio distante.
ago 29, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Pasta e ceci.
Son così dentro da tanto tempo che il rindondo ormai non mi scolletta più. Ci siam fatti amici ed ogni volta che ricapita spesso ora io lo accarezzo. All’inizio era un disgusto muffato col pelo alto: ora è tutto un sorriso dietro l’altro. Senilità saccente dello scavalco brizzolato. Sarà ma mi pare sempre più che non ci sia l’uscita da questa gita a Lago Nero. Così mi fermo e perdo tempo ogni volta che qualcuno si crede di stupire. So già come va a finire, ma mi piace la copiacurva di Gauss nel suo modus operandi e così lo lascio fare. Vorrei avere ancora quel peccato originale, non sapere che oltre l’invio si nasconde un cuscino pronto ad addormentare il mondo. Perciò mi cerco in quella credenza di svolta, in quel pertugio diretto alle nocche, in quel colore dell’onda di ritorno.
Poi m’appoggio al muro, inclino l’asse delle pupille e rigetto l’universo. Ciuco sbronzato di pinte al trifoglio cerco la fortuna sulle piastrelle del cesso cadendo riverso sul mio nuovo distinto carattere estroverso.
ago 25, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Sale.
Maggio a nove anni mi scendeva dai campi di grano. More disperse per selvaggi affamati di una vita d’acqua torrente. Il fieno in covone del vecchio Tone scavato a mano per chiedere il pane alle vipere. Lucciole euforiche, caldo sul ventre e corse verso il rosario. Due calci un attimo prima dell’ennesimo bucato, Borghi eterna promessa, baci sotto alle viti e uova calde scappate dal culo delle galline in fuga. Bevi che fa bene, tutto d’un sorso, viscido e rugoso come l’arriverà. I ragni giganti ed i topi fra i tondini del ferro, polvere da piegare, schiaccia la pressa, soffia e pianta il chiodo. Segna col gesso e tira il dodici per le molle di Cinisello. Il magazzino di lana di vetro ed il trial a sgommare il sentiero. In cima al monte si vede il destino ma per scrutarlo bisogna andarsi a prendere l’alba. La croce dell’ Ubione si illumina a Ferragosto e la festa non ha più la voce che gira la ruota. Le lucciole chi l’avrebbe mai detto quando meno me lo aspetto arriva un vento caldo di bacio. Il milanese è un dialetto melenso che smette il canticchio al cospetto del freddo.

Brucia il bosco adesso ci piscio addosso mentre si disfano ad uno ad uno i nodi al gomitolo che si porta a spasso un micio spelacchiato. Torna da dove sei venuto, coltiva l’orto, amane i frutti e non aspettare. Le corse a derapare, le ginocchia sbucciate, il sangue sopra il labbro, le botte al calcinculo, le mani sul collo, il bagno nel fiume, le musicassette eterne.
Ruba un cioccolatino, canta a squarciagola, accarezza la testa di tua nonna.
Suonare le campane appendendosi alle funi con le mani del matto che ti alzano a volare. Mi picchiano col bastone per essere migliore, mi raccontano barzellette sconce, mi mostrano seni fintamente ingenui. Non si gioca sul piazzale, non si entra nella cava, non si mangia con le mani.
Che cosa pensi?
Sereno.
lug 31, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Sgusciare con forza.
Mi metto in podcast abbandonando la crapa di quarantacinque gradi torsa verso il collo e pendente di un aggravio che mi fa declassare le pupille a sottocoperte delle palpebre. Una pennichella salubre che nuoce al mio movimento con brio ma nel contempo contempla lo strato di grasso spalmato sull’esistenza.
In questa r.e.m come fuga d’uscita abbatto i muri con il mio alluce valgo e sprizzo soda dalle meningi. Sono il supereroe de noi altri e maschero la mia costipazione con un gesto da consumato attore. Mi duolo di quel che conta poco dandone un’apparenza esagerata. Così mentre l’attenzione vostra curiosa sull’occhio di bue io ho il tempo di sfresiare le quinte e mischiarmi fra i tavoli fra un Martini e un barracuda d’agente molto fiducioso ma dall’animo assente.
Arrivo,
dammi il tempo di un fuoco.
lug 21, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cambusa.

Lo sfumare del rosa fra l’orizzonte delle nubi ch’osservano l’oceano mi rende irrequieto.
Troppa acqua oltre le ciglia sperde i granelli fra chi si rincorre.
Si fiuta un’attenzione salmastra dietro quelle rocce e i brividi che ora attendono bruceranno fra le ossa a mollo.
S’alza un corpo di me che ruggisce: lo lascio giocarsi sul limitare delle conchiglie mentre alla nuca mi colpisce una risata stanca.
Sarebbe già d’andarmi a cambiare in prestito, ma l’aria è ancora buona e quando racconta mi rende accovacciato e sgombro.
Ascolto un piacere volgere e sfumare mentre rassetto il mio cielo.
lug 14, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Terzo stomaco.

Sangue, baci e rifiuti,
battono pure i grandi ideali:
sul ciglio della terra a restar muti
coi marciapiedi inquinati dai cani.

Spulciando le bugie il peggio s’è rotto
dai non dirmelo anche tu sei connesso:
allegria con trionfo di patatine e giramondo
su questa spiaggia ricoperta d’inverno.

Pace assolta in antiquata d’archi:
acqua ghiacciata che rinfresca i corvi
sopra un fumetto di quando cantavi
e scalza d’un passo che non ricordi.

Massa in tulle dal corpetto ad aghi:
giochi nei cluster senza una rete
spinta dall’alto nascosta fra i rami
con occhi di panna e unghie da prete.
lug 8, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Sventolando la quinta essenza.

Ma come la si fa ma dai
ma non si può che poi
e chi lo sa se si va
guarda meglio no.

Che vien la guerra a noia, gli sgozzi a clavicembalo, meglio star dentro.
Certo, pacca sulla spalla. Il miglior pericolo è il cemento. Ti incolla lento a convinzione che si sta meglio sotto il tetto.
Fuori sparano notizie ammorbo, hai sentito? Terrore, brivido, raccapriccio.
Il peggior sbaglio è l’assetto.
Una vita, miglia e miglia.
L’equazione non regge.
Mica tempo da perdere a star fermo.
C’ho un sorriso da tener sveglio come unica magia da insegnare fuori e dentro.
lug 2, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Ercùle, Magiste e la Cornucopia.
Quest’anno niente zaino in dove metterci le pieghe dell’albume.
L’afa non sarà surriscaldata ed i sandali non si sbricioleranno fra nafta e onde come quasi di un giro esatto a distanza di un anno.
S’è giocato al lotto un volo diverso, incipriato di verde e onesto.
Più che altro denso. Meno miglia e più cazzuola, dritti alla méta passando per la filiera dei follicoli frementi.
Batti giù il muro, tira su la pianella, sfratassa la vita che per ora raddoppia.
Poi, ‘sa mai, si farà pure certo un tris.
Zen orobico in trepida attesa di forgiarsi bucolico e col sorriso grande, pronto con un poker di mani ad accogliere gli umani dal sapore amico intriso.
Prego, accomodatevi, ma che bello qui.
Costina? Braciola? Ce n’è per tutti, ce n’è per noi.
Vado a rifarmi il rendering.
giu 30, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Foxtrot.

A sö stüf, a sö pecét!
Afferra l’impulso e stritolalo di santa pazienza.
L’alzata al gallo onirica di progetto già scritto spesso non corrisponde al reale aspetto del mondo a omnipresente immagine e somiglianza d’altro.
L’apertura della valvola a cascata del tuo rimmel reattore di sciagurata portata non può tangere le mie rotule nè tantomeno le mie orbite.
Le variabili tendenti a più infinito devono essere cogitate per farne uno sbuffo e accettarne la rotazione.
La voluta del tenersi a controllo tutto per tutti non ha un senso, non ha una volta e porta già connotata la direzione sbagliata.
All’atto del diverso andamento basta inspirare e mai e poi mai scattare, basta sciogliere i neuroni prima della pancia, basta insomma baciarsi, sgrullarsi e vuotarsi la riempita d’altri.
Sti cazzi.
giu 27, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Prodotto interno lordo.

L’abolizione della mielosità.

Succede perchè è il ciclo, è naturale, è istintivo, è animale.Il contorno affascina il tuo sembrare questo un mondo migliore ma: no no,non è così, non è nemmeno mondo questo. Forse.

La crisi contribuisce alla fratellanza, la scelta di contrapposizione fra destra e sinistra funge da archetipo sul quale si basa la devianza.Via, sostituzione in corso con un conclave di atei piedistallato ad assemblea.
Addio opposte fazioni fonte di pochissimi secoli diatribati.
La convinzione sta nel primo granello. Poi i post dei posteri emetteranno la sentenza ma resta la certezza che serva una prima fiammella.
Ecco i mie polpastrelli sbruciacchiati qui a contarla: vomitate i sudoku incasellanti. All together now, senza suoneria.
Più Beatles.
Altrimenti altro che bruciare il disavanzo e spolparsi in pasto ai burocrati.
A scatafascio, beati e ‘gnoranti.
giu 24, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cabinovia.
Ma per la mano stretta
nessuna paura non detta
spigola a stecca.

Poli a vapore catodici nel dolore, loghi per lombi pronti al taglio e saponette per lavarsi via dell’altro. Quando è successo che mi son scordato di spruzzarmi via il veleno? Mi scordo sempre i fattori importanti, ne inverto gli ordini sperando di sovvertire l’imponderabile per poi fingere d’adeguarmi al dividendo che ottengo. E’ una funzione trigonometrica che eccelle nell’esposizione a catena di cellule elevate al cubo dei miei desideri.
Ci sarà un online di gestionale dove potermi contare le patate, disquisire sugli acquisti delle mie cicatrici ed incrociare i dati su frequenze radio inerenti a quando avevo i capelli: appena lo becco non me lo faccio sfuggire di per certo. Me lo sbocco nel gargarozzo fino a dove scende il fresco prima di inclinarmi sul mio personale tappeto d’erba che guarda sempre il cielo mentre crescono gli insetti e mi leccano i piedi.
Vado: meglio che torno a cercarmi un santo patrono dall’aureola d’oro e il portafoglio colato nel vuoto d’un credo a mezz’aria fra terra e cielo.

giu 11, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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On/Off.

Mi appisolo di altri mentre stan cercando di vendermi sughi consumati di vite a birillo.
E si vantano, persino. Sbrodolando oltre il cortiletto in miopitura da regno ma tolta le lente non rimane neanche l’effetto. I grandi sono altri, i banali sempre contrari. Gli amici annaccquati sul serio anche se basterebbe il verbo per rendersi speciali. Loro sì che andrebbero premiati e non questo rotocalco unto da barbiere per pelati.
Mi si frustano i conteggi dei minuti tentando di scovare almeno un accento diverso ma incoccio sempre in chi si crede quello e chi si crede bello.
Resto affascinato per più di un secondo di troppo da questa ‘ü’, ad esempio.
Ci si potrebbe costruire un mondo gutturale e immenso.
Quasi quasi riapro i miei chakra e mi svendo. Tanto per rivedermi da vecchio nello splendore del gesto, confuso fra la folla del mattino al mercato del pesce mentre si tasta chi non ha più ne ha mai avuto veramente bisogno d’aria.
giu 4, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Alfabeto morse.
Che neanche Mighty Mouse.
Appenderebbe pure lui il supermantello al chiudo sbofonchiando mogio difronte alle babbucce di kryptonite azzurra. Plastica annienta cori di giubilo, ovatta bip bip che ascolta e taglia ogni boria.
L’angolo di 15 gradi permette all’occhio di infessurarsi oltre l’uscio e spiare chi ti viene a trovare.
Saluta cortese e si riempie la sfida di ogni santi. Quando non sai più a chi votarti cominci a contare le rughe del soffitto e aspetti lamette da barba, fumetti e un colore diverso dal verde stanzone.
Le voglie si alzano dal solo braccio, vorresti un abbraccio ma per ora non ti si può disincastrare dall’esser d’acciaio.
Almeno per le cuffie trasmettono un passatempo. Almeno per la pazienza è un esercizio denso.
Sorridere d’imperativo, massimo odierno requisito.
Sono qui a contarti le dita che stringono.
Per dirtelo.
mag 27, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Mott the Hoople and the game of Life.

Yeah, yeah, yeah, yeah.

Nightswimming deserves a quiet night.
I’m not sure all these people understand.
Hold on,
Hold on.
mag 24, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Stretti.

A volte si sbaglia.
Nell’attimo.

Ruberesti un pianoforte
in una melodia spuntata perfida
sul campo lungo di una inquadratura
a ricercar oltre le creste in alto
una discesa mozzafiato:
null’altro.

Laghi cobalti,
fumi di sangue dalle corde.

Un abbraccio sincopato,
un ammissione d’umano:
battiti in quattro passi
ed un tango cariato.

Specchiarsi
e svuotarsi.

A volte si sbaglia:
curarsi nel dopo,
cullarsi col quando,
lavarsi nel pianto.

Null’altro.

mag 21, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Blumpert.

Ho davanti a me Blumpert. Io non lo capisco. Mi mena la fava con i paradigmi sul Grande Fratello e mi stende ogni volta con le iperbole dei tipi che fanno italia uno. Si candida ogni volta a tritacarne. Oggi il peso specifico è incentrato sul nuovo corso. Me del nuovo corso mi frega sta cippa ma lui pastura e pastura. Io faccio sì certo, d’altronde la vita è così, ti capisco, ma dai, ci vorrebbe questo e quello. A caso, senza ascoltarlo. Eppure ne ammiro la perseveranza. E’ una dote che persa non si recupera. Lui ne ha fatto il suo ariete. Peccato che smazza. Adesso ruga con quelli che fanno le vasche. Ride, deride. Ecco questo indice da papa glielo mozzerei. E invece passa che ti passa continuo a muover la testa dall’alto in basso a intervalli regolari. Tento anche di assumere le labbra smorte. Non per cortesia, per amnesia. Rec: Ricordarsi di uscire di casa con il tasto sfuma.
mag 20, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cuscini per sonni tranquillamente dissanguati.

A memoria è la prima che passa di qui in 8 anni tondi.
Prima perchè di un qualcuno che per me è già Qualcuno.
Perciò v’allego il francobollo giallo.

Come la febbre.
Sbranatelo, e ditegli che ve l’ho detto io.

mag 14, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Belfagor.

Un quadrupede dal pelo ritto mi schizza quasi rotto da sotto il portone di due metri più avanti e abbondanti mentre sto trotterellando verso il centro del paesello. Non ci sarebbe niente e poi niente da segnalare: avrei schivato il cacciatore del ratto proseguendo fino alla casa all’angolo per poi svoltare a destra imboccando la via maestra in questa che resta una laterale poco battuta ed incline al passaggio pendolare di gente che dal centro si sposta al lavoro in auto e che con l’auto ritorna al centro dopo essersi spesa il giorno credendo d’aver fatto il suo bisogno ed invece persiste in un eterno girotondo.
La curiosità che m’assale invece risiede nella zucca di tal felino quasi già dimenticato che va ad incocciare la lamiera di un vecchio maggiolino posto difronte all’ingresso dal quale felix è emerso posseduto da chissà quale demonio astratto. Dopo aver saggiato la consistenza della lega anni 60 rimbalza a molla indietro di quasi un metro. Prima finge di esser supermicio per due picosecondi poi barcolla da fermo e infine stramazza capovolgendosi ad osservare il cielo.
Nella distanza in cui penso come si è sempre diversi nelle foto dei passati scorsi a causa certo del taglio di capelli astratti in voga quegli anni faccio i miei due passi che mi dividono dal reperto disteso e arrivato ad osservarlo perpendicolare scosto lo sguardo dal dove è venuto. In quel mentre dal portone se ne esce una crapa bigodinata seguita da vestaglia over sessanta e una voce che stridula si antepone parallela in cerca di ‘Belfagor, Belfagoruccio mio, vieni a fare il bagnetto, Belfaaaagor, dove sei anima mia, Beeeeelfaaaagooor! Beeelf… O MIO DIO! O MIO DIO! O MIO DIO! Ed è in questo preciso punto che credo le sia partita la modalità loop con funzioni di danza classica avanzate più o meno livello otto perchè Elga dalla vestaglia con ricamato il nome Elga Script Mt Bold s’è messa a girare in tondo ancheggiando i buchi della cellulite ripetendo all’infinito la calata di nostro Signore il quale ancora non appariva – sicuro che aveva qualcosa di ben altro più importante da fare tipo calmare qualche uragano verace perciò chi se ne frega di un gatto scemo che prende a testate un maggiolino.
Signora si calmi le ho detto con tono preparato da CSI. Magari non è morto. O MIO DIO O MIO DIO O MIO DIO ecco potevo scegliere un sillogismo oppure un adeguamento istat migliore al mio format morto e invece m’è uscita proprio quella parola definitiva. Morto. Cazzo dovevo studiare da inviato del TG1 depurato e allora si che l’avrei guardata negli occhi, le avrei preso la mano mentre roteava bucolica e fissandola intensamente avrei fermato il tempo con il dosato ‘lasci fare a me. si allontani ora’. Poi un passante l’avrebbe trattenuta con il giusto mix di grazia e forza ed io avrei estratto dalla tasca della giacca il mio minikitkat per gatti da città comprensivo di minifibrillatore e LIBERA! avrei pompato un fremito di nuova vita elettrica a Belfagor facendogli drizzare i baffi fino a fargli prendere SKY.
Ma la sciura ancora urla e dondola mentre perde i bigodini roteanti che rotolano sulla strada e si sporcano e finiscono sotto le ruote delle auto che passano con sopra dive finte sulle smart e muratori veri iveco e tutti rallentano perchè Elga ha messo in scena una traviata per nulla male anche adesso che mi scansa e china i suoi ottanta chili sopra il musino tenero del suo micio a gambe all’aria. BELFAGOR CHE HAI FATTO, BELFAGOR CHI E’ STATO? E mi guarda e mi odia e già vuole farmi a pezzi con lo spuntone verde plastica che regge il suo spennacchio frontale. No guardi mi scusi io stavo solo passando e ho notato con la coda dell’occhio che TU SEI STATO TU AD AMMAZZARE IL MIO BELFAGOR che bella frase, proprio una bella frase. Se Elga diventasse razionale per un momento le proporrei di farne il titolo per un bel musical perchè cazzo è insindacabilemente assodato da me stesso medesimo che sia proprio un gran titolo da leggersi su una locandina figuriamoci se messo in scena a Broadway. Si potrebbe fare: un fondale rosso sangue ed il coro greco ad esaltare la drammaturgia del momento con magari susseguente dibattito finale. Fico. Question: il gatto incarnava l’essenza del male che nulla può difronte al destino oppure rappresenta l’ineluttabilità della farsa fra uomo e macchina? Perchè il pollo ha attraversato la strada mentre Elga mi mette le mani al collo? Signora le sto dicendo che io col suo minchia di gatto non c’entro una fava lasci la prego la mia trachea perchè la pressione dei suoi pollici a salsicciotto mi impedisce di affrontare serenamente la questione con lei tramite un pacato e civile raffronto. Comincio a vedere viola il marciapiede, l’ombretto di Elga, la Polo grigia infondo alla via, la zampina che si muove di quello stronzo di Belfagor che adesso indico col poco di forza che mi rimane addosso. Guardi per favore, guardi vorrei dire alla bernarda ma in realtà quel che lei sente è tipo ARdi.. couff..ELFAr… Couff…IVO… UtA ROiA… e a questo punto per grazia ricevuta forse da nostro signore che nel frattempo era tornato dal suo giretto salva uragani Elga si volta e vede Belfagor fare un inchino con riverenza su se stesso, rimettersi le zampe a posto, sbattere la testa di qua e di là come a togliersi le piattole – probabilmente fischiettando – e rientrare lemme lemme dal portone dal quale era uscito precedendo la sua padrona.
Indifferente al contesto.
Quando anche la sua coda scompare è allora che HubertElga mi lascia andare la gotta e si lascia andare in qualcosa come mi dispiace non sò cosa mi è preso Belfy è la mia unica ragione di vita mentre penso che se non l’unica poteva essere la mia ragione di morte comunque non fa niente tranqui tutto a posto ora l’animale è risorto perciò pace sorella chiattona io proseguo il viaggio e tu rientra nel focolare a coccolare il micio ok? Lei si vede che è presa bene dal mio gergo giovane e alla fine quasi sorride e mi invita ad entrare per una tazza di the col cioccolatino fragrante e mi par di scorgere addirittura ammiccante.
No grazie.
Insisto.
No davvero devo andare.
Sicuro?
Si, mi spiace. Sarà per un’altra volta, mi ha fatto molto piacere conoscerla.
Il piacere è stato tutto mio.
Faccia più attenzione a Belfagor in futuro, mi raccomando.
Eh si, è proprio una birba. Allora buona giornata, giovanotto.
Buona giornata a lei.
Ha detto proprio birba.
M’allontano scalciando bigodini sull’asfalto.
Probabilmente fischiettando.
mag 6, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Gong.

Tra comodini e lampadari, fiati di corda tesi per forza, profili di colline poggiate su lenzuola eccomi torvo scovare la mia rosa. M’incricco passando per sciocco ma in realtà sono solo assorto in un turbine di gelo che m’ha scorticato il pensiero. Non quello per favore non è tempo nè il giusto contegno per esibirmi sul ghiaccio del tendone adesso. Mi passano certificati che si stampano sui pollici alti come in cerca di una certezza. Leggo profumi del tipo:
una giornata con il tuo idolo sfumato, gilda la calda, come traforare il tuo timpano vitale, lo zinco fuso insaziabile passatempo, cucinare le uova senza imploderne il guscio.
Era una notte buia e tempestosa coi gemelli nella grotta.
Il mattino ha l’oro in bocca,
il mattino ha l’oro in bocca,
il mattino ha l’oro in bocca.
Qual’è il tuo segreto da ammaliamento? Invitarmi a mettere virgole nel tuo appartamento, sgusciarmi le termiti dagli occhi o dosarmi sapientemente fino ad ammorbarmi?
E’ già tardi ed io son così presto. Eppure mi credo eterno e regolo le buone azioni con un trampolo da saltimbanco. Non ci si può mica lamentare o far finta di stare male quando i veri senzatetto non hanno nemmeno una rima per saziarsi la collera.
Occhi a palla esorbitanti, boccuccia a farfalla tutta casta, nasino corvino adunco e sbilenco.
Emetto e posseggo, ritengo e stempio.
Incespico al ginocchio dentro una melma oscura che succhia trattenendo vischiosa l’albume d’un alba sdentata.
Sul tappeto vado orizzontale e mi faccio un gran male.
apr 22, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Fieno.

Pare che sia molto lontano
questo universo a lame di coltello
pare che abbia un cancro
che visto da quaggiù fa il solletico
pare che sia molto più blu
di quel che ne scrivono
che abbia faticato per starsene appeso
che sia scappato in alto
quando han tentato d’acchiapparlo.

Sottomesso all’erba di questo prato
va come si giran le stelle
sembran proprio nuotare
nel loro placido bruciare
chissà come se la contano
scherzando sulla nostra statura
noi che siam bulli effimeri
e ci crediam belli
chissà che risate
chissà che risate.

Pare che sia molto lontano
questo universo a lame di coltello
che non abbia angoli dove nascondersi
perchè il nulla non ha peso
nè pensiero di vergogna
ed allora quale mai sarà la forma
forse avrà la mia ombra
e intanto passa un gatto
perchè mi luccica le fessure
si ferma, si volta e anche lui
scodinzola alzando i baffi
per poi tornare a smiagolare.

Tra poco m’addormento
con le unghie nel terreno
mentre cresce la notte
si fa strada tra le mignotte
e va a cercarsi un sottoscala
per dimenticarsi all’alba
chissà che ne dicon le stelle
come se la spassano alle sue spalle
lei che incoraggia i dubbi
ma è solo un imbroglio a rotazione
chissà che risate
chissà che risate.

apr 17, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Rintocchi.

L’occhio Martiano ingloba ed espelle profumo derridendomi di buon grado fra discussioni più che aperte. M’arRovereto col vento che spazza l’animo e con le nuvole che s’aprono a cuore. E’ una città lenta per l’ascolto e sinuosa nel legno. M’accomodo accanto a Michele mentre Anna coccola la covata scovando fra la pelle dei suoi libri universi magnifici. Dal castello vicino appare un Davide ch’appoggia i suoi sforzi sulle macerie di quel che resta per sgurlire la gente della propria essenza.
Girovago in girotondo saltando negli ingranaggi e chiudendo gli occhi mentre plano.
Quando abbraccio il signor Ruele m’avvolge l’importanza dell’educazione intrinseca del termine, del trasferire nozioni umane e della passione che questo comporta.
Come sempre al termine delle parole non si mette mai un punto e finito ma si continua davanti ad un buon vino.
L’aria dell’Adige è una cicatrice serena che non si dimentica.
apr 3, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cantar le cadenti.

Comincia un giorno dove noia è tutto il resto
comincia dal sesso e va fino al punto e croce
sopra ogni andante a firmare contratti
sotto le sottane dei guai e dei misteriosi vergogni.

Sul palco in calzoncini a regger facce da materasso
o sopra il microfono a battere i denti dal freddo
sconfortati di quel che ti butta i coglioni per terra
prima ancora d’arrangiarti la lacca sulle guance.

Cayenne motrici spero v’estinguate il conto
fuffa per chi bluffa assortita fino all’ennesimo obulo
svendita d’ali per guadagnarci con facce da ignari
brufoli a scoppio per indigestione di culi gommati.

Si fa prima che noi partiamo portandoci le parole appresso,
comitive mute beduine che s’han perso le carte per vincere
godendo fra donne con l’acca di mezzo in porcellane cristiane
e fermandoci lontano un miglio dal primo conoscente falso.

Perchè non ci scriviamo semplici
perchè nulla è semplice
a meno che
ci sia una tuba ed un colletto a fiori
un omaggio allo star felici
quando come s’alzano i bambini
che non pensano al peso
ma profumano del momento
e sorridono.

Promettimi il voto come ogni prima di maggio
poi afflosciami nascondendo il sole nelle solite cartine
pianificando quello e occultando quell’altro.

Arrivato fin qui per lo meno ti meriteresti un buon rosso in bicchiere ed una fetta di grana col miele. Quel tanto che basta per guastarsi l’alzata di volo fra il sobrio e lo sto per dire.
Quando ci si vedrà ridere senza senso a vicenda sarà il giusto per lasciarsi andare alla meraviglia e ai sogni che ti tieni nel petto. Prima di dimenticarci la sbronza avremo volato di quel che da secchi non ammetteremo mai e poi mai a noi stessi ma sarà dolorosamente splendido darsi pacche da fratelli sulle spalle e sentirsi l’affetto.

Tutti bravi a far merenda con la mia etichetta,
tutti pronti a spalarmi via la merda
ma tolta la muffa
mi restan solo le stelle
l’aria e la voglia
di cantar le cadenti.
mar 21, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Quattro agganci cardinali.

Stanotte che era come la copia sfalciata di tutte le altri ho sognato per essermi vecchio.
Ma non d’aspetto o di etica o di mentine smangiucchiate.
Vecchio di concetto.
Ricordo benissimo l’essermi detto: le mie parole finiranno dentro al cesso. Dritte dritte.
Avevo metafisicamente ben chiaro poco e certo: sei anni son più che sufficienti per sciogliersi ogni scibile fra le molecole di ogni cervello. Son troppi persino in un tempo umano: messi sui bit poi accelleranno di logoritmo.
E ricordo d’essermi svegliato sicuro d’esser ormai passato come dagherrotipo.
Non sono fatto per il movimento del pixel ma solo per quello del mio passo svelto.
Donar la testa alla tridimensione in alta definizione non è la mia andatura.
Mi piace mettermi comodo
in un posto all’altro capo del mondo,
scriverne di ritorno
e lasciar un po’ di quella mia emozione
per te
attraverso l’inchiostro.
Al massimo scelgo il sottofondo.
Per questo fatto in sogno
tornando al vuoto
stamane non mi son sorpreso
del mio esser perso
e con ritardo ammesso,
oltre un anno dopo Leonardo,
per quello che la mia carta ha scoperto:
oggi se ne esce un Signore.
E rimango muto a sentire un tRillo
dipanare il mio reale.
mar 6, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Burro.
Ma da che parte è la ragione
come se fosse così importante
pendere oltre ciò che si pensa.

La bellezza è un’arca densa
si scioglie nel pianto del mare
e raccoglie vite senza corde.

Ogni volta che gioco perdo sempre
mi piace osservare la gente
quello che prende e quello che rende.

Non ho più bisogno di esser detto
lascio le mie spalle andarsene altrove
m’innaffio di quel che coltivo
gioco con te a far l’indovino
fra un finto rancore e lo splendore
ora son tutto meno che me stesso.

Viva è la sostanza che brucia
perchè nata al suo destino
e tolta a chi dorme e a chi ruba.

Nuoto nel mezzo del vetro
togliendo l’acqua al mio mulino
senza la gioia di ferirmi un credo.

Vieni da me accennando la sera
perchè del buio ricordo la carezza
ma non il fumo della cera.

Non ho più bisogno di esser detto
lascio le mie spalle andarsene altrove
m’innaffio di quel che coltivo
gioco con te a far l’indovino
fra un finto rancore e lo splendore
ora son qui e raccolgo il resto.

feb 18, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Arpe e sombreri.
Dannato vuoto che non si riaggiorna ma muta sfumatura come se fosse inganno del tatto.
Visto che non hai chiuso la porta al gatto portati almeno un treno di crocchette fresche per lasciartelo indietro al punto giusto. Visto che hai tutte tu le risposte dammi almeno un minuto per non pensare. Visto che il tuo forno ha bruciato i miei ricordi ricordati almeno di quando eran biscotti.
Le vie di Belgrado ti guardano scrostate mentre altre aquile s’alzano poco lontano. Qui è tutto un prospetto di come sarà il macello. Fingiamo che ci interessi niente e come gli apatici migliori ci confidiamo distanziati dal mare con monocorde di sentimenti blandi.
Lo chiamavano Pedro el mulo perchè non c’era verso di farlo ragionare e quando esibiva le vene al collo sfiatava muco dalle narici dilatate come un paesaggio su un quadro impressionato da lontano.
Nocchere e cerchi dove ritrovarsi felici e contenti. Sfidati la pelle con Felicia, la donna che dona senza resto e se ti vede scontento pensa che lei sia la tua soluzione.
Adelmo non è uomo di grandi presentimenti ma a starlo a sentire ti vien da dipingere.
Passa il giorno a sputare e tirare su il catarro ma quando canta roco vale un buono per il paradiso.
Frustràti dal frullato del mondo a volte si inginocchiano sui ceci come dementi invece di allungare il passo e cinguettare.
Continuo a non capire perchè non allargano le sopracciglie e non tengano gli zigomi alti.
Da qualche tempo c’è una prospettiva che non si spiega. Non è terza ne quarta dimensione o generazione: è solo voglia di champagne a colazione.
feb 12, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Son quattro anni già.
Quattro anni già:
il tuo fiebilo di voce,
quel mezzo caffè mai finito,
la voglia di grotta
la domenica con te.

Fuori mi prende il disgelo
spezzando le lacrime al credo:
manchi come bastone alla gamba
o aria rarefatta
dalla vetta delle tue spalle di malta.

La tua gioia
s’è mutata Sghemba,
la tua direzione
sparsa nel mio sole
ed è di pace
un respirarti accanto
ogni giorno migliore.

feb 5, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Asfodeli.

Freddo che giace, freddo che tiene,
freddo che scalda l’attorno alle vene.
Si muove l’universo sta tutto dentro una voglia:
la tua collana è spietatamente morsa.
Una carezza brucia l’acqua della nostra distanza:
la tua spalla scoperta sa di carta falsa.
Sappia la destra come rigirare l’onesto:
l’allerta pare una serpente con la lingua nel cesto.

Siamo fatti per esser noi,
uno più uno del nostro orgoglio,
rampe di lancio per Saturno,
occhi tesori di Giada,
asfodeli esili al canto,
terra dalla Luna,
incroci di stazioni,
passi svelti di tango
e polvere di fata.

Equazioni rare dentro a burroni scadenti,
per quel che ne vale ci salveranno i venti.
Trema il bastone mentre vibra la pioggia
leggero come farfalla che bacia la roccia.
Dicon che le ombre eran sussurri da queste parti
sfiorandosi le labbra come le dita degli amanti,
ma il sole torna sempre a batter cassa
sciogliendo l’ora d’alba in fiori di melassa.

Siamo fatti per esser noi,
uno più uno del nostro orgoglio,
rampe di lancio per Saturno,
occhi tesori di Giada,
asfodeli esili al canto,
terra dalla Luna,
incroci di stazioni,
passi svelti di tango
e polvere di fata.

gen 29, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Chi siamo noi?

Dell’Apulia m’accoglie il bianco che si finge un celeste di riverbero sotto gli arzigogoli degli ulivi. T’arrivi e pari già a casa, con le pietre spaccate d’angolo in mano ed i misteri dietro l’atrio.
Anna racconta a quei tutti quale sia il suo sogno di carta con gli occhi di chi non s’arrende. Quando parla sfocia l’acqua d’una sorgente che t’avvolge, quando osserva scatta e s’istantanea un riflesso dal quale nascerà un progetto.
L’attorno è fatto di quadri zabrati e persone dal collo lungo che ruminano un concetto e decidono chi fare entrare fra il loro collo e il loro presunto oro.

Le locandine col mio nome sono come pasta sfoglia per questo bimbo sempre in giro e le persone che vogliono sono preziose persino mentre collegano un videoproiettore.
Andria è un cucuzzolo che par largo d’intenzioni mentre si rannicchia d’illusione in una piazza con bisettrici a Trompe-l’œil. L’aria sale dal mare e ti coglie intento a perderti fra viottoli e senzavocali. Plani fra cattedrali in porti e astronavi lunari fino al sapore che ne tiene un cartaio leccese.

Mi fan domande in video, mi raccontan passi in polvere, mi accolgono di firme preziose.
Vorrei non dire a Francesco che la delicatezza è anche un foulard d’emozioni trasmesse, ad Anna che un libro detitolato vive e s’accresce di quel che lei ha appena creato e che sentirsi raccontare dalle persone dell’esser venute apposta per ascoltare un pensiero sghembo è un qualcosa che alza il mondo.
Tutto l’attorno è stato d’inchino per il prossimo stringimano a passo d’ali.

Grazie. A chi vi era e a chi non sapeva d’esserci.

gen 15, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lettere al direttore.

Direttore
qui non si han più parole:
la moquette scioglie il tanfo
gli scarafaggi s’alzano a festa
l’acqua calda pare un miraggio
e il telefono squilla muto.

A saperlo
sembra d’essere in guerra
altro che Natale sparato
o presepe, Cannavaro
e tutte sti signuri ‘ncruvattate.

Non piglia o satellite
invece di preghiere
m’arricchisco di neomelodie
con video da star di quartiere
come i santi d’un tempo:
ora e sempre sul banchetto d’altare
ci venerano la commedia.

La rabbia discenda
come neve d’acqua fresca
ad imbiancare la munnezza
inchiostro s’esponga
d’una rima amara
prima della tonnara.

Direttore esimio,
luminare della tariffa speciale
che s’ha da fare:
qui si preferisce incendiarsi
d’andante con brio
e piuttosto che impararsi nuotare
s’ama sporcarsi nel farsi
sistematicamente affogare.

D’immutato aspetto
con immerso fetore
la saluto perso
e l’ascolto ghignare.

gen 6, 2008 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Voltàti.

E ruotava
i suoi seni
verso un ritorno
da un monte etereo.

E fingeva
di esser sorpresa
quando l’amavi
con estraneità.

E s’allungava
di riviste oscene
per uncinetti
e molle molli.

E avanzava
come l’inverno
fredda d’aspetto
e lucente nel taglio.

E godeva
mio dio godeva
nel farsi modella
per ovvietà.

E sapeva
di acqua di mare
come la neve
che sbaglia stagione.

E pretendeva
come si prega
senza scelta
nè dignità.

E piangeva
come le attrici
di fotoromanzi
in lacrime mute.

dic 21, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Insieme diciamo.
Xmas Carol.

Santo il signore
con tutte le sue forme
santo è il di Lui maglione
che tanto Egli non ha freddo
e quando lo piglio in giro
sorride
con Spirito da pigmalione.

Santo il mio deretano
salvato da tanta presunzione
lodato sia il suo nome
come avvento d’un destino migliore.

Osanna al mio amico Osvaldo
strambo e con l’occhio casto
fino al limitare del bosco
dove si perde tra bestie e feste.

Alleluja al custode del castello
sempre al limite dell’opulenza
si diverte come chiavista costretto
a serrare tanto odio oltre parvenza.

Gloria in eterno ai fannulloni
sia un editto custodirli cautelari
agli arresti dagli eventi mondani
lontano dai pericoli volontari.

Santo il signore
con tutte le sue forme
santo è il di Lui maglione
che tanto Egli non ha freddo
e quando lo piglio in giro
sorride
con Spirito da pigmalione.

dic 4, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Fallo da tergo.
Si bello dai fai la faccia felice così dai sembri proprio uno che se la gode adesso spalmati che va tutto bene quasi da mandare a puttane. Mi hai lasciato autistico sopra questo sgabello mentre tutti gli altri pazienti li hai presi col resto dei calci e adesso ti incazzi se dopo un quarto d’ora ancora faccio me stesso.
Dovevi venirmi incontro dovevo lasciare il mio mondo ma non era questa l’istruzione che mi avevi impartito lasciasti un biglietto con scritto fai questo ed io altro non ho fatto che attendermi. Inutile l’urlato del richiamo io mi son messo costante e affamato.
Ahi.
Mi sbrano con gusto e ritegno questo mio corpo di niente e di speme. Sottofondo mariachi allo show odierno radiofonico.
Ahi.
Mi fingo coccodrillo. Apro le fauci e sorpresa sbadiglio. A che ora c’è la partita? Su che canale la fanno? Chi gioca? Si bello dai fai la faccia felice così dai sembri proprio uno che se la gode adesso. Sbadiglio. Dovevi venirmi incontro dovevi.
Voglio un po di tè ed anche un po’ di me. Ci metto dello zucchero alla canna del gas e quando scappo dal cappio m’angustio con gusto un truzzo di tatuaggio con su scritto: ‘ ‘.
Ahi.
La mia linea della vita è fuoriforma. Deciso che ballo per evitare la genuflessione ai detentori dei ghigni sapienti. A Orlando c’era un vecchietto che suonava un pezzo di lavatrice da far piangere. Quando gli ho lasciato i miei spiccioli lui ha improvvisato un sorriso sdentato. Voglio i suoi denti passati. Ed un colletto alto d’una camicia a fiori solo per darmi un vanto.
Ahi.
Il mio gatto è distratto.
Se lo chiamo abbaia.
nov 24, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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25.

Qui
ci sarebbe d’ aver scritto ricami su nuvole,
oggi.
Mi sarei ‘spresso in decantate quartine dispese fra il cielo, la vita ed il Blu.
Avrei sperticato i ramoscelli dei ventricoli con agrumi melograni da far sorridere il tuo cuore e mi sarei messo in piedistallo ad attendere il raccolto per la ragiuda del pianto.
Poi invece è stato uno stridore dopo lo sbadiglio modellato in alchimie femmine e volontà elastiche fra l’egoismo e la possessione dell’amore che lo trasforma nel male suo Peggiore.
Perciò ho spugnato la mano e rimosso il manifesto dalla sua colla alla mia pelle.
Non sarebbe servito a niente, tranne che a rivestirti d’una seta infantile e fastidiosa.
Ho soffiato sopra le lettere perchè altro non erano che combinazione accatastata di un luogo comune lontano da un messaggio che sarebbe arrivato come vanità d’un dislivello ansioso di lustro.
Ho svuotato un vuoto paravento per assetare di sabbia diversa il tuo deserto.

Mi son seduto
ed ho accolto il vento.

Il dialogo m’è stato drappo per questo nuovo mantello, primo tassello d’un mosaico diverso.
Il resto è stato costellato da esplosioni lontante percebili solo dalle lucciole che precedono il boato.
Ho riattaccato le costellazioni sul lago immergendomi fino al fondo del nostro insieme.

Ho urlato a gran voce il tuo nome fra le bolle di sapone.
Ti ho cercato distante per farmi vedere lontano e sporgerti dal tuo naso per affrontare il freddo del cammino per la conquista del tepore d’un bacio.

Mi son seduto
e t’ aspetto col vento.

Sarà un arrivo diverso, come tutti gli ultimi punti d’un passato. Avrà fogli da riempire con ideogrammi kanji custodi d’un mondo e mani inchiostrate di nuove vite.
Avrà la passione di un paso doble assetato e la gioia dell’intero creato: sarà, come ora e adesso, un buon compleanno a cui solo tu e solo tu potrai darne il senso.

nov 6, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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kathak.

Ogni promessa è un debito,
ogni debito ha un movente,
ogni movente ha un alibi,
ogni alibi è un ombra,
ogni ombra ha la sua luce,
ogni luce ha la sua fonte,
ogni fonte è una sorgente,
ogni sorgente ha un desiderio,
ogni desiderio ha la sua fiamma,
ogni fiamma è una promessa,
ogni promessa è una fiamma,
ogni fiamma ha il suo desiderio,
ogni desiderio ha una sorgente,
ogni sorgente è una fonte,
ogni fonte ha la sua luce,
ogni luce ha la sua ombra,
ogni ombra è un alibi,
ogni alibi ha un movente,
ogni movente ha un debito,
ogni debito è una promessa.
ott 25, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Está saliendo l’autobús a Salina Cruz!
Mosca bastarda mi ronza la zozza l’afferro in un gesto privo d’affetto e le rendo grazia sognando una tanica di benza sciatta affinchè s’immoli a dovere come estinzione delle mie pene più severe verso un limbo senza ronzio senza nemmeno l’ombra di una scia o di un battito cazzuto verso la punta del mio naso irsuto e si plachi questo intrinseco movimento di scaccio che non serve ad altro oltre a rendermi schiaffeggi in piena faccia smunta del grasso di occhiaie stanche di una lotta impari stravolta dalla differenza fra un essere senziente e basta ed una tosta stronza mosca bastarda.

Ronza e brontola fuori dalla finestra se ne va dopo un girotondo grasso e scaltro prendendosi beffa la troia della mia rabbia per niente disciolta esce scaltra sfiorando il vetro in cerca sicuro di una cacca fresca dove porre le zampe ed apporre il suo segno marchiando il territorio materiale come se avesse campato cento anni a Natale di sicuro poi torna la bettola quando meno uno se lo aspetta mentre sto coricato di sonno fra il cuscino e il divano lei quella di certo sghignazza all’unico pensiero insetto di farmi usmare la sua puzza di conquista esterna sullo spazio della tempia dove in gioventù mi proteggeva il capello ed ora c’è solo deserto perchè di certo ha scelto quel vuoto per irridermi ancor più la stronza che ronza.

Ma fingevo
d’esser sonno.
Peccato:
t’ho accoppato.
ott 20, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Tricolore.

Plastik and China Crystal ball
sotto gli sguardi fugaci d’eterno.
Che cosa sta facendo,
che cosa sta facendo,
mentre scappava via commosso?

Gelatine e bandiere di tonno
mo che famo
famo che vandalo
però bella
pare ‘n macello.

Tanto non verrà tolto il velo
resterà gesso e cartone
animati in piazza
come tintinnii d’un popolo
elemosinato in monetine ricordo.


Oddio c’ha fatto
che st’affare?

Brulicando s’impara
quel che fugace sarà
buona pace condanannare.

Tanto non s’alza
questa bandiera tristezza
intrisa nell’apatia
incredula a cascata.

Che è successo
che cazzo han versato?

Sarà liquido papavero
o smalto per attracco
c’hai dipinto un mmm
di chi muore risveglio.

Cotto,
ombra d’un sorso,
taglio al marmo,
sfregio al clero di cloro,
curia per sarte,
ballo senza mutande:
dai qui,
che si brinda,
sgozzati di vita.

ott 11, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Hillibilly.

Questo ripieno di parole grosse straborda difronte al nulla e m’annausea.
Giro in tred attraverso un universo pisciante emozioni e sai che c’è mi dico c’è che di ritorno sono come in un fosso e soppresso dal troppo contarsu.
Poco prima del bottone della pancia se premo mi spremo umori liquidi di vacui inutili ritorni di circostanza.
Siamo umani osti, come sia che non lo sia? Gli sbalzi, i drammi, gli odi e gli ammori son cose di onde e circoli vuoti. Possibile che non si riesca a fare un rialzo oltre la coltre dell’appanno?
Andiamo, son puntievirgole che si mutano con un sorriso.
Con un sorriso.
Rimane la falce: tuttaltro è caro da spendersi.
Una sola corsa, un solo biglietto come partenza d’una scelta. Ma per favore basta discuter del tragitto mentre parte il resto.
Un taglio all’ascolto della perpetua, un inno a chi sbatte la polvere dal suo bel vestito di corpo.
Fuori dall’osso, fuori l’asso: per un’almeno prima volta sporgetevi dal carico e buttatevi nel prato.
Rotolandosi ci si sporca d’una terra folta per chiome immature al pensiero.
Puro ego.
Ma prego.

Esplora la tua caverna,
fino al nuovo mondo,
fino al nuovo padre,
fino a quando non avrai lucciole a maggio.
Prenditi il rischio del fra me e te:
vediamo se sei in grado di attraversare il guado.
Benzina sul fuoco degli amici
e una banda dietro lo striscione del traguardo.
Prenditi una tua foto
come souvenir del mio futuro:
esplora la tua caverna
fino alla luce della stella,
fino a dove potrai chiamarla veglia.
La terra di Zuma,
fra le onde e le lacrime
mi fa espandere.
E’ l’ora delle viole al sangue
e dei dessert al sale:
senza governi o bande armate.
Questo è dove sei,
dove potrai e mai tornerai.
Prenditi una tua foto
come souvenir del mio futuro
ma prima chiedi il permesso,
ch’esso è permaloso
di se stesso.
set 28, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Pozzanghere.

Guardati a lato dal destro e dal sinistro. Furtivo. Osserva la grana, resta di soppiatto.
Non farti accorgere e se ti sgamano sguscia via veloce. Ho detto veloce.
Muffa è quel che sta nel vicolo, unta fra le gocce della scala antincendio. Ed ha lo stesso sapore di queste gocce venute dal cielo ed ora scassate perchè non sei altro che il loro impedimento al terreno.
Poi s’apre il cielo e ne s’alza giù un bagliore che nulla più si muove: son gioie che non ti meriti e per questo non ti aspetti.
Doremifasolla si ripete di ridondanza come una incongruenza scalza di sottofondo al panorama e qualcosa stride come una ruga riflessa su una foto lucida ed invecchiata.
Alzando il bavero del cappotto e sfiori le orecchie per sentire se ci si sente ancora oltre il freddo ma rimani per un momento incerto sul tuo gesto come muto in una sala d’aspetto con voci all’asta per finali lieti.
Gridano i bambini in lontananza sbattendo sull’asfalto i loro capricci sacrosanti e persino dove sei ti arriva la melma del lamento tant’è che non sopporti più nemmeno la granella sotto le suole delle tue scarpe. Ti par siano troppo racchie per aderire ad una gravità oltre la legge universale che regola i tuoi spostamenti da clandestino rapace.
Ora è certo: t’inseguono e non smetteranno fino a quando non avrai ammesso a te stesso la bellezza della fuga e del suo implicito amplesso.
Mai fermarsi come unica valvola dell’andare, mai nutrirsi se non si sa di cosa puoi essere pasto.
Là in fondo c’è un barbiere: vatti a tagliare.
set 14, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Quel che conta.

Dir che cosa,
che dir s’è poco quando nulla si ha od è.

Sciatta l’acqua sporca e santa
protetta dal cielo e dal capodimonte
mentre noi si è tutti impegnati
a fingersi quelli che stan sopra le onde.

Salsa l’acqua fra dissidi e bolle
fluttua la boccia per candida protezione
e sta al vetro con l’ammiro asettico:
ottimo nascondiglio per chi vuol mostrare
un respiro curato razionandone il fiato.


C’è poco che valga al mondo
quanto gli occhi d’un tuo amico profondo.

Oltrepassano sempre l’amaro delle vene
fra il di qua e il di là d’un intarsio a contrasto,
scuotendo l’inutile e scoprendolo diverso
unendo un dividendo tradito d’affetto,
dando cognizione d’onore
al tuo bene migliore.

ago 29, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Passport please.

Che è come quando mi regalarai
d’indossarti quel vestitino leggero
cosparso di fiori sotto al collo
e sopra alle ciglia appena appena
quel cappello di paglia.

Ma non lo farai
fin quando non sarà troppo tardi
ed allora sì che saranno veri rimpianti
e non più inermi capricci
da splendida donna.

Girare per mare non so come m’è venuto. Sono salito a bordo allungando la mia mano ad un equipaggio e ne sono sceso stringendo forte i nomi di ognuno dei miei nuovi amici.
Fuori il confine è tutto di ferro saldato, grasso, salsedine e stelle. Dentro un simulacro di baita fra onde con cucina, cuccette, cuori casti e cori caldi.

Poi avevo il tarlo del medio Oriente.
Sabbia e guerra, veli e zuccheri.

Così un bel giorno il portellone della Ro/Ro s’è alzato in punta di piedi e tiranti d’acciaio per muovermi il mondo attraverso il Pireo, le danze turche, la grande Alessandria, una manciata di polvere da Gaza ed il sud acheo di un’isola spaccata al centro in vena di cemento.
Di bergamasco ad un certo punto m’è rimasto solo il corpo, genuflesso all’ascolto d’un andirivieni misto fra l’oxfordiano e ‘n coppa a Vesuvio.
Salassato da gradi centigradi ho cominciato a riconoscere quelli ufficiali, divisi dalla coperta e unti dalla sala macchine.

Miglia e quiete ad insegnar la pazienza della distanza,

la lontananza.

Il vuoto e la paura, quando davvero c’è mancato un pelo mi si è asciugato il sudore freddo con il lume di una candela promessa.
Ho dato ma soprattutto avuto, salutato dai delfini incastonati tra le tessere d’un mosaico d’antica bellezza e costellato da miseria.
Mi sono evaporato dentro un Hamman disarticolandomi il corpo e lasciando disperdere il pensiero.
Più ero lontano più mi sentivo vicino al centro del mio pensiero e quando per un attimo ho creduto d’essermi perso ho compreso che nulla avrebbe imprigionato il blu del mio oceano.

Perciò ho cominciato a ridere.
‘Quando qualcuno ti punta una pistola addosso, tu sorridi’ ,scriveva Tiziano.
E questo è stato.

C’è questa strana alchimia che per quanto non la si creda finisce per ripresentarsi al primo passo: succede che pensi sempre di partire con la testa nei tuoi due piedi e ti ritrovi allo sbarco con nello zaino mille vite d’altri che nel frattempo hai già compreso esserti entrate dentro.
Per ogni ruga di volto avresti una storia anche stavolta: di qualcuno appena abbozzata ma quasi sempre raccolta come un fiume in piena davanti ad un tramonto oppure sussurrata fra un’onda e l’altra od ancora urlata nell’assordante rumore della bestia a motore.

Scrivere di loro è un po’ come allungare la rotta.
Un giorno neanche tanto lontano ognuno di quei ragazzi approderà ad un destino diverso ma mi piace pensare che fermarne l’istante fra le virgole delle parole possa conservare quel che ad un certo punto essi erano e che senza non sarebbero.
ago 10, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Appunti per Blu.
Pizza mari e monti.

L’ombra rasenta dei canadair stenta e vibra i cucuzzoli della città vecchia a tal punto che il primo storno stanotte m’ha svegliato salato in un lago di sudore.
Invecchia le rughe da vecchia in decadenza questa arroganza di cittadina stretta mentre le spalle caduno in un rogo che se ne placida oltre il fuoco.
Non riuscendo più a dormire mi sono infilato al dito il dedalo di viuzze fino allo sbocco del porto dove ho sostato come naufrago di terra sotto la statua benedicente d’una vergine addolorata perchè rivolta verso l’entroterra. Che senso ha, mi son dicetto, curar ‘e creature a mambassa sul dirupo anzichè prostrarsi all’onda?
Senza ovvia e stilita risposta mi son diretto al molo dove ho perso un buon tempo a star dietro al pescato dei pensionati fingendo d’essere esperto e assertendo o mostrando diniego a seconda della qual lotteria fatta ad esca.
Essendo in realtà montanaro ignaro dei secreti d’ogni lenza alla fine ho riposto il bluff in moleskine e ho ripigliato l’andazzo dell’attraversar la strada senza cura del colore al semaforo.
A pizza è buuona buoona.
Fanno un profumo che nun te lo scuordi financo fossi sopra l’Egeo.
‘Namo a remare.
ago 8, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Un due tre stella.

Ho perso tutto il Santo giorno a smontarmi le gambe per oliarle e coccolarle nell’attesa del percorso.
Mi ero illuso che la manutenzione riuscisse facile: qualcosa tipo

svito prima le rotule
poi dalle vene dei polpacci ingrasso bene le piante dei bipedi
passo all’incavo delle caviglie fino a risalire alle giunture degli adduttori
concludo il tutto con uno strappo secco sotto i glutei.

Ed invece fin dall’inizio mi son dovuto arrendere all’idea che la mia passeggiata di salute m’avrebbe in realtà portato ben oltre.
Scrutando meglio la colpa è negatamente solo che mia: avrei dovuto capirlo dal principio che l’impresa m’avrebbe raccolto nel suo torpore anestetico per l’intero volgere del sole, fin da quando la prima perfezione dell’alluce destro mi ha raccolto per più di un’ora in rispettoso silenzio.
Ad ogni modo ora è già tempo di dopocena ed è meglio che mi sbrighi a proteggermi di sogni stanotte perchè lo so come si prospetta questa coperta di stelle.
Succederà come sempre succede che mi ritroverò nel deserto del sonno a cartografarmi rotte che puntualmente stravolgerò sin da Sirio.
Metodicamente catalogherò le mie previsioni del voler far questo meglio di quello e sistematicamente ci penserà l’Altro a farmi deviare intenzioni e sguardo.
Perciò via svelto ad abbassarmi le serrande dei mie voglio che tanto saranno puntualmente dissacrati dal cammino.
Niente giri di volta nel letto, nessuno sguardo al di là del baldacchino che il compagno allacciato è per natura fido e da laggiù non si schioderà se non per mettersi sulle spalle la mia casa.

Si va.
Saluto con inchino,
mozzo al mio destino.

E’ solo che
mi piaceva quest’idea
d’impararmi come si sente la terra
quando non la si può baciare.
lug 23, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Tijuana.

Tijuana bienvenido accavallo il confine
chica l’oro lo espongo senza anulari
Maria Dolores servimi un dolce ululato.

Il tramonto gracchia fra criminali e suine
filogovernativi imbustati come cartoni animati
sfila un revolver accanto a un nervo maculato.

Qui si estingue il tuo debito guapo
dove si disperdono onesti radiogiornali
ed ogni alba si shakera svelta tequila e vite.
lug 12, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Focali.

No, ‘speta, fam capì.
Che an ghè se prope mia.
Cercherò d’addolcirmi circoscrivendomi affinchè tu riesca ad intrappolarmi in un perimetro senza balbuzie.
L’avere la poesia come colonna portante incisa nel mondo NON significa non avvertirne il peso, disconoscere l’ affanno per il pane quotidiano, esser pudico senza bestemmiare dinnanzi alla morte, abbaiare alla sfiga o imbambolarsi al tramonto senza aver mai giaciuto al freddo.
L’aver la poesia come timbrica sul passaporto NON t’imbambagia nel dorato mondo del tutto mai tatuato, del comodo passaggio dal via senza nessuna prigione al giro, dell’adagio rettilineo di chi non suda le colline divenire rifugi.
L’aver la poesia come impronta sottosuole NON ti identifica col cieco pasciato stilita sordo al realismo del tondo o col privilegio del non aver mai dovuto esprimersi col capo chino dei ti prego perchè si potesse essere riconosciuti per avere un riconoscimento d’esistenza.
Anzi.
Aversi di rime cosparsi è un’essenza di chi già ha sbolinato via fin troppa merda.
Due gengive alte come cicatrice sull’asfalto sotto la fronte a carrugio maturano solo dopo una lunga esposizione a personaggi tutti equi e non molto distanti da chi si crede di un credo abbarbicato ad un pensiero quadrato molto vicino al tuo orticello transgenico.
Perciò se aspetti un momento m’allontano dal tuo ritorno d’eco per osservare l’offesa blasfema che porti al guinzaglio divenire comica abbastanza per distogliere il mio sguardo verso ciò che veramente importa a questo porto.

Non so più quanto far capire al toner delle tue copie carbone quanto di perso ci sia nel sentirsi uguali nel credo dei superiori o quanto resto d’ un colore pastello basterebbe a dipingerti diverso.

Se permetti,
mi porto a sorridere all’onda.
lug 2, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Quadragesima.
Ho cercato di respirare nel collo della birra un senso di schiuma come la porta dell’onda che lambiva le caviglie.
Le parole hanno mesciuto consistenza in granelli e se fuse di fusa s’asportavano la pelle.
Una ragazza sfuocata nei lineamenti improvvisa una danza dove si incontrano sale e sogni.
Lui le arriva alle spalle tintinnando ma non ne sveglia il cerchio immerso nell’altrove.
Quando le cinge la vita solo allora si volta lasciandogli sulla guancia una promessa perduta.
Nel frattempo corre fra le stelle il primo fischio del rintocco e s’alza il coro polifonico dei fuochi multicolori.
Il cielo dipinge uno strano arcobaleno sulfureo che cattura i loro occhi verso la distanza del desiderio. Tra il fumo e le scintille è tutto un susseguirsi di bisogni e di illusioni che s’alimentano di copie e di carboni.
Ho provato il mio zaino nuovo.
Se ci metto dentro la testa m’indosso fino ai calzini.
La resistenza ed il poggiatesta sono perfetti per la partenza.
Passerò i prossimi quaranta giorni nell’osservarmi mentre digiuno la contemplazione del mio antipasto di mare.
Un’essicazione fra l’esca e la pesca dannatamente necessaria alla comprensione d’un equilibrio infilzato che mi sarà molto utile quando il mio mondo avrà la consistenza di una bisettrice fra acqua ed aria.
giu 13, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Per quello che mi possa permettere di financo pensare la cosa sotterranea sta prendendo sempre più l’onda del mare.
Ora non ho ancora ben delineata nella capa una organizzazione di quel che mi appresto a fare ma di per certo sento forte il desiderio.
Il resto lo faranno di convinzione come sempre una mappa tornasole, dei binari, molti sorrisi, biglietti, cianfrusaglie rispuntanti oltre i lacci e le sirene.
Perchè slegata al vento la carta che manco so dove andrà a parare succede per una sorta di convinzione latente d’avvertire insito questo bisogno contundente.
Non c’è fermata, non c’è arrivo.
Un dono in fiore fra la partenza ed il blu,
un nome inciso a forma di tatoo.
Moleskine, taccuino.
Diciamola così: le ali cercheranno il loro battito proprio nel soccorso d’aiutare questo montanaro che non sa nuotare e che s’intestarda nel volersi accarezzare di brezza e sale.
Adesso avrò un poco di tempo per ricredermi snello, fare prove di trasporto fra spalle e inchiostro e togliermi di nuovo la ruggine di dosso.
Per ora sto di nuovo rimesso in sesto di gasolina.
Ho fatto il pieno, ho in testa un cerchio evoluzionistico che mi farà scendere allo stesso porto.
Me stesso, diverso, m’appresto.
Mi sento riflesso dalla distanza del sole ai tuoi occhi.
Credo che da qui in poi allungherò le parole sotto l’ombra del tramonto e pizzicherò le virgole a mo’ di mashmallow respirando d’uno sguardo quieto, calmo.
Hollywood is under me.

mag 25, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Quegli occhi allegri da italiano in gita.
L’ultima volta che passò da queste parti ricordo vecchi su seggiole a bordoasfalto intenti a rivincersi gli anni.
Aspettavano, aspettavano.
Anche allora rifecero le strisce d’un bianco rispettoso, potarono le aiuole come antiche dame o belle signore, tinsero di rosa ogni cosa.
V’erano mamme che s’appostarono fin dal primo mattino con l’esercito sgarrupato d’annessi figli al seguito e che faticarono non poco nel tenere a bada la marmaglia.
Quella volta fece in tempo a metterselo negli occhi persino il Gino, non ancora perso, che m’arricordo s’agitò disarticolando il bastone mentre decorava di bestemmie il governo ed ogni santo: sarebbe ancora degno profeta e mentore.
Fu la prima volta che vidi un camionchiosco: se ne arrivò sbuffando sul piazzale deserto del fruttivendolo, fece scendere degli stantuffi magici accanto alle ruote e poi si sventrò di ante mostrando leccornie gassate di cui m’abbuffai assieme agli altri pischelli come in un film con i raggi nel cinescopio ambrato.
Un’oretta prima del suo passaggio rubò la scena niente meno che la banda: passò in rassegna le vie attigue intonando marcette simpatiche e per nulla somiglianti alle solite vesti domenicali e sacrali.
Niente da dire: quando venne allora fu vento sconvolgente d’abitudine, dissacrante nel mischiare ruoli e fasce di gomma, eccitante per l’accumulamento nel gioco delle parti.
Malinconico d’amplesso nell’andarsene svelto.
Domani.
Domani è di nuovo qui ed io non so come girarmi i risvolti per adeguarmi al benvenuto.
Nel frattempo ho tolto i sandali di plastica arancioni, messo pelle sulla buccia delle ginocchia, preso aerei bagnandomi negli oceani, ingrassato serrande mie, ascoltato Madama Butterfly nella campagna, arso una laurea, amato al presente e dato inchiostro al mio sogno.
Perciò ho deciso: quando sarà quel momento credo che lo guarderò sfrecciare togliendomi d’inchino il cappello.
Starò ammirando l’una e l’altra molecola del suo incanto. Poi quando passerà l’ultimo in sella mi metterò di scatto alla sua ruota per soffiargli via tutta quella luce assorta gridando
bugiardo
gli ultimi
son solo
quelli fermi.
mag 16, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Pane e salame.
Madòna me,ma gli è tuch istess, niùt?
Si nonna, son tutti uguali.
Quache copie te fach?
Tante nonna.
Più de des?
Si nonna.
E te glìe scriich tutch te?
Solo uno, gli altri son tutti uguali.

Il resto passa svelto nelle pupille umide, svicola sui silenzi imbarazzati, esplode silenzioso negli abbracci.
Ovunque se ne vada il mio inchiostro d’ali ha una partenza di polvere, cemento, tronchi di castagno, sveglie alle 6 per raggiungere la grande Milano col furgoncino scassato, pranzi di formaggio e vino nell’orto, ascolti del bosco.
Gli anziani leggono aggiustandosi le parole su una monotonia infantile che nasconde le virgole e i punti in un rosario sgranato solo nelle loro menti.

Quando mia nonna
s’è messa raccontarsi sulla sedia
per la prima volta Gambadilegno
ed alla fine s’è asciugata le ciglia
mi veniva da farle una carezza
e sussurrarle: guarda che
si ride anche.

mag 3, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Bueno.
Temperature in aumento nel saliscendi del fondo interessi.
V’è un voto che toglie il veto a questo mio credo
dato dal fato e da amici sinceri non per caso.
Ho in testa questa specie di festa
dove l’inchiostro sarà una bevanda dal contesto di fiera
e l’attrazione un abbraccio forte che andrà dal risveglio alla sera.
Futuro anteriore del ritrovarsi: approdo d’una ripartenza in sol.
Sgorgo d’un sentimento denso d’ukelele e voci di sirene.
Un po’ come rimettersi fra le orecchie le cuffie e dare un play ai sogni
ma con una musica di carta e porti.
Vamos al tango.
apr 26, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Ouverture.
Scricchiolii e accordi di piano.
Silenzio grida il bambino a scuoter stomaci ripieni di vino.
Tutto tace all’ascolto: pure il grillo smette l’amor cortese al di là del melograno.
Il primo tasto modella un’alchimia di giorni a venire
come premonizione d’una promessa disdetta ad una mela acerba.
Malinconia a distanza suscitata da una danza d’accordi
che a chiuder gli occhi li immagineresti intenti a raccogliere gioie e firmamenti.
Ondeggiando il collo vien come su un tratteggio d’un arco concavo
verso due punti armoniosi e distanti
che fanno di te un ascoltatore
per un’eccezione mignon dove nascosto è il liquore migliore.
Maggio è un mese che adoro per primo.
Dove il profumo non ha ancora coscienza
e l’abbandono è come una nave pronta al porto
che aspetta la nuova via del ritorno.
apr 11, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Animo madido.

In teoria di tettonica a placche quel paio che sfrigola poi incendia è per tornare a rilassarsi ma sempre e mai per distanziarsi nelle parti.
Anzi, comune denominatore dei contendenti è dal mezzo divenire impossibile intero: per questo non ci si allontana ma si continua a premere le protuberanza.
Di volta in volta dalla faccia alle spalle son scapole contro scapole: freddi orizzonti inversi e caldi intrecci di polpacci uterini.
Dogmi dalle movenze angeliche antropoformizzano l’esistenza con massime umane e gaie: ha ragione il dialetto ostregheta che ipotizza un’esistenza plasmata per visi divini ma dall’ insert coin all’ultimo livello del gioco non è esattamente una passeggiata de salute.
Raccogliersi i vuoti a rendere delle proprie spremute zero positive e non curarsi degli innaffi esasperanti.
Qualcun cosa germoglierà a distanza di un tempo talmente infinito che non appena accadrà la dimenticanza annullerà la transumanza foraggiata dai morsi di labbra.
mar 27, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Il pub galleggiante.

L’anima in nuvola senza nemmeno un sussurro meriterebbe arterie d’oro per come riesce ad inchiostrare i pixel del suo sentimento più grande. Il suo lavoro è certosino, meticoloso e sorprendente: togliere il fiato passando dagli occhi. Oltrepassa la tua retina senza che quella sia riuscita a trattenere nemmeno una briciola della chiamata gioia. Ha un nome che gli sta stretto a tal punto d’allungarlo con una doppia O di meraviglia. Sorride da inarcare l’orizzonte e quando ti guarda ebbene guarda altrove.

Ormai le gambe hanno l’anda delle spalle e mi ondeggiano su questo pavimento galleggiante come esca fra il cielo e il mare. Raggiungo facilmente questo pub ormeggiato da esperto cliente e naturale confidente. Lucy mi aspetta ogni volta con una smorfia diversa: a seconda del sudore che le porto prepara le dosi di alcool nascosto. Stasera le appoggio sul banco trucioli e schegge.

E’ stato un buon giorno, pensa e non traspare.
Sì, le faccio intuire.
Versa nel bicchiere liquido invecchiato più delle mie rughe e già sorride per quanto si immagina io abbia creato.
Una bambola, le mimo con le braccia a culla.
Lei si sospende un po’ a mezz’aria per cercare i suoi trent’anni fa. Poi torna a lavare i bicchieri mostrandomi le spalle nude come ieri.

Tremati le mani di quel che non hai, scusami la vescica affinchè possa essere nettare delle tue insicurezze. Trovami la scusa adatta al martello: tremano le mani tremano le gambe tremano e schiumano di una rabbia possente.
Possibile che non capisca più niente?
Cominciare a ripostigliare dopo essere cura del tuo male.
Se devo essere spugna che assorbe io mi getto in pasto ai pescecani.
Fai otto respiri mentre appendi il bacio al chiodo, fai otto respiri che altrimenti vai a fuoco.
Fai otto respiri che ti brucio le fiamme fai otto respiri altrimenti non capirai mai d’aver perso i capelli in battaglia.
Ho le mani che tremano ed il mio collo tracima d’impulso un picchio spurgato che picchia.
Ho le mani che vorrebbero mentre qualcuno batte la scopa sul pavimento: è tardi ormai, è scesa la notte, e resta un’orologeria questo post per verruche e piattole.
Ti metto via per espanderti al sole dell’estate,
Sarò asciutto.
Sarà diverso.
Sarà tutto diverso.
Adesso mi appendo e attendo.
Tra poco squillerà un campanello.
mar 8, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cuffie di plastica.

Perchè poi
i mandorli in fiore.
E le vie dal sapore d’acqua
con le viole fra la corsa e l’ipod.

Sfiorandomi se n’è andata oltre
già prima che il suo profumo
invadesse la fantasia.

Il rintocco del banjo
è una pregusta di sfida:
se l’archetto controbatte
il discorso si fa interessante.

Per toccare il cielo con un dito
servono gambe molto alte:
calcolandone l’ipotenusa
significa portarsi
d’un orizzontale ben distante.

Stanze latte
imbevute da microrganismi
esponenzialmente umani:
bonificatemi la forza
per il vostro domani.
feb 28, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Amico.
Mai di cose s’accosta il verbo dovuto,
tranne alle parole.
Ascoltavo diminuirmi i battiti fra le note accolte d’improvviso e le gocce sotto agli occhi.
Rasai a zero i grazie ed i prego tempo fa, quando un angelo mi malformò di rosso il viso.
Da allora giurai a me stesso un raro utilizzo del coniglio dentro al cappello.
Ora la parentesi si fa perifrasi per un uomo che per ragioni assai diverse ha ricamato un respiro più ampio a quest’essere Sghembo.

La grandezza va ad un maiuscolo che sostituisce il tono minore da amico ad Amico.
Molti di voi passanti su questo prato a guardare il cielo si saranno accorti che qui sul lato destro si avvisa del Pallone perso.
Pochi se ne ricorderanno ma gli albori dell’elemento sono tali perchè prima del pertugio l’emozione era etere in onda a forma di cuffia, micorofono ed una luce soffusa fra due persone che hanno condiviso gran parte della bellezza della vita.

Ogni volta che avevo da dirgli un grazie mi facevo più silenzioso del solito, preparavo il cd,
abbassavo lo sfumino, raccontavo chissà quale assurda storia.
Lui teneva botta, ed ogni occasione era più che un sorriso un sorso di vita.
Premevo play, alzavo il volume a 8 e per tutto il paese Francesco allargava le braccia e cantava il suo congiungere le mani per l’immensità del mio Amico.
Qualcuno già dormiva, qualcuno lo si cullava, qualche coppia fermava l’auto sul ciglio della stradina e si baciava o si teneva stretta stretta cominciando ad amarsi.
Ed era un bel modo per accarezzarlo di un grazie.

Ora Nino sta per diventare padre.
Padre.

Play.
‘…Sole sul tetto dei palazzi in costruzione,
sole che batte sul campo di Pallone,
e terra e polvere che tira vento
e poi magari piove.
Nino cammina che sembra un uomo…’
feb 23, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Salute è il miglior complimento.

Che puoi farci?
Sorridi, anche al miglior offerte d’offesa.
Inspiri la nebbia, spanni la sua rabbia, trasformi in concime la nuvola sparsa.
Non è un male tuo, non te ne accorgi. Te lo porti a spasso come mezza canna d’un fucile di carta.
Perchè farla mia questa dichiarazione d’invasione di tendini?
No grazie, che puoi farci?
Sorridi e ramazzi accordi per altri canti.
Stamattina un fulmine all’estremo d’una scala di violino ma reso quasi cieco dall’emozione.
Non pensavo fosse possibile una purezza così forgiata in melodia.
Tale è stata la quiete che mi son per forza di cose sostato ad ascoltare le note.
Era una vibrazione che a spiegarla vi dovrei far stringere la giugulare che va dritta al petto.
Un medico chirurgo mi ha detto che in fondo siamo tutti uguali: gli uomini che si sono affidati al suo bisturi, sospirava, hanno riso e pianto in un’unica sinfonia indipendentemente dal danno.
Poi ha tirato fuori dei grossi libri e mi ha fatto passare sul viso tutta la sua vita, dal fronte russo al policlinico romano devastato.
Che vuoi farci?
Sorridevamo, mentre guardava lucido oltre le foto.
feb 16, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Spettabile Lassù S.p.a.
Signor Dio,
mi scuso fin d’ora per le eventuali inesattezze.
Volevo chiederle, ecco, se fosse possibile, innanzitutto… tutto bene?
Nel senso, che aria tira lassù?
La sua Signora, il su’ figliolo, lo Spirito? ‘Utto bene?
Ah che poi prima mi son perso di nuovo nei sentieri qui dietro: le confermo che si sentiva proprio un bel profumo di erbetta fresca che si vedeva che lei ha fatto proprio le cose per benino, che i prati ci han proprio la forma dei prati e le siepi son proprio venute su a forma di siepi perciò.
Comunque, era per dirle che ha fatto proprio un bel lavoro e che quando ci si mette di impegno le cose le vengono proprio bene, mio Sommo.
Perciò, e vengo al dunque, io volevo chiederle come se fosse possibile che ogni tanto lei faccia succedere quel che fa succedere.
Vedo di spiegarmi meglio, che di solito mi dicono che emetto suoni contorto, ma siccome è necessario che arrivi il messaggio, mi sciolgo.
Capisco che anche lei magari non è “perfetto perfetto” e che magari ci ha anche qualche vizio nascosto tipo il gioco di azzardo umano ma questo non giustifica il fatto che ci son quei giorni in cui lei si ostini a puntare sempre sullo stesso bersaglio.
Che nello specifico non sarei io medesimo ma diciamo che non è che ci vada lontano quando si mette a combinarne una delle sue.
Tutto questo non vorrei che lei, altissimo, lo prendesse mica per una critica: è che essendo a volte partecipe di cose non tanto piacevoli volevo che solo farle presente.
Insomma, mi scuso se l’ho tirata tanto per le lunghe ma è che avrei una richiesta se possibile che vado ad esporle: ha presente quei 350 chilometri di arretrato di qualche hanno fa che ho messo sotto ai piedi?
Quelli iberici, dai su. Ma mi van bene anche quelli d’altro continente. Bravo, proprio quelli. Ecco, mi son sempre chiesto il perchè ne avessi fatto una scorta di tutta quella polvere e se si ricorda anche lei ogni tanto veniva in visita la notte a chiedermi che senso dovevo dare a quello che avevo fatto.
Ecco, non è che non le avevo risposto fin d’ora perchè mi stava sulle balle, anzi me ne dispiaccio se le ho dato questa impressione ma la verità vera era che proprio io un motivo non ce lo avevo.
Ecco, se posso, ora m’è venuto chiaro il perchè ed il percome!
Perciò sono a richiederle in forma scritta quanto segue: io qui presente Sghembo vorrei scambiare i 350 e passa chilometri messi sotto le suole con un polpaccio nuovo e qualche scancellazione varia di esseri piccoli piccoli che rompono assai le balle fra le narici e gli alveoli dove di solito c’è il miele buono.
Come dice?
No, non sono mica miei. Son piccole cose per un’altra persona.
Sono consapevole che ognuno dovrebbe farsi i chilometri per se, ma anche lei è un giocatore e mi insegna che le regole ogni tanto possono essere infrante con la complicità del banco.
Se fosse possibile azzarderei anche una postilla, visto che si dice in giro che in fondo lei sia buono.
Nel senso che ci fosse da dare qualcosa in aggiunta io le cedo la mia massima disponibilità ma ci sarebbe anche qualche girino da far diventare rana almeno una volta.
Tutto qui, il resto vedo di sbrigarmelo io che dovrei più o meno ramparci fuori con quello che lei chiama Amore e che il Blu che ho accanto ogni giorno mi insegna a dare.
E’ che ogni tanto, proprio quando lei mi dimostra tutta la sua bravura d’azzardo, io proprio non ce la faccio e allora per forza ho dovuto che chiederle questo baratto.

Con immutato affetto
e spero reciproca stima.
Sghembo.
feb 16, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Spettabile Lassù S.p.a.
Signor Dio,
mi scuso fin d’ora per le eventuali inesattezze.
Volevo chiederle, ecco, se fosse possibile, innanzitutto… tutto bene?
Nel senso, che aria tira lassù?
La sua Signora, il su’ figliolo, lo Spirito? ‘Utto bene?
Ah che poi prima mi son perso di nuovo nei sentieri qui dietro: le confermo che si sentiva proprio un bel profumo di erbetta fresca che si vedeva che lei ha fatto proprio le cose per benino, che i prati ci han proprio la forma dei prati e le siepi son proprio venute su a forma di siepi perciò.
Comunque, era per dirle che ha fatto proprio un bel lavoro e che quando ci si mette di impegno le cose le vengono proprio bene, mio Sommo.
Perciò, e vengo al dunque, io volevo chiederle come se fosse possibile che ogni tanto lei faccia succedere quel che fa succedere.
Vedo di spiegarmi meglio, che di solito mi dicono che emetto suoni contorto, ma siccome è necessario che arrivi il messaggio, mi sciolgo.
Capisco che anche lei magari non è “perfetto perfetto” e che magari ci ha anche qualche vizio nascosto tipo il gioco di azzardo umano ma questo non giustifica il fatto che ci son quei giorni in cui lei si ostini a puntare sempre sullo stesso bersaglio.
Che nello specifico non sarei io medesimo ma diciamo che non è che ci vada lontano quando si mette a combinarne una delle sue.
Tutto questo non vorrei che lei, altissimo, lo prendesse mica per una critica: è che essendo a volte partecipe di cose non tanto piacevoli volevo che solo farle presente.
Insomma, mi scuso se l’ho tirata tanto per le lunghe ma è che avrei una richiesta se possibile che vado ad esporle: ha presente quei 350 chilometri di arretrato di qualche hanno fa che ho messo sotto ai piedi?
Quelli iberici, dai su. Ma mi van bene anche quelli d’altro continente. Bravo, proprio quelli. Ecco, mi son sempre chiesto il perchè ne avessi fatto una scorta di tutta quella polvere e se si ricorda anche lei ogni tanto veniva in visita la notte a chiedermi che senso dovevo dare a quello che avevo fatto.
Ecco, non è che non le avevo risposto fin d’ora perchè mi stava sulle balle, anzi me ne dispiaccio se le ho dato questa impressione ma la verità vera era che proprio io un motivo non ce lo avevo.
Ecco, se posso, ora m’è venuto chiaro il perchè ed il percome!
Perciò sono a richiederle in forma scritta quanto segue: io qui presente Sghembo vorrei scambiare i 350 e passa chilometri messi sotto le suole con un polpaccio nuovo e qualche scancellazione varia di esseri piccoli piccoli che rompono assai le balle fra le narici e gli alveoli dove di solito c’è il miele buono.
Come dice?
No, non sono mica miei. Son piccole cose per un’altra persona.
Sono consapevole che ognuno dovrebbe farsi i chilometri per se, ma anche lei è un giocatore e mi insegna che le regole ogni tanto possono essere infrante con la complicità del banco.
Se fosse possibile azzarderei anche una postilla, visto che si dice in giro che in fondo lei sia buono.
Nel senso che ci fosse da dare qualcosa in aggiunta io le cedo la mia massima disponibilità ma ci sarebbe anche qualche girino da far diventare rana almeno una volta.
Tutto qui, il resto vedo di sbrigarmelo io che dovrei più o meno ramparci fuori con quello che lei chiama Amore e che il Blu che ho accanto ogni giorno mi insegna a dare.
E’ che ogni tanto, proprio quando lei mi dimostra tutta la sua bravura d’azzardo, io proprio non ce la faccio e allora per forza ho dovuto che chiederle questo baratto.

Con immutato affetto
e spero reciproca stima.
Sghembo.
feb 12, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Son tre anni già.

Son tre anni già
che si andava di sghimbescio:
lacrime piallate su chiodi bianchi.
E’ una distanza
che m’arrossa il naso
d’un bastone che lento
trova ogni giorno nuovo sostegno.

Manchi a questa vita
come gli alberi di pere
il formaggio sul piatto nel campo
ed un sorriso
che fa la corte al pianto.

Ieri son rinato
anche per il tuo legno
le tue braccia
e quel passo immenso.

Tu ed io,
Sghembo.

feb 8, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Abbi gran cura del tuo nascosto.
I giorni del mio passaggio di consegne al mondo costeggiavano le autostrade con un ritmo claudicante e stempiato. Osservavo i treni passare fra una raccolta di finestrini e l’infinita attesa che arrivasse lo ’07 di cui m’ero già premunito di biglietto. Passavo gli incroci come giochi di traverso.
Un giorno seguii le quattro zampe d’un bastardo sino all’ansa del fiume Carso. Quando arrivò a bordoriva, come un canino fuori posto, estrasse la coda inesistente e toccato l’acqua di preview, mi sorrise e si diede all’inabisso. Dalla mia distanza di sei passi allungai il collo di buon cristiano sotto l’acqua torbida e quando già fui lì lì da capire il perchè dei bronchi il pescecane era ben più onde lontano ed acquatico. Mi salutò beato e distante mentre migrava il suo corpo da fedele ad anfibio.
Una volta riemerso mi diressi al primo bar aperto che lottava contro il buio pesto.
Al bancone c’era in appoggio un distinto signore con tanto di pipa, bombetta e frac ma senza un rene. Si lamentava non tanto del degrado della sanità quanto del cattivo gusto degli arredatori d’interno del Sacro Spirito attiguo.
Tutte quelle monotone tonalità pastello verdi gli avevano fatto sbroccare le cervella.
- Inammissibile Egregio, ne confà? Non un solo blu, non un esile giallo: solo raccapricciante acqua marina, foresta essicata, alga sciatta, vuoto portafoglio. Un’indecenza. Ma non me ne curo giappiù: meglio un bianchino che una dialisi, concorda?
Concordavo, o almeno patteggiavo come si fa di buona maniera quando dentro la testa non hai una risposta che s’interfacci con tanta degente saggezza.
Offerto lo spritz a tutti gli astanti, compresi un omino nano e villano, una mucca con le pinne ed un politico sano tornai verso il fiume per veder chissà cosa mi sarei aspettato emergesse.
In effetti, complici la sera, il manto assetato di stelle e la cura di torba a cui erano sottoposti i campi disposti accanto non riuscii a veder più in là del mio finto guanto bianco.
Rimasi un po’ come sta un quadro prima dell’aver cornice, aspettando un ritorno del mio amico cane bastardo.
Ma quello tenne fede al suo nome e non mi lascio che al nulla della mia situazione.
Solo un po’ più nostalgico di quando persi a tre anni il mio primo amico immaginario.
gen 29, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Al massimo s’incazzeranno i pizzaioli.

Un buon pianista non dovrebbe mancare mai agli sposalizi ed ai funerali.
Qui dietro, girato l’angolo del palazzo, s’apre un nido di campi e ciottoli.
Siccome fra le foglie e la brina mi scivolano meglio i pensieri m’è venuto il desiderio d’addentrarmi fra i sentieri di quando ero una mezza tacca d’affetto.
Ogni due o trecento metri hanno assestato una panchina al suolo. Incementata, si vede ancora la riga fresca di cazzuola.
I tubi dell’idraulico e dell’elettricista vanno coperti con della malta che faccia da caldana.
Una volta cosparsa sopra nasconde il colore del tubo finchè la casa campa.
Devi essere un eccellente estimatore di Nutella o al massimo avere il master in cioccolata calda per saper fare un’ottima caldana: deve essere, ella, nè troppo liquida nè troppo densa perchè andrebbe a braccetto col caldo evacuo o col freddo da spacco dove si infiltrerebbe l’acqua ed allora si che un giorno mentre sei lì che guardi l’inutilità spalmata sul plasma zac salta il contatore.
Inutile inveire contro l’assenza elettrica: vai a saperlo che il male era radicato dentro te stesso.
Ogni due o trecento metri c’è una grande piantina non erbivora ma plastificata con uno zig zag di linea rossa e spostato mai nello stesso posto un ‘voi siete qui’.
Almeno qualcuno sa dove sono.
Son soddisfazioni.
Un giorno ho percorso tutto il sentiero maestro non tanto per vederne la fine ma per contare i pallini voi siete qui.
Sette bolle rosse blasfeme sopra una veduta aerea.
Se fossi stato qui grosso in scala come il punto rosso avrei avuto un braccio sbordato come un recinto ed un naso fatto a tetto per niente rispettoso del piano regolatore.
C’era aria di nuova vita sul dorso del fiume.
Ma siamo a fine Gennaio, possibile che non esista più l’altra metà dell’ inverno?
Comunque c’è una soluzione: otto stagioni al posto di quattro.
Che problema c’è? Al massimo s’incazzeranno i pizzaioli.
gen 23, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Muschi e licheni.

La profondità del solco è la misura della scìa bianca nel blu in volta.
Pelè visto odierno non è così alto come quando si nascondeva dentro al bambino che ero.
Ieri di notte è scomparso il gatto nero pazzo che accudiva casa paterna.
E’ tornato livido quest’alba ma la notte è stata insolita ed arrogante.
La pausa fra la pulsione del freno ed il passaggio fra le strisce di un atomo bambino.
Sapere di premonizione non è privilegio ma orrore.
La chiglia della nave ha una perfezione di sale.
Oggi ho messo in punta di naso diversi perchè. Senza attendere li ho susseguiti d’incalzo perchè più importanti delle singole risposte. Mi son lasciato arcuato sulla pancia del punto interrogativo.
Beato Signore degli incerti.
Più di una morfina è un senza risposta.
Passano le nuvole ad impannarti ma più soffice è il tuo respiro quando sei e non altro.
Quando smetti l’umano e divieni conseguenza.
Quando mungi dagli occhi la voglia.
L’essere qui non mi si spiega.
Continuerò a far quello che sta meglio dove non è.
gen 10, 2007 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Sgranchiata.

Vanessa ed il suo cucciolo che si fa chiamare Iena.
Usurpano la stanza non appena ci mettono piede e si dispongono ortogonali.
Al tocco scrosciante del guanciale succede che Lupo, il cucciolo di iena, inarchi la schiena.
Al farlo la preda s’intrema.
E’ psicologico.
Walter, la preda, ruota attorno al centro di questo sfitto mondo.
S’è ritrovato cagna e cucciolo al risveglio, mentre era ancora nel letto.
Non ricorda empiricamente la notte scorsa, Walter.
Puzza di salatini e lingue tabasco.
- Tu fai schifo.
- Almeno non necessito di muti quadrupedi per esaltare il mio bisogno di padronanza.
E’ reattivo che mai l’avresti detto, scioglie la lingua in un momento.
- Fanculo.
- Buongiorno.
- Ti sei fatto Ramona.
Tubino, voglia sulla coscia. Destra. Molto agitata. Capelli a sfarzo.
- Rossetto orientale. Non resisto.
- Cosa sono per te?
- Cosa vinco?
- Idiota.
- Appassita inespressa.
- Fanculo.
- Raddoppi?
- Lascio.
Vanessa n’esce sublime dopo il profumo, prima del pelo, con il guinzaglio sciolto.
Walter torna a far quel che gli viene meglio dopo il nulla.
Lupo attende che sia dormiente, sebbene impaziente di non azzerarsi la memoria in scialle della sua prigione mobile.
E’ femmina, ma un sostantivo maschile la ricopre chissà perchè meglio.
Alza la posteriore sinistra, evacua sul raso, solleva il muso e segue la scia. Evanescente.
dic 30, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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E’ di nuovo il post del trentuno.
Ogni ruga venata una molecola allegata.
Striature che ridono quando le sfiori con il dito.
In trincea scruto, che ho quasi finito le ali.
A questo punto i triangolini vicino agli zigomi s’alzano quando lui sbaglia l’attacco dopo che Bruce ha fatto il suo giro: intona ‘If you believe’ e s’accorge d’aver sbagliato loop.
Tutti applaudono perchè s’accorgono di un qualche cosa che metabolizzeranno solo a luci spente: da ora il Dio è più umano e persino più simpatico.
Nell’istante che segna il passaggio di consegne io mi concentro su Bruce che, come me, s’accorge del fatto che il Divino ha cannato durante il parto della sua miglior creatura e per toglierlo dall’imbarazzo pronuncia Delfino qualcosa tipo una volpe magica.
Ad oggi ancora, che son passate delle lunghe notti, non son riuscito a tradurre quello scudo.
Sarà per questo, sarà perchè son stato testimone dell’evento ma fiuto che cambierà il vento.
E’ di nuovo il post del trentuno e mi serviva una intro scaltra per sgrullarmi di dosso chi di magia ne ride, purtroppo.
Due anni di scavi, di calcestruzzi, di sacchi di sabbia.
Funi strette, capisaldi, sicurezze in cemento compatte.
Sacrifici, compressioni e incomprensioni.
Scalpitii. O mamma quanto fremere.
Di ascella pezzata, di fronti alla difesa che sgrondano, di costruzione di una nuovo campo base con un proprio bel trampolino di lancio.
Ora il pensiero stretto è quello del si va che vado.
Con la testa, con la fame, con la voglia di rimettersi ad andare.
Il tondo che m’ha messo al mondo reclama il suo mio bisogno.
Non si trattiene più il desiderio dell’abbraccio fra le mani e gli occhi.
In 731 alternanze ne ho conservate di parole.
Ora è tempo di regalarle a chi di nuovo ed in modo diverso reincontrerò nel viaggio.
Ce n’è da raccontare del perchè, ce ne sarà di nuova polvere sotto suola.
Raggiante è la qual cosa.
Il dolce peso dello zaino mi sta già sbucciando le spalle.
Perciò, prima del sipario, ecco il resoconto del grazie.
In 06 perdite di cari riflessi e acquisizione di un blu assoluto: lo amo da ritorno
che è più importante dell’andata perchè m’aspetta sempre.
Aumento del fatturato interno di frustrazione: lasciamolo altrove.
Nido curato: ogni filo di paglia è una rabbia trasformata in creazione.
Un oceano m’accolto le ossa e a distanza parrebbe che la danza delle onde sia stata una culla di sale in attesa di uno 07 speciale.

Grazie Blu.
Grazie lassù di legno e quaggiù di ferro.
Grazie Mago G, che resistiamo d’arrocco per una vittoria mondiale.
Grazie Pazzi, ovunque voi siate: siete la mia forza d’amore in parole.
Grazie inchiostro e cappello Sghembo: ora è quel tempo.

dic 29, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Carol.

Se si anagramma quel che n’esce è che non si può dare la colpa all’interlocutore ignoto.
Che colpa non ne ha.
Non si può oscurare lo sguardo con chi si lamenta. Non del bersaglio presunto.
Ribaltarsi. Saltare al di là del fosso.
Guardare con gli occhi del nemico.
Scoprire il migliore amico.
Scrutare i passaggi dei propri lembi e comprendersi.
Se le prima ciglia allo schiuso si lamenta della troppa luce non è il sole il cruccio.
Lui fa solo il suo ordinato imperativo dovere in compagnia di tutto il tondo.
Non si può dedicare una rima se prima non si è già compreso l’incipit della vita.
Ave Maria, sei la prima a darla via.
Blasfema d’un’ aria in attesa.
Basterebbe un respiro.
Basterebbe.
dic 22, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Doppia V.

Smolla la bava magica dal capobranco
c’è un piano migliore ottuso al buonsenso:
sostiene che lo sforzo non avrà compimento
che dallo smembramento morirà lo smalto.

Mi piace, credo che adotterò il tuo rifiuto:
nonostante sia ameba di una qual cosa che era
lotterò sapendo sputi in cambio di una vela
ricacciando incredule urla nel pacato imbuto.

Arguto, questo karma d’amore svenduto,
comoda stamberga di contropelle in dazio:
intagliata nello sterno dell’ultimo rifugio
goccia smossa a trattenere l’estrema razio.

Tradisce in terza persona soave l’assenza
pesce che sbatte all’offerta dell’aria alta
incolpevole è il cielo di tua arroganza
nata per l’acqua s’abissa l’anima densa.

Lucida perfidia d’uno splendido saluto
sarà manna in cotone nel guanto del pugile:
distanza sorda dal sorriso al fulmine
tu svelato difetto non del creatore muto.

dic 14, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Duole di medesima desinenza.

Coffee Shop e vetri appannati.
Al nascosto per darmi sfogo mi restringo fra quattro mura per urlare la mia ira.
Non è depressione, non è tristezza, non è incomprensione d’essenza.
E’ solo mancanza di coraggio nel cercarsi diversa, è la discesa della scelta, la debolezza dell’erba medica.
E’ la scusa come difesa di una nullità d’offesa.
Niente si altera, niente reca danno e se m’incazzo non è per il mio fegato malato o per la voglia d’estirparmi il cavillo della morale, che tanto vale quel che vale.
E’ perchè sei l’unica persona che pagherà di tutto questo un pegno: nè io nè ness’altro al mondo sarà più un tuo bersaglio dentro, un giorno.
Neppure vale l’incomprensione tattica: per scontato che sia codifico decriptando anche se non ce n’è un grammo di vanto: ti si capisce eccome.
Ti si capisce a tal punto che questo ‘?’ non è fatica d’entrarti dentro, ma una mancanza di tua ammissione.
Non bisogna capirti.
Bisogna che tu capisca.
E che, per conseguenza chiamata rivoluzione, prenderne coscienza ed essere fulcro che di te eleva se stessa.
La vecchia solfa: com’è che tutto il resto funziona ed io invece.
Più grossa è la possibilità di uno scudo di scusa
e migliore sarà il nascondiglio.
Qui nessuno accusa: io gli indici non li punto, al massimo li trovo utili in lettura per riorganizzare la vita.
Se la risposta è dura beh, non è una rabbia, non è una gioia, non è una seppur utile ramanzina.
E’ più che una medicina, è una cura.
Prescritta da osservare, difficile da accettare, doverosa per migliorare.
Per te, inaccettabile.
Ma fra un tempo che non ha tempo la speranza di chi ti ama è quella che ti riguarderai dentro, con appeso al chiodo il guinzaglio dell’impulso accanto a quel collare che ti strozza la voglia, e sorridendo farai quello che da solo ti varrà il senso del tuo passare in questo universo.
nov 24, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Chopper, alle palle!
La cameriera del ristorante è nuova,
suda deodorante e appunta le ordinazioni con mano tremante. Va dove non capisce intorpidita dal caos, spesso sbaglia ordinazioni e appoggia i vassoi sporchi sulle sedie di tavoli altrui.
Tuttavia non resta ferma, anche quando ha paura di richiedere al caposala la stessa comanda.
M’è già d’un simpatico transgenico.
Sparecchiare e apparecchiare, portate e sporcare.
Un giorno sarai una superstar, basta insistere.
Il nome di questa band è Elementi sghembi e siamo davvero onorati che abbiate corso il rischio di stare ad ascoltare più del dovuto il nostro ritmo asincopato. In realtà i Blubaluba non sono potuti venire ( caso alquanto insolito vista la rinomata carica erotica della voce solista) così vi terremo compagnia con i nostri strumenti sciancati almeno fino all’otturazione dei vostri lembi cutanei.
Qui accanto a me è gia pronto mister triangolo che stasera si avvarrà della collaborazione di questo pezzo di lamiera ondulato. So che non gli dareste più di quattro lire ma per favore concedete loro una chance: vi assicuro che appena le vostre trombe di falloppio cattureranno questo stridio non vorranno più andarsene. Davvero.
Ed ora fate un bell’applauso a lord alcool: senza di lui saremmo belli che finiti.
Bene, siamo pronti per cominciare.
Veramente morto è un paradosso.
Se non lo sei orbene è una parvenza di antitesi ma se lo sei allora che t’importa di fingere?
Falsità d’esistenza. Si può stare tutta una vita in pressa di questa religione.
Abbiamo organizzato questo spettacolino, sta a sentire: sala da quattrocentoposti tutti occupati, si spengono le luci e noi sul palco che osserviamo. Per due ore, telecamere puntate sulle nostre espressioni facciali e maxischermi in favore di platea. Non facciamo altro che scrutare le rughe di chi ha pagato il biglietto e si incazza per una cosa che non capisce. Al massimo suoniamo qualche pezzo, ma di quelli che non c’entrano una sega, che ne so una ninna nanna, un jingle bell e un pezzo di Janis Joplin.
Basta che ci siano ripieni di campanellini a svegliare.
Un’altra cosa che mi piace ascoltare ai concerti acustici è il rumore ovattato delle sedie dei musicisti quando si sistemano per preparare il nuovo pezzo o accavallare le gambe per appoggiarci sopra un qualsiasi strumento.
Sono meglio di mani curate.
Ognuno dovrebbe curarsi, o almeno aversi cura.
La scala sociale, sebbene antincendio, andrebbe bruciata.
C’è troppa gente che vale al freddo e troppi culi caldi flaccidati inutilmente.
Quando la nuova cameriera s’è avvicinata a quello col doppiopetto e lo stecchino in bocca aveva fretta perchè nella testolina già programmava di portare i ravioli con bufala al cinque.
Il vino che ha versato sulla giacca di stuzzichino non è stato errore.
Era destinato a ungere il grasso.
‘Che cazzo fai – Vaffanculo’ è un’espressione di per se già infelice se estrapolata da un qualsiasi contesto. Detta fra due amici che scherzano la si può comunque esacerbare ed edulcorare ma sputata addosso con contorno di saliva da stronzone incravattato a ragazzina buongiorno è il mio primo giorno è decisamente troppo.
‘Il suo stecchino è troppo piccolo, signore’.
‘Cosa?’
‘Sono fermamente convinto che il suo stecchino sia troppo piccolo. Certo, non se comparato al suo inutile fac-simile membro riproduttivo, ma rimane pur sempre troppo piccolo per ficcarlo tra i due buchi antipodi del suo corpo e rosolarsa, signore.’
‘Cosa?’
‘Buona giornata’.
Si, la scrittura è inspirazione.
Ed espiazione.
Perchè di calci ho parole, ma a volte servirebbe mira di zebedei.
nov 13, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Appunti da trasbordo.

Sopito o sedato c’è un gran divario d’atto.
Braccio di ferro con la paletta m’impone di ricetta una tregua.
Ci sono voci che t’accolgono d’un sussurro per poi, all’indietro, toglierti un fiato da far tremare i polsi ai pianoforti.
Un giorno ti scriverò dal lontano.
Tornerò a permettermelo,
che adesso ho ancora da sgranellarmi questo chiodo che non se ne esce almeno fino allo scalzo dell’anno.
Rimetterò la penna nella sabbia e ti profumerò di porti, usanze e spezie come mai ne avrai addosso.
Lo farò, lo sai, questo da sempre è stato il mio credo di zaino.
Non fa nulla la sofferenza che senti, non curartene.
Serve per l’imparare a macinare, assorbire e detestare.
Abbi almeno una fede, che in un modo che non ha tempo torneranno a spezzarsi le catene.
Per prima cosa cercherò un vaso, lo riempirò della terra che ora d’accoglienza mi stringe e ci pianterò un seme col tuo nome.
Poi andrò giù al molo e finalmente, leggero, imbarcherò il mio progetto.
Sarà dura, ma meno d’adesso.
Sarò lontano ma solo per nostalgia.
Tornerò sempre da te.
Ma ci son troppi abbracci e troppe mani che aspettano,
troppe storie dentro uomini che non posso ascoltare oltre questa vita.
Voglio raccontarne perchè è la mia natura.
Scriverne m’aiuta ad essere più quieto.
Lo sai,
non resisterò mai.
Ci dev’essere qualcosa oltre quel punto.
Sento lo scricchilio, ormai è certo.
Hanno ricominciato a lavorar per me, lassù.
E in un modo o nell’altro verranno ad andarmi.
Spolvera la polvere,
spolvera la polvere,
allaccia i lacci,
allaccia i lacci,
punta il dito,
traccia la rotta,
fiuta l’aria,
scalda la voglia
canta e balla.
ott 21, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Senti Sara.
Senti Sara
non è che te lo si può spannare
quel che non ha un’entità
è solo che quando s’alza l’alba
ho un’ombra già diversa
è che per quanto io voli
più che la nuvola m’attira la polvere:
di tutto quello che ho passato
me lo porterò un poco a zonzo.

Senti Sara
non è che mordo per diletto
ma è la natura che m’ha dato randagio
non è che con gli altri sono un altro
rifletto solo il mio essere bastardo
e se rido che t’inquieta
è solo la mia paura della sera:
hai un’apprezzabile mia compassione
ma non è spesa tua il guadagno mio.

Senti Sara
certo che riempio di voglia un sogno
se non fossi sarei già un uomo morto:
resta pure a fissare la distanza
fra la muffa e la fragranza
che io piscio oltre la siepe
tanto Dio balla e non mi vede
da tempo ha smesso d’occuparsi di cristiani
per trombarsi miss religione.

Senti Sara
non ho voglia non ho gusto per i tempi
d’arrivar secondo per frustrazioni:
tanto meglio buscarsi raffreddori
cause danzanti senza reti di maglie
scriver parole per realtà d’illusione
senza senso ne cagionevole ragione
da scorticarne un premio frammento
come un cielo che d’accoglienza sarà.

ott 16, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sincope a cuspide.

Una luna a spirare di porpora ulula e spaventa
di cuore di singhiozzi di canfora roca che gracida nel mare.

E’ una sirena che piega l’ira
un nervo che drizza l’orecchio
un atto che incute l’animo.

Ora son ansie che salgono spioventi nella gola
più che una rincorsa s’ingruma in un grido di donna.

E’ un ricordo che fende l’aria
un polso che spezza il sibilo
un dubbio che rincuora la pelle.
ott 10, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Archi e fiato.

Introdursi per la tua collana dovizia è un gemito che sfocia distante:
ossa stridule al di là della carne, ottava più alta d’una scala portante.
Viola stanca ch’asciughi il riverbero in oboe d’uno spruzzo fagotto

tuo è il mondo che stride accanto al reale umano bendato fato.
S’accorda la perdita daziata corda retta in virtù di ritirata perfetta
scolando nel volgo l’incomprensibile purezza inestricabile al sogno.
set 30, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sweet Lullaby.

Sgambare a passo di danza sulle pendici del tondo dev’essere qualcosa d’incompreso al fermo.
Lo è, ma era tanto per dire. Non c’è paga quando il vento ti accarezza, quando passi la testa al di là del vetro d’un treno, quando gli schizzi d’acqua t’imbronciano la faccia su un traghetto fra un punto e l’altro d’un non so dove.
Rimane l’essenza stessa del motivo d’un esistenza, concetto già espresso ma ristenderlo ad asciugare sopra i pixel non fa mai male. Andare per diventare, per cognizione dell’essere, per come diceva quello anatomizzarsi d’una irrequietezza da respiro.
Non si è fatti per stare sotto al tetto, siamo ben più alti.
Se abbiamo occhi ci sarà un orizzonte, se abbiamo naso ci sarà un fiore con un profumo che non conosciamo, se abbiamo gambe va di per se il dobbiamo che andiamo.
Nel frattempo continuo a rosicchiare il mio piano segreto: far scorta di boccette da inchiostro così che un giorno potrò barattarle attorno al mondo in cambio di sorrisi e d’una storia che rimanga fra la mia pelle ed il foglio.
Desto d’un sogno.
set 19, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

*

Guarderò le persone
entrare ed uscire dalle loro vite
e non chiederò altro che nulla
di quel che si vogliono sentir dire.



Quando l’acqua si incazzerà con me
prenderò la mia tavola da windsurf
ed andrò ad accarezzarla.

La notte farò la conta delle stelle
e ne perderò di vista una, quella nera,
che sempre si nega.

> * <

set 13, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Freighter.

L’uomo che urla ha un vestito di cera ed un paio di occhiali color del blu.
Regge un’asta improvvisata dove sospende l’intera folla che reprime la voglia cacciando in fuori la lingua.
Servirebbe un francobollo diverso di modo che la spedizione sia lenta per gustarsi l’arrivo all’altro capo del mondo.
La mia illusione è stata quella di farmi ogni giorno migliore.
Ed ora m’è rimasta la sola consolazione d’aver più di una sensazione: tra poco avrò molte più parole al posto del cuore.
Magro bottino che non ricompensa il mio destino.
Monco d’un Perù stampato storto m’emetto raro ed introvabile in cerca d’un mio simile.

Stamattina prima della foschia ho fermato l’auto accanto al fosso. Dal mio spegnersi del motore già tendeva ma quando ho chiuso la portiera se n’è uscito all’improvviso ed io non ho potuto fare altro che ammirare quel presagio di corvo danzarmi in volo sopra la testa.
Nel becco una promessa.

Adoro i sorrisi senza denti, per lo più apprezzo il tentativo di chi ne ha già passate e ancora insiste. E’ meglio di un Marco, dodicianni, mai avuto carie in vita mia.
E’ passar sopra al fluoro per la ricerca del ricolmo alla fame.
Certo, chi non ne ha mai avuta non si merita un porsi il problema.
Ho questa questione del fiato corto da rispondere. Devo abbattere qualche montagna che insiste a resistere alle erosioni qui dalle mie parti. Voglio più aria, più paesaggi, più voglia di rimettermi i panni.
Fermo sul primo gradino della mia vita ad ingresso mi chiedo dove sia la via d’uscita.
Non mi torna la ricetta della nonna: ho messo per davvero tutti gli ingredienti, ho mescolato con cura, ci ho messo l’impegno e la passione che fanno la differenza ed ho cucinato a fuoco lento ma quando ho aperto lo sportello del forno all’improvviso tutto s’è restituito crudo e freddo.
Mancanza di gas.
Sia per l’ebrezza che per una esplosione di splendore.
Dov’è, com’è,
questo chiamato Amore?
set 6, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Cinquanta.
I palloncini con sopra i colori sgargianti, le scritte con i pastelli, gli affetti, i muri dipinti di una casa che era la tua, che è la tua, lo è stata ma non ne conosci più i profumi.
Cinquant’anni sono tanti, osti. Sono mezzo secolo di storia. Ne succedono che neanche riesci a tenerne il conto. Cinquant’anni sono troppi.
Mio padre ieri sera aveva un sorriso che di solito nasconde.
C’erano tre torte, la famiglia, quella larga, le candeline che suonano un happy birthday monofonico e le immancabili foto con il flash da occhi rossi.
No, non sono convinto abbia cinquant’anni. Non è fatto per quest’età.
Sono sicuro che ne ha trenta, ne ha sempre avuti trenta. Nella mia testa non ha quel grigio accanto alle tempie, non ha quelle guance paciocche e smunte.
Già ogni tanto pensare che ne avesse più di quaranta mi era un incastro difficile. Ma cinquanta non è comprensibile.
Poi anche io faccio la foto.
A due centimetri da lui, mi accovaccio per rientrare nell’obiettivo.
E divento adolescente. Con il motorino scassato, i soci, la voglia di patente B.
E m’accorgo della sua manona che mi sembra m’avesse raddrizzato la schiena giusto ieri.
Tu non mi capisci, nessuno mi capisce, io prendo e vado.
Non raccontarmi balle, tu al massimo hai trent’anni, pa’.
No, trent’anni gli hai tu.
Agosto ’76.
Settembre ’56.
L’anagrafica è dogma.
Io trenta, lui cinquanta.
Dove sono finiti questi anni, dove ho lasciato i capelli lunghi e la radio?
Perchè non lavoro più in cantiere?
Perchè non ho una famiglia, non ho una casa, non ho la mia utopia degli anni ottanta?
Come hai fatto a volermi bene fino ad ora? Perchè non ti incazzi?
Tu non hai cinquant’anni, l’imbroglio è immenso.
Io dovevo essere altro adesso, tu non sei rimasto quello.
Ci pigliano per il culo, pa’.
Lasciali perdere, non stare ad ascoltarli.
Lasciamo la festa, andiamocene sul camion.
Riportami a scaricare i forati.
Direzione Milano.
Tu guida come sempre, io resto sul sedile accanto.
Anzi, mi incastro giusto dietro al sedile, fra il cartello del carico sporgente e la cerata unta di grasso per scacciare la pioggia.
Come la prima volta, che ero uno scriciolo: neanche un chilometro e m’addormentavo come in una culla.
Se passeremo troppo tempo insieme, basterà cambiare disco al tachigrafo.
Cinquant’anni.
Trent’anni.
ago 28, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Scintilla.

L’ Oltralpe ha colori che non si dicono.

Avrei qui da sedermi ed ungermi di quanti pastelli ma non ora e non adesso.
I fiumi scorrono qualsivoglia placidi
e delle casette bianche con tetti d’ardesia aguzza ne sono i bordi.
Più in là girovaga una mucca: la pascolo col dito.

La notte che ho dormito in tenda

ho sognato la baia ed una promessa:
quando sarò grande affitterò un albergo
con i vetri unti in riva all’oceano.

Guarderò le persone
entrare ed uscire dalle loro vite
e non chiederò altro che nulla
di quel che si vogliono sentir dire.
Imparerò una nuova lingua
arrotolandomi la lingua
ed offrirò drink da tutti i paesi del mondo.
Quando l’acqua si incazzerà con me
prenderò la mia tavola da windsurf
ed andrò ad accarezzarla.
La notte farò la conta delle stelle
e ne perderò di vista una, quella nera,
che sempre si nega.
Il sole brucerà i miei polpacci
ed avrò labbra gustose di sale.
Prenderò un brevetto da aviatore
per portare a spasso pubblicità
nel cielo del bordospiaggia con scritto:
questa è la mia unica gabbia.
Sarò sicuramente imperfetto
a tal punto da comprendere l’amore.
Darò consigli eccellenti persino al mio carattere
che darne agli altri è semplice, splendido,
ma darli a te stesso beh è tutto al di là dello specchio.

Amerò una donna come l’amo adesso,

ma sarà tutto diverso.
Un figlio che non conosco all’età di tre anni
mi appoggerà minuscole dita sulla spalla
ed io mi sentirò re in un castello che non posseggo.
Avrò cura di me stesso,
vestirò meglio.
Lascerò alla mia barba raccontarmi la vecchiaia
e girerò ancora con lo stesso stupido cappello.
Farò fatica a dipanare la gioia
e donarla nel modo che ognuna di te si aspetta.
Macinerò chilometri e miglia sopra un maggiolone cabriolet:
farò diventare buone persino le baguette
e quando mi diranno di assaggiare i loro croissant
mi metterò ai fornelli e cucinerò del cibo
ripieno di vera passione.
Non sarò bravo a fare niente,
ma proverò sempre a fare di tutto.
Salirò sulle torri di ferro più alte
e dal nulla slaccerò due ali dalle mie spalle
per portarti a spasso e mescolarti ai venti.

A quel vecchio che pescava placido

chiederò la formula
per comprendere l’incomprensibile.
Quando mi sorriderà
avrò capito tutto:
tornerò da te correndo
e finalmente parlando
con le giuste sensazioni,
quelle da secondo posto di sempre,
proverò a svelarmi
per quel poco
che credi
che brilla.
Ma fai presto:
sarà solo una scintilla.
ago 9, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Noise.

Vinci, svinci,
gonfia la rete,
soffia le bolle,
capirci più niente
assorto da ore.
Farci cosa farci
nulla quando tu
fermo si passa
dal deserto alla tundra.

Quattro sono i punti cardinali,
otto le combinazioni astrali,
rossa è la rosa dei venti,
ma qui si rimane per nulla sgomenti.
Ho bisogno di polvere,
acqua, castelli e sabbia.
Croissant e ferro,
zinco e piede di stinco.

Ho bisogno di parole sassate
paletti per una tenda stabile
altro che si gonfia in due secondi
se l’aria dentro smonta il tramonto.
Cara fatina regalami un monte
sospeso sull’acqua
quando arriverà la marea
rimarrò ad aspettarla
s’alzerà fino alla gola
ed urlerò perdio
per la vita
per la gioia che manca
per io che son puntino
sputo dal cielo
cotto dal sole
in balia dell’ormone.
Ho bisogno
d’un orizzonte blu
d’un sereno spaccacielo
d’un amore
che carezzi il mio amore.
ago 1, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Starlette.

Cosa stai a fare?
Brontolo d’acqua chiara!
Il mio circo è poggiato sulla sabbia:
finalmente posso insaponarmi il cielo
che sai gli uomini sono un po’ tutti così.

A Nashville è comparsa un’orchestrina
che si vanta d’essere la prima:
contestualmente s’è diffuso omicida
del country in tutta la cittadina.

Sagaci di calure improvvisate
amiamo in bianco e nero il Tennessee
c’incastoniamo fra i suoi film
ma io non me la prendo
e canto mentre sparo.

Singulto d’un fotoritocco
spergiuro d’aver voluto
sebbene sia per inciso
una star del film muto.
lug 12, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Syd.
Metà d’un tempo
recluso dentro
meta del suono
fra lampo e tuono.
Ricevuto,
intagliato splendente,
dato per datato,
passo e chiudo.
lug 8, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sfogo.


Con alle spalle una musica orrenda
di chi ha smesso l’abito da sera
e sullo sfondo, in lontananza,
sull’asfalto la mia barca.

La nevrosi del voltarsi sempre
chi ti curiosa da dietro le spalle
quando hai l’impegno
d’invidia ti fa il gesto.

Prenditi pure il mio abecedario
che io sono altro
mi diverto a cavare dal buco il mio ragno
che tanto
tu non lo sai
ma io
lo coccolo nel letto
Pietro
l’ho chiamato
mi cura quando svengo
ed è morbido
più della seta.

Le coriste
sfogano gli ormoni sui toni alti
mentre insiste
quel gufo
a curiosarmi
di ritorno
sempre nel di dietro.
Adesso mi volto
e gli sparo in silenzio.
Io non posso
emettermi del meglio
se mi usmi costante
dentro al torbido.
Bam.
Mentre muori,
concedimelo,
pensa ad altro.
Coraggio.
giu 28, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Acqua cheta.

Vorrei darti denti da morderti,
allineati perfetti tutti quanti,
tintillinanti per lo scalpito
d’una brama di carne al taglio.

Vorrei darti occhi da toglierti,
smussi da sbuffi alienati,
giocherellanti d’orbite morbide
scavati d’attesa alle palpebre.

Vorrei darti mani da coglierti,
sporche con terra offesa,
gracide per stelle insonni
in cerca d’afferro del nero.

Vorrei darti cuore da battere,
lucido nel suo involucro ambrato,
madido d’un gelido par tiepido
trappola per fame d’un credo.
giu 21, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Implosione d’accusa controllata.

Qualcosa m’ha punto attraverso la pelle
mi trapassa da par suo, da pensiero acuto
ed una volta riaccostata all’aria
se ne va come se tornasse.

Se al sicuro siam soli in questo universo
io mi trasferisco al volo in quello accanto:
so già di per certo che oltre la gomma del muro
non mentono e raccontano
la favola del missile cattivo
che s’abbattè d’esclamazione
trascinando tutto e tutti
in un mare cristallino
e di come qualche anno dopo
crollino al centro del mondo
torri sbuffate dalle ali
e minate d’esplosivo casalingo.

Due realtà
due mondi
due parallele
strisce bianche e rosse
sotto stelle blu
i want you
perchè non mi dici di più?

Quanto conta
zio la conta
delle tombe
sopra una pazzia accorta
strategica globale,
omuncoli del Colle,
vite da pedine?

Siam pronti tutti
assetati del nulla
a berci
qualsiasi cosa
si presti da culla.

Dietro al nostro
capogregge grasso
prestiam orecchio
in cambio del foraggio:
muoiono i padri,
sforniamo successioni
senza far altro
che sperar d’esser quelli
non toccati dal tempo
o risvegliati dalla Storia.

Dio ne voglia
ci capiti
anche per sbaglio
del tenue coraggio.

giu 12, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Rimati addosso.

Non è necessità che il saper poggiare bene le parole sui bianchi
sia di per se garanzia d’aver grimaldelli per scardinare perplessi,
in primis se stessi.

Anzi spesso è di per no.
Perciò.

Inchini a profusione verso l’interpretazione
e l’estrapolazione per un saper essere migliore
ma il più delle volte non v’è criptica religione
tranne quella
della non essenza.

Ed è un vuoto peggiore.

Imitarsi slogando i metatarsi
con l’opinabile intenzione
di trovar nel proprio dubbio una soluzione.

Catarsi d’inutile distrazione
e gran pericolosa deviazione
dallo svincolo per raddrizzare
la carreggiata col bagliore.

Ormai è quasi un lustro
che mi lustro nel tentativo
di non far danni ordinandomi
fra vocali e consonanti
ma l’unica spremuta
che n’esce spolpa
è la mia fuga che non ha verso,
non ha direzione,
ne dimensione.

E’ futile,
un dileggio col fine del danneggio,
uno spaccar le pietre di taglio
col tentativo di ritrovare il mio drappeggio.
E’ un continuo colpo in canna , questo mio bagaglio:
rimar le cadenze come fosse arpeggio,
dolcezza narcotizzata,
mentre continua strafottente a venir notte
io riscuoto ogni giorno una cimice ambrata
baratto insipido delle mie quotidiane lotte.
giu 7, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Quinto asso.

Nel decennio più glorioso
del mio dopoguerra misogeno
la scaltrezza per la sopravvivenza
lasciò lo scalpo sul comò poggiato
per un baratto d’amore in contrabbando.

Oggi che vivo asfissiato
ho gli occhi sapor del fiato:
storto il collo in cerca del creato
e covo rancore dentro un rogo.

Per l’occasione
nel giorno ch’annuncia il sudore
saluto Billy Preston con l’abito migliore:
mentre lascio che sia destino
rotolo sulle strisce con attenzione
in bilico fra demoni e divino.

mag 31, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Ricetrasmittente.

La mia spina nel fianco
è sagace ed ha un bel canto
punge soprattutto quando son distratto
e mi mantiene d’un bel colore alabastro.

Cara la mia chimica
è la volta che non c’è nemmeno più la voglia
perchè ogni respiro lo sento più grave
e mi par così nullo dover mettermi qui
con le gambe che s’aggrottano
accovacciato difronte allo specchio
per giocare di nuovo all’altro universo.

Spesso
mi son dispiaciuto di non essere diverso
al verde delle mele acerbe
più volte ho regalato del rossore
continuando a mietermi sghembo
perchè non ero questo
non ero quello.

Ora
che nei trenta sfavolo ancora
non ho più il garbo
d’offrire il mio gambo
a rose scotte dal caldo:
lasciatemi rimato
decomprensibile animato
corridore all’incontrario
animo vario
sfuggente agli imballi
amante degli accenti caldi
sfasato d’un settenario
acronico gaudio
alieno umano
pazzo ma sano.
mag 26, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Oboe e marmitte.
Questo rumore di periferia eterna non mi permette l’accondiscendere del sonno fra la mente ed il pongo con il quale oso modellarmi solitamente.
Non è possibile che mi scatti persino la scrittura mentre incedo fra i sassi di questo paciugo di stazione. E’ altamente a fior di pelle bruciare istantanee di pensiero e dover attendere lo sblocco per riuscire a non farfugliare quel che sarebbe dicono il tuo seme.
Mi verrebbe da ciucciare e cucinar ciliegie dal nulla più per cercare di rilassarmi anzichè dover attendere il passaggio di un me stesso latente dietro a questo sferraglio di paesaggio urbano e decadente.
Oboe e marmitte,
muschi e promesse:
una salsa per vomiti a peso,
irriverente ai santi
e votiva agli equidistanti.

Le lastre dicono
che mi s’è smagnetizzato perenne il cervello,
che confondo la notte per Signora da passeggio,
che mi diletto vacuo da medicinale scaduto,
che la mia resistenza è destinata all’infrangersi sui pratici,
che s’ho visto uno spirito me lo son già bevuto,
e che ai romantici io alzo ancora i calici.
mag 18, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Jacopo.
Se n’esce cieco dal grandangolo
sniffando l’umore e spazziando libero:
già respira la grandezza della festa
sbirciando accanto un padre albero
ed una custode dal sapor di mela.

Benvenuto implume pennuto:
goditi la giostra attorcigliando la gioia,
ultima gemma d’una stirpe fiera
prima dolce goccia del tuo mare caldo
e protettore d’un eterno sapore magico.

mag 17, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Perfecto para imprimir en una gran variedad de impresoras.

Aver voglia delle lacrime da richiamo per potersi finalmente permettere un business che ti faccia almeno sopravvivere.
Ed invece non ce n’è.
Un’esistenza piena di bus turistic con il tetto senza il tetto e lo sguardo ad O per ammirare il cielo. Riuscire a smeningiarsi per completare l’informazione che ti manca chiedentoti perchè il tuo meccanismo in tutto questo attorno non si imprinta.
Se mi pigi non servo, se mi stacchi non mi riattacco, se mi butti mi rilasso.
Vorrei solo aver del pane per pucciarci il sonno e rendermi felice per sorridere omologato finalmente.
Ed invece niente.
Non riesco a squagliarmi ed il frustino per non acidirmi è lo stupore degli altri.
L’isola dell’estraniazione non dovrebbe permettersi d’avere un tornaconto di sole da spiegazione verso le altre persone.
Se tu resisti quieto perchè il tuo weekend è lo sforo di un’arroganza da lavoro ed il quarantaquattro dei tuoi piedi è la lunghezza massima del tuo campo d’azione d’avanguardia beh questo non è detto sia il metro di chi non riesce più a misurarsi.
Mi verrebbe da dispiacermi per non essere il chi tu vuoi del chi tu sei ma poi mi sostengo dicendo che finirei per essere un essere opposto al mio essere.
Non c’è via se non il verso che da sempre sostiene il mio passo inciabattato da braghe di tela e valigia di cartone.
Canto e viaggio, lascio la polvere fra denti ed epiglottide e bevo quel che mi regala il sereno.
Vedremo.
mag 12, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Triplice fischio.
Chi controlla il controllore obliterando gli adduttori,
chi scodinzola lontano parandosi la marmellata gongolando
chi s’avverte di non esser più super partes dei baloon.

Cori cori a salvar formaggio conteggiando i cartellini:
qui si torna agli albori bianchi, neri e catodici d’autori,
qui si fotte un sistema da franchi, sghei e tiratori.

Metti una X ad un ricordo esiliato e tangentato
togli una G a farlo controfigura immolata dello stesso:
se ne andranno tutti quanti all’estremo del campo
scommettendosi la galera o il campo santo.

mag 3, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Maybe Man.

Fibre mosse dal coro dei giorni
arse e sparse ovunque bruci i miei lembi
suonan la campana dei fulmini sparsi
fiutando la riffa al bordo della cantina.

Quando chiedo a Gelsomino che diavolo è il demone che l’ha convinto ad invischiarsi in questo pattume lui smoccola il naso e deturba il paesaggio cantando il suo inno.

Maybe man
dice a me
stai su con le spalle
mi dice
che già il mondo curva se stesso
dice
in un infinito ciclico
bello dritto col palmo della mano
a bere l’ombra sugli occhi.

Cosa vedi?
Sereno.

Cerco un buon liquore trovato nel sottobancone dell’olfatto
e mentre trangugio riavvolgo il nastro
fino al punto in cui avverto un taglio scolare il bruciore.
Avrei da dirvene
urlando di pianto
gioia a catinelle
ma l’imposta pagata
sbatte l’anta
ad una corrente
viva e alternata.

Gelsomino vieni qui che sotto alle tre carte si nasconde da sempre un sogno sfuggente.
Ti porto io a festeggiare: mentre scoli via lontano da questa baracca attacca pure le tue quattro strofe unte sotto ai tacchi da ballo.

Maybe man
dice a me
stai su con le spalle
mi dice
che già il mondo curva se stesso
dice
in un infinito ciclico
bello dritto col palmo della mano
a bere l’ombra sugli occhi.
Cosa vedi?
Sereno.
apr 26, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Minator cortese.

L’in piedi delle mie virgole
parrebbe donarmi bluastri d’altri
mentre rosico ganasciandomi l’unghie
intinte nel verso che fa un ricordo.
Invece non è un restarmi addosso quello che Maggio porta al collo: è più un recapito di me senza civico numero e senza denso nello spazio.
Vuoto come un trasloco, senza mai essere arrivato all’indirizzo nuovo.
Volto da cerimonie, arrabattato dalle litanie non faccio altro che l’arranco urlando: approdo! mentre in realtà non conosco che l’onda dalla quale mi lascio cullare e soffocare.
Splenderà all’altro capo prima o poi un’aria rarefatta ma per arrivare in cima a questa montagna s’ha da scavare e ribaltare il suolo che poggia le mie scarpe alla dolcezza.
Per essere me
devo prima veder chi già c’è
dentro le budella delle ossa della testa
altrimenti meglio restar assenti
ma meglio di no
meglio continuare a picchiar la testa
sbrufolando la terra
che son certo
qualcosa sboccia e sgorga
nascosto dalla voglia.
apr 6, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Bussolotti.

Metallico peperoncino assonnato
tieni la botta che fra poco cambia la rotta
ogni cosa è un movimento ad onda
prima rilascia e poi ritorna:
qui sbiascicano parole all’un l’altro
mentre tutto va a scatafascio.
Assolami con un una chitarra grunge
un bel giro che mi porti lontano
e stacchi la spina al diserbante umano
che dovrò reggere fino al party lunge
quando la notte del primo in settimana
sarà un’ inutile festa Annunziata:

buona per chi s’accontenta d’eroi,
rossa di rabbia alla meno peggio
compagna democratica sacrificata da buoi
ed anestetica d’un altro lustro di scempio.
mar 15, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Preghierina.

Video live
dei miei desideri
spilla l’anima ai miei cavalieri
ruba la guardia che picchetta il graal
monta la ruota camuna sulla royce delle star
piega a soffietto l’origami in teiera
versa sui miei fondi un paddock di cera
smungi il tulle alle gabbie dei merletti
e spanna il vetro ai sempreterni cretinetti.
mar 6, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Banchetto d’arcobaleno.

Ciao D.

Non buono
a fare il censore
tanto meno il recensore,
io,
perciò del tuo inchiostro ti dirò
solo quello che la pelle m’ha imbrattato.

Per quanto sia lontano di molto
da un buon immaginario strambo,
il primo termine per te non è quieto: vomito.
‘spetta. Non è fraintendimento.
Spesso mi passano sotto al naso pagine piene e vuote
che scorrono senza lasciarmi segni addosso
mentre Matteo t’arriva diretto:
quando tortura mi tortura,
quando accarezza i fiori m’accarezza
ed io per reazione vomito dolore e amore.

Di secondo, ti offro l’attenzione.
Premunito di te che sei il primo
visto in carne e poi di carta
ho pranzato del tuo pasto
come villano al banchetto reale
spizzicando prima incerto le posate
per poi al fine tuffarmi nel tuo mondo
senza ritegno con tutto il corpo.

Volevo stare
come uno distante dal tuo libro
perciò ho affrontato la tua città
giungendoci a piedi
e mi son preso tutto il tempo
di arrivare sul luogo dell’incidente
gustandomi l’aria da te descritta.

Una volta lì, col sangue per terra,
ero già a mio agio.

Tolte le barriere,
il resto è stato un coinvolgermi da sbrano.
Ed è strano: tipo come se lo sapessi di te
dalla pelle che porti
che dentro c’erano parole enormi.

Mi resta solo da darti un abbraccio:
la prossima volta che t’incrocio
ho voce per chiederti e occhi per ascoltarti.

Con affetto,
lo Sghembo.

* A provarci, per chiesta, l’ho dipinto.
Tu, se vuoi, qui lo mangi.
mar 3, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Mottarello.

Oggi
è un giorno distante
plumbeo di facce mestrue di ghiande
mortacci mi dessero che lo vorrei un mottarello
gelato cioccolato ripieno di stecco
che lo rimbalzerei in testa alle gomme
per cancellare quell’ alto nascosto della gente
che nasce che muore ma sembra che non sente
come potete
come ci riuscite
come state distanti dalla leggerezza
senza accorgervi che è della vita
proprio questa la vera essenza?
Per altro
almeno
posseggo
la fortuna di un essere contemporaneo
parlandone un giorno che sarò fiore
di molte specie d’amici gloriose
bisfrattate appena accennate dalle antologie
che frequentavo fra ciotole di vita e mozziconi
bastardi di rogne e fieri dell’amore.
feb 13, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Son due anni già.

Ombra d’una goccia triste di lacrima
son due anni già:
com’amante adorasti la vita
ne lasciasti a chi si porta gli anni
come profumo da spargersi ai giorni.

Depongo il tuo mezzo cuore di nostalgia
e la tua valigia pronta sulla soglia:
ne faccio buon uso non ti curare
se l’apro meravigliosa n’esce la tua voce
che insegna, che tace, ed ama amare.

Mancanza
è già verbo da dimenticanza.
Al collo ti porto come respiro:
perchè io senza di te
non sarei stato
e se sono
è perchè t’avro per me
per sempre.

feb 9, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Didascalico balletto d’orsi.

Quel che si può
quel che no
quel che forse ma però.
Finchè rulla finchè tarla finchè insiste
finchè rosica finchè trancia finchè erode
finchè spinge
e spinge
e spinge
è sfinge.
E’ l’ora della preghiera mujaheddin
mi piego con la sciabola
mentre il metallo spremuto mi preme la gola
suda sangue con tutto attorno polvere e urla
soffocamento e folla unta che attacca compatta
colta in un unico coro mi sta addosso
sempre più
sempre più
sempre più
sempre tu.

L’acqua
è una fonte sacrosanta.
Annegarci qualcuno
è un delitto d’arma.
Ronza la preghiera colletto nero
ronza la voglia di peccare la carne
ronza il succo di te segreto
alza il dito mettiti all’indice
che qui s’assassina la primavera.

Fischietto.
Lingua di gatto.
Di me solo il collo
sotto una molla
che s’apri la scatola
attento che scotta
io scatto in alto
e scappo.

feb 6, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Lesson number one.

Gocce ombrose

you are my sunshine
my only sunshine

fusi d’unghie

you make me happy
when skies are grey

pupille ortiche

you’ll never know, dear,
how much I love you
muti i mari.
please don’t take
my sunshine away.
gen 30, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Tour all inclusive.

E per chi l’avesse perso vi riproponiamo l’inventario di un se stesso.
Venite prego ammirate on line il nuovo portale tennologico del misterioso uomo.
Attraversate con etica digitale le sue impronte e badate bene a dove mettete i vostri piedi.
Lui v’accorgerete ormai non è più in casa: torna perchè ama e quando dorme sogna il futuro al passato.
Tuttavia fate attenzione: lui è rimasto strano.
Sarebbe piaciuto certo prenotarsi un viaggio parecchio lontano ma esaurita tutta la corsa s’accorto che dal proprio cuore non si smonta la groppa.
Libertà d’amore senza vincoli da dottore: lasciami me che non vorrò mai null’altro che te.
Ma i castelli sono sempre modellati al vento ben prima che la sabbia li sciolga al primo sole.
E perplessi rimangono gli uccelli che dall’alto già sanno di un futuro da visione migliore.
Grandangolo ottuso che osserva come la dinamica non porti altro che all’insacco in una buca nera d’angolo.
Tregua, ben venga l’armistizio: il miglior nemico giace accanto al mondo tuo ed il fiato sul collo rende rigido persino l’approccio.
Nonostante ciò le chiavi del castello sono ancora appese al fianco ma tutto il loro peso non riesce ad elevarsi nemmeno alla grata per far che si lancino a qualcuno e gridare:

sono io, sono unico, sono vivo.
gen 21, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

‘lnnanzitutto,
che cosa può esserci
di più dolce e prezioso della vita?’

Avrei già da aver dormito.
Con chimere sulle ciglia e riposi acquattati sotto agli occhi.
Di chilometri macinati per brindare agli umani.
Ma non se ne può,
è come un dovuto,
che non ti lascia,
ti abbranca
e men che meno t’abbandona
lasciandoti staccare il ticket per i sogni
semplicemente perchè
a volte quelli, i sogni, ti precedono folli.
La circonferenza delle persone Grandi ha un baricentro espresso in modi che il tuo orecchio difficilmente ha modo d’ascoltare come se fosse un semplice suono.
Spesso è un silenzio: nel non dire si nasconde di fortezza tutta una voce.
A volte è un litigio feroce: una fuga infinita fra emotività e perfezione che allo sfioro scintillano creatività da inchino.
Capita pure che sia padre: d’una ecografia che ti fa ciao con la manina, ti sorprende con un trillo e sgorga in parole fatte a lacrime d’amore.
Per nutrirlo il sentimento ha bisogno di pazienza, dolcezza, una spezia nascosta e una nuova targhetta: è magico questo risotto di ricetta.
A tutto questo serve io credo un tetto e allora si va in cerca di una casa per l’affetto ma la pazzia è una costante in una vita precaria e al giorno d’oggi, si sa, o sei nullatenente oppure chiedi un mutuo per la tua libertà d’emozioni e nel caso ti sia concesso ne fai un fotogramma nel momento stesso spostando il tuo pensiero dalle catene al tuo animo sincero.
C’è proprio d’augurarsi ogni Bene, scordarsi le password e via giù in picchiata ridendoci sopra come chi ha voglia di richiamare con un campanellino al collo la sua gioia.
Per farlo magari rubo un megafono e mi ci metto di scherzo a fare imitazioni dei peggiori mali con congiuntivi continui contenenti sconnessioni per ricordarsi che i sorrisi curano per davvero anche le peggiori situazioni e ti svelano le persone nelle loro esplosioni di bellezza, come pop corn ad una festa.
Per concludere il party assumerò un cantante che con voce rauca nel giorno della dipartita di un grande saprà raccontare in rima quel che inspiegabilmente ho tentato finora di raccontare in un frullato buono solo da spazzare in un anomimo form impossibile da realizzare.
Quando tutto e tutti mi avranno lasciato come la prima volta che sono nato mi butterò sul divano e chiuderò la porta e guarderò me stesso senza che riesca mai a scorgermi per davvero.
Scoprirò forse di non avere la grandezza d’un attore per questo palcoscenico ad ore ma non mi importerà perchè saprò perfettamente di avere la possibilità di rendere questo tondo un posto migliore: senza dire poichè molto sarò il miglior sarto di questo mondo e cucirò e taglierò fino ad ottenere il più bel vestito di seta da rimaner senza parole, come elogio alla mia pazzia interiore.
gen 16, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Smucky.
Va chi c’è.

Quando lui entra in casa la casa è cambiata.
Quando io toppo la chiave e mi distendo sul divano la finestra è diversa.
Quando poso lo sguardo è strano il tavolo,
ristretto il soggiorno,
mangiato il corridoio
e rosso il copriletto azzurro.
Mutato il bagno,
scomparsa la doccia,
arretrato il frigorifero,
invaso il vaso.
Passate le persone, rimpolpate le intenzioni, versate le amarezze e scolate le speranze.
Eppure illogico decido d’arrancarmi con gli occhi scomodi un riposo che ostino meritato dopo aver sbobinato più o meno un paio d’anni di quelli buoni, senza ghiaccio e versati in un bicchiere doppio malto.
Perciò non voglio aver più di due neuroni e rifiuto l’evidenza: mi sdraio, sprofondo in un me stesso arrivato e faccio per tagliare di almeno un tre quarti il mio bulbo oculare con un paio di soprapalpebre in completo ed ignoreo relax.
Ed è quando arrivo quasi al contatto fra ciglia e cipiglio che m’appare come fosse reale: il punto del non ritorno in cui ammetto a me stesso che sì, quello che lui vedo è lì, di nuovo, senza saper come, senza aver del tempo dimenticato è di nuovo entrato e s’è messo cavalcioni fra le mie mura e le mie variazioni.
Ed in effetti.
E’.
L’unico sfregio d’angolo rimasto illeso dal tremore che ha passato un bisesto è pur ancora nella stessa asse orizzontale: il davanzale.
E sopra di quello lui quello.
- Dimmi che non sei tu.
- Se tu mi offri lo stesso.
- Allora non se ne esce.
- Al massimo dovresti chiedermi come sono entrato.
- A che gioco giochiamo, Smucky?
- All’abbandono della verità?
- Nessuno ha abbandonato nessuno: al trasloco tu hai scelto il silenzio assenso e io lì ti ho lasciato. L’ultimo tuo è stato, ce l’ho in tempia stampato, qui son nato e qui resto perplesso, adieu. Mi eri anche di un sacco piaciuto: melodicamente patetico e coerentemente pungente come ombra del crepuscolo che lo attende.
- Sei cambiato.
- Certo che sono cambiato, che ti credi? Tutti cambiano, tutti si cambiano, tutti si scambiano. E’ vivente, è palese.
- Sei cambiato di punteggiatura.
- O questa poi! Simpatia: ti rifilo un esclamativo nel duodeno così ci dai un taglio ai giudizi precoci.
- Vedi? Permaloso sfiorante lo scontro: difendi il nuovo territorio. Ho ragione.
- Ehi sapientino nessuno ha invitato qualcuno ad una rimpatriata ok? Tantomeno ho votato affinchè il tuo culetto mettesse bella mostra di sè anche sopra questi caloriferi perciò fammi un favore ed esplicati.
- Mi mancavi.
- O santa Mafalda protettrice degli Scrooge guarda cosa tocca far sentire ai miei padiglioni auricolari! Uno Smucky mieloso mancava davvero alla mia raccolta di figurine della collezione Alter Ego ’06! Perchè invece non mi racconti come hai passato gli ultimi due inverni e non vieni ad ammettermi che non sono io quello che ti mancava ma che avvertivi soltanto il bisogno di tornare… tornare e basta?
- Per tornare bisogna prima andare ed io non mi sono mai mosso.
- Senti Sfinge, io da queste parti ultimamente ti ho visto raramente, diciamo pure tante volte quanto, vediamo… il vuoto siderale?
- Ti sei sempre voltato dal lato sbagliato.
- Ma chi ti scrive le battute? Un caricaturista di Wild Wild West?
- Sai che c’ero.
- Ammettendo per un pico secondo che la tua fandonia sia una briciola d’essenza di verità: se così fosse mi dici cosa diavolo vuoi? Sei fuori tempo, fuori rotta. Hai perso il giro amico, sei Slot dei Goonies in Schindler’s List.
- Mmm, te l’ho già detto. Sei cambiato.
- E allora? Il cambiamento è evoluzione.
- Anche il tuo di autore non è niente male.
- Senti piccolo amico dei cuginetti stronzi: io non ho più tempo per occuparmi di te. Anzi sai una cosa? Non ne avevo anche prima. Avevo solo compassione. Nutrizione di ambizione. E sai perchè? Perchè tu non eri e mancomeno sei! Certo non sporcavi neanche ma caro il mio stilita già allora avevi eletto il davanzale a tua colonna e onestamente già dopo due giorni che te ne stavi da me il fatto che tu non proferissi parola non è mai stato il miglior modo per candidarti a sostituto di Red.
- Red! Che fine ha fatto?
- Suicidato d’aria: è saltato fuori dalla boccia la prima notte che mi sono trasferito. Ad ogni modo Smucky io qui non ti posso tenere: lo spazio è poco e non sono poi così sicuro che parlare di nuovo con te mi faccia bene.
- Sempre che io decida di risponderti.
- Esatto. Perciò salta giù una buona volta da quel davanzale, fai ciao ciao con la manina e scivola via: so che è un piccolo passo per te ma potrebbe esserne uno grande per l’intera umanità di questa casa. Ok?
- Ultimo desiderio?
- Concesso.
- Blues.
- Giocati bene le tue carte.
- Satchmo.
- Non basta.
- Heaven. Con la Fidzgerald.
- E va bene. Play.

Quando vorrebbe svegliarci, la mattina ci trova accovacciati sullo stesso davanzale: testa a tener su l’altra spalla, che ancora sembriamo dondolarci.
E da chissà dove arriva ma non s’accorge che si sente lieve un

Heaven… I’m in heaven,
And my heart beats so that I can hardly speak.
And I seem to find the happiness I seek,
When we’re out together dancing cheek to cheek…
gen 9, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Primitivo.

Primitivo.
Ancor umido screto e la prima forza che m’avvolge alza le palpebre.
Ode primogenita, palese sentenza: chi io sono e chi io sono sano e chi io debbo essere umano.
Chi io mi muova, chi io pensi chi io m’atteggi.
Esalo il primo vagito e già son quel che in fin di nascita m’hanno posto con altre mani.
Ecco, secondo nome Luigi in memore Pirandello, io non sono nè questo nè quello.
E’ più una chiesta, un obulo cortese senza grosse pretese: lasciar che io come voi sia me e non più quello, svagar quel che parte dalla mia mente senza l’imbrago delle vostre catene.
Ve lo vado a ripeter cortese poichè l’animo al quale sono appeso usa una lenza incipriata al meglio delle vostre saccenti laterali visioni: ognuno avrebbe già in grembo il proprio granello, basterebbe lasciarlo sotto natura e veder che succede.
E invece.
Troppe elisioni monche d’altri han portato ad un possesso d’animo espropriato.
Ballate e canti catodici s’apprestano allo jodel difronte al mio termosifone supplente utile allo sbrinamento degli inutili apatismi che fidelizzano i buoni propositi.
Per protesta decido di porgere al succhio la mia voce dal Sindaco farfugliandoli la mia credenza di favola in cui dei Signori che sanno già tutto di tutti si credono che uno
se non parla allora non ascolta.
Tanto mi ascolterà, lui è buono.
Invece sogghigna e spiattella: certo ho a cuore tutta la cittadinanza ed in particolare chi mi segnala evidenti lacune sfuggite ai miei giunti che come lei di certo sa, non può non sapere, caro Sghembo, non sono altro che l’ingiunzione di un pagamento già impegnato al momento del suo riportato in alto vagito stessssso.
Esse sibillina: io m’arrendo al vostro me stesso, lui sentenzia sinuoso di nuovo dicendo:
‘Ben bene sfrigolo felice di cotanta sua speme.
Per questo intendo tener nome alla mia solerte accondiscendenza e chiedo un walzer d’inizio anno al sapore d’un dolce sfogliato.’
Senz’accorgimenti ecco quindi il perchè del mio dindillarmi ebbro di prematuri inganni .
Fogo d’umori e gongolo danzante.
Non si saprà mai chi io fossi, chi io t’amassi,
mondo già stampato, macero di solitari strambi.

gen 2, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

La mezza.
Countdown.

Scavalcando il giorno
mi ritrovo disteso,
allontanato di ritorno:
e son lisca di te.

V’è detto
che non fui di sbalzo
piuttosto mi cantina:
arcana di quesiti
ed esser soverchiato.

Così in breve tempo
son qui scalzo e gelo:
oceano vinicolo d’api
senza nè più paura
nè più vigna.

Al tocco
nulla più è notte:
piace all’aria da me
scansarsi di fiducia.

dic 22, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Si dice sia il venticinque.

Volevo e poi ho fermato.
Volevo e poi come dirlo?

Volevo che si infiorettasse, che servisse,
che si infiocchettasse ma che non fosse
allo stesso tempo troppo dolcissimo.
Che aiutasse, arrivasse, gioisse.
Gioisse è comunque una bella parola. Stramba.

E’ il posto del 25, quello che mi riepiloga e mi stupisce,
quello che ogni volta mi sorprende a dire: grazie.
Per quel che è stato e per quel che è stato conosciuto,
per i giorni che nella vita mi porterò come anni,
per gli amici che ho e che di nuovi ho abbracciato.
E allora, cominciamo.

Grazie a quelli che il primo mese mi han fottuto tutto
prima che avessi tutto
che m’han fatto incazzare apposta
affinchè ne traessi più forza.
E’ servito,
cari portavia,
baciatemi il deretano.

Grazie al mio socio,
mi avevan detto che amici sul lavoro mai
che prima o poi ti scanni
che poi o prima i soldi
ed invece
ci siamo arrovellati
attorcigliando le curve
alle malelingue
e siamo ancor più forti
del forte che piano piano
sulle rime della vita costruiamo.

Grazie a chi ha fatto l’amore trent’anni fa sul Maggiolone,
chissà come son passati anni come se volessi dimenticarmi
quasi m’avessero fatto il torto
d’avermi messo al mondo
senza darmi alcun libretto d’istruzione che il loro.
Ce n’è voluto di aiuto,
prima che capissi che il loro era il mezzo migliore.

Grazie a Gambadilegno,
mio eroe che allunghi il tuo sorriso dal cielo.
Grazie al distacco fraterno degli anni passati nel gelo distante
ora mi serve a ricucire con calma il solletico delle nostre guance.
E poi.

Grazie alle belle anime che rendono il mondo
un passaggio più allegro
più con senso
più il solo modo
per sapere di lasciar un sassolino nella foresta.

Grazie a dei nomi
che si portan dietro emozioni:

Amir, Giulio, Silvia, Francesco, Roberto, Bruno, Gaia,
Franco, Simone, Ilenia, Leonardo, Nicoletta, Milena,
Pietro, Gianni, Beatrice, Eloisa, Manila, Laura.

Non ci sei?
Non è vero,
non è un elenco,
ci sono solo nomi che metto a ricordo
e a cui posso togliere gli adesivi dei nick
ma le mie mani stringono anche gli altri.
Tutti gli altri.
Magari se passi,
aggiungi un nome
magari il tuo
ai commenti
ch’allungo la lista
e mi faresti
un gran bel felice.

Grazie ai colori, ai sapori dei pazzi,
grazie alle parole dei saggi
che ho sentito, letto, declamato e vissuto
nei castelli e nelle piazze:
tatuate sui pixel e riversate con la voce
intinte nei giorni e per sempre ricordi.

Grazie che t’amo
Blu
ma non dirlo al cielo:
abdicherebbe.

Passate un buon Natale,
non ingozzatevi sulla mangiatoia e scaldatevi i cuori,
che fuori senza voi
par freddo.

dic 10, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Di me.

Quando s’apre la mano fa ciao
lenta quasi partisse l’apertura dal gomito.

Una fortuna chiamata Amore
in valigia appuntata
come sopra una divisa
che di quello che non sai a lui brucia
e a te rimane che un dubbio.
Parte che s’accompagna all’alzata del sole
e ne sapesse la schiena ne ha pena
ma avresti dovuto in quell’istante
tu voltarsi per guardargli gli occhi
che andare serve anche un po’ ad imparare
come tornare meglio:
ed anche allungarsi l’ombra
per crescere più lungo
gettandosi a raccogliere più mondo.
Santificare il sudore,
aspargersi la polvere,
ascoltare suoni sotto le lingue
e abbracciare quanta più gente s’incontra:
dormire a casaccio fr’altri occhi,
sentirsi cucita la paura,
abbaiare agli inganni
e portarsi dietro
quell’ incedere lento,

che s’apre la mano e fa ciao
lenta quasi partisse l’apertura dal cuore.

dic 6, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Mele morse.

In nome di quel che nemmeno si dovrebbe fermarsi a pronunciare
talmente è palese quel che avete dimenticato
non cercate nemmeno in voi quel che avete scatenato
non siete in grado di domare la bestia
omuncoli in blu
divisi in divisa e lucente volgare di giacche
omuncoli in blu
del colore del sangue quando ha freddo
per le botte
per la follia
per il denaro
per quel che un manipolo manipolato ha manganellato
verrà un quando
in cui si vergognerà l’anima chi ha armato
e la tormenta busserà ai bastoni
e v’auguro che sia lontano
che ora è solo il ripetersi di un potere
che mai è servito e da sempre ha servito.

-> * <-

L’amaro di speranza
in questa notte documentata
solo che all’alba
è che in quell’ora
a trecento all’ora
la coscienza si risvegli più in fretta.

nov 21, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Due Settimi.

Che bello mi dicesti
quel che non passa resta ai gesti
non ci fu verso non ci fu
diciotto persone al giorno
lasciano questo mondo
per andarsene con voce gutturale.
Non sono poi tante
bastava ricaricar le batterie giuste
conservarsi lo scontrino
inviare la prova della confezione
e sarebbero sopravvissute
iscritte partecipando ai concorsi
in Italia e all’estero
avrebbero contrastato il nemico
si sarebbero fatte degli amici
fossero state ottimi medicinali
nati dall’esperienza di farmaci strani.

Andrea volevo dirti che
la prossima volta ne saprò più di te
non ti lascerò andare in trasferta
non guarderò solo quel che ti devo
mi informerò grattando il codice
sarà il segreto delle nostre pulci
chiamerò un idraulico bravo davvero
stuberò il metro della mia antologia
rivivrò il mito della nostra infanzia
cambierò profumo per attirar vampiri
e poi correrò in auto
ridotto a fari accesi
incrocerò il dieci orizzontale
e chiederò un’ asse per stirarmi.

Nel 1990 pubblicherò il mio greatest hits
vicino al mio desiderio nato per Babbo Natale
fu stanco e non mi prese in considerazione
così lo realizzai da solo in comode minirate
lavando le mie stoviglie a meno di diecimila lire
e mi comprai un amaro
si sa mai avessi avuto voglia di un rutto.
Non c’era bisogno d’altro
sul tavolo ancora raccoglievo i successi
e quando ricominciò a martellare
io ero già insoNnorizzato:
lontano dall’andirivieni
la mia testa sott’acqua
contava già i denti ai pesci.

Destatomi
mi venne

Care rime suicide
niente dite servite ne siete.
nov 11, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Mela.

Fra i rivoli orticanti del fogliame arso d’autunno
morsa sdentata del primo freddo
sfuggendo alla mezza età ch’attraversa la strada
ti ho svolto guardarti il naso insù la sciarpa
crespando chissà quale cruccio
fra le sfide degli incontri acciottolati.

Cinta fra le siepi rifugio dei muri
t’avrei spinta almeno a pronunciarti
tu che non sapevi, tu che possedevi
tu che tutto il mondo credevi.
Abbarbicata insita nel tuo pertugio
mai lasciasti l’aria sfiorarti carezza.

Ora che coli l’oro dei tuoi rovi
t’accorgi d’esser fulcro del tuo cespuglio.
Sporgerti è ceppo di fuoco passato:
resta un gomitolo vuoto il tuo fiato
e la via oltre l’attesa pretesa

assopita cerca ancora la sua bacata mela.
nov 7, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Boulevard.
Fin qui tutto bene
fin qui tutto bene
fin qui tutto bene.
Il problema
non è la caduta
ma l’atterraggio.
nov 3, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Di carta un fiore.

Io non lo so.

Del brivido del Lui in me
come onda che dalla loggia
indugia e poi stordisce
mercante delle sue parole
urlate dai volantini

alzate sulle panchine
disordinate nelle orbite
degli occhi dei passanti.

Io non lo so
chi s’è ritrovato per caso
davanti al mio naso
[ma]
non me ne scuso
se gli ho urlato un bacio
putrefatto non dagli anni
bensì da un ricordo morto
[ma]
non me ne scuso
se quando ho sputato
la rabbia era densa
se anche solo una
è stata la fiammella
che han raccolto
nel mio lumino.

Io non lo so
se era fune la mia voce
e il mio corpo vibrazione
se un gesto è spettacolo
e una poesia può esser sdegno.

Io non lo so
se devo bastar io
nato d’anni 29
monco del suo fiato
ruggine del potere.

Io non lo so.

ott 27, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

PPP.
Scherzo e rigetto.

Più per piacere
potrò prima pregare
per poi prostrato
prorompere pro pace
placido per pochi
pur potendo patire
prose par perdute.

Uno che l’han come soffiato via
non figurante sui tuoi sussidiari
possiamo che solo averlo in noi
con il ricordo
la forza del suo ricordo
le parole dei pazzi
piene di z
fastidiose
diverse:
per una sera
fredda a Novembre
società
aggraziata
ascoltatele.
ott 14, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Charleston.

Le corde steccano un riverbero che da lontano pare un muggito strano,
un passato quasi asciutto ormai.
L’umido lo tocchi, è alle spalle e ti soffia sul collo d’un rauco bastardo.
Nel mezzo continui a rigirarti ma dove in questo mare di pece nemmeno lo sai
e allora butti via gli occhi che tanto qualcosa te ne daranno in cambio
e decidi di scommetterti l’alito sotto l’unghia.
Abbaiando raschi la voce fra le fughe delle croci
ma non c’è verso d’uscirne da dove sei
e passi la mano
e ciocchi le pozze.
Fermo, compagno unico dell’ansimo,
alzi il collo ed è nero pure in cielo ma d’un diverso.
Fresco, parkinson variato da chi c’è già stato ed ha già dato.
Svuoti quel che più non ti appartiene e la senzazione che non scorgi
è quella della trasparenza
come un fiore ramino sul fucile del suo cecchino.
Prostrato offerto al rinculo della scure
abbeverato al catino del signor macellaio
sporco dal grasso adatto al tuo svicolo
e punto di raccolta unto dalla super offerta.
ott 10, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Wallpaper.

Videoproièttati
sul mondo piatto
che da due metri non si vede un osti
partiti con l’idea di fare un salto
e lasciati in aria la qualità
senza sapere bene chi
si troverà di là
senza sapere cosa
si lascerà di qua,
con in tasca il resto del caffè
che non ti sveglia mai.

Un passato senza sugo
un album di batoste
e sempre con le ginocchia alte.

Un’ acustica scarna
è il suono che hai nelle braccia
che tiene da sola su la banda
mentre porti a spasso
la tua docile linea d’attacco.

Ma ora basta
è l’ora della sbornia
è quando cerchi il tuo angolo
per proteggerlo a pisciate.
Fermi il primo Gino
magari perso
per urlargli
con tutto il mondo che c’è
Gino
con tutta la rabbia che c’è
Gino
cazzo ti infili sempre nel mio camino,
Gino?

Vien con me dai,
si va a deragliare.

Ma quello pende già via
su per la collina di rifiuti
a ravanarsi in cerca d’un profumo
after shave sul tramonto.
Quindi
sbrandello da solo
raschiando i muri
rimbalzando sui mattoni
inciampando sugli ottoni
sporcando i pantaloni
d’un porco suono di tromba
che mi russa attorno.

La mezza
mi alza sulla pozza
per contrasto
sbasso la cresta
mettendomi tristezza.

M’abbraccio
al primo Gino
magari perso
ch’ascolta il piano
che tentenna in distanza
ce se ne va insieme
in un balletto traviato
gli sbiascico Gino,
con tutto il mondo che c’è
Gino
con tutta la rabbia che c’è
Gino
cazzo ti infili sempre nel mio camino,
Gino?

Vengo con te dai,
si va a deragliare.

ott 1, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Capisci?

Tu.

Poni che da fuori
questi siano fiori,
credi sai il miele
voce di piacere,
ridi come stuole
sotto le parole,
godi come poche
spine secche rose.

Ma.
Slacci vecchi nodi
rosi dai ricordi,
remi fra i tuoi nei
dei dispiaceri miei,
bevi l’acqua ai ciechi
per i tuoi pozzi neri,
ammali ancora dei
e ancor non sai chi sei.
set 21, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Cara P.

Cara P,
ho ancora la schiena incerottata.
M’hanno provato ogni tipo di male ma l’allergia non si trova
e a dirti la verità credo che mi si sgonfierà il petto in fretta.
Tuttavia c’è sempre il profumo delle rose in giardino ove spesso i bambini finiscono per pungersi. Li osservo ancora da qui e per strano che sia nel farlo giocherello ancora con i numeri incisi sul lucchetto.
Lo so che alla mia età dovrei smetterla e adeguarmi, rassegnarmi.
Ma ogni nuvola da quel pertugio è ancora un’immagine giocosa e di tanto in tanto dal panettiere all’angolo arriva ancora qualche nota coperta di sugo: è allora che non resisto e come sempre implacabilmente s’avviluppano nella mia testa gli schemi.
Per quanto ci abbia provato finisce sempre con quell’urlo.
Certo, ora il tempo di latenza s’è allungato di molto: ho imparato quasi del tutto a tenerlo sotto controllo.
Ma è difficile sai, molto difficile.
Mi sveglio ancora di soprassalto con quell’immagine del filo di nylon spezzato di colpo e lo schiocco sordo della frusta che colpisce.
Quando succede corro di là a ber subito un bicchier d’acqua: ma anche d’inverno mi par sempre calda.
Eppure m’aiuta a lavarmi e non passa che un’ora e torno ad addormentarmi.
Lei dice che presto tornerò a riappropriarmi di un solo mondo anzichè ‘esserne schiavo dei mille frastagliati in cui mi sono perso’.
Ho provato a spiegarle come va di dentro ma ovviamente non sono mai uscito da me nemmeno per un barlugio che le abbia fatto anche solo intuire quanto profondo io abbia dentro il mio solco.
Dirle che cammino ancora sui vetri ardenti e che con i frammenti io amo immergermi non servirebbe a nulla tranne che a renderla più insicura del suo affetto, dei suoi gesti, degli sforzi fatti per ricucirmi fino ai denti.
Perciò ho deciso di restare esempio di un corpo esterno denso mentre dentro continua lo sgombero dei dogmi e l’esodo dei sensi.
La consapevolezza della lontananza dal guado della conformità rassicurante mi attrae, mi spaventa, mi respinge e mi rincorre.
Temo solo la cecità della solitudine in questo mio sentirmi uno e più, ma come tu mi hai detto rincuorandomi non sono altro che isola fra isole difronte ad un mare troppo grande.
Hai sempre portato in bisaccia parole giuste in giuste frasi e questo tuo parlarmi di me senza vuoti o cadenze ma anzi con il battito che non ha mai perso un colpo m’ha da sempre di te ammaliato.
La differita vocale è la mia sola costante.
Torno a soffiare le bolle,
che ultimamente riesco persino a chiamarle per nome,
prima che si dissolvano liberandone il sole.

Con affetto,
M.
set 15, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Gorgo.
Triangolo la mia equazione riciclata dalla sfera
smussando gli angoli dei pertugi nel mondo
a ‘sto giro mi sento più curvo dell’orizzonte
così per dirlo mi cerco oltre le due grosse colonne
che Bonifacio rimane un imperativo distante.
Storcio la manopola del ritorno frequenza
modulando il ritmo sul gorgo della caffettiera
come sveglia contorgo la stecca
affinchè io scelga la mia falce più dolce.

Ahi, m’impongo di pungermi la camicia
che di rosso evacuo la ruota di seta
e per non rinunciare a posarmi negli incroci
recito perpetuo difese sgranate d’origami
solo per lievitare e dar corpo al domani.
set 7, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Mr. President

Junior d’un’atroce tenerezza
soccorso al lago del piccolo Capo
s’accompagna alla loro gonnella:
giocando con zio Bill Buffalo
e le rughe del babbo lui stenta.

Mentre la grande nazione sbiadisce
il suo rosso nei canali di scolo
ed il blu nel suo sud che ruggisce
lui ciuccia il pollice in volo
cantando la ninna del cotone d’oro.

Promette alle acque un tetto
ed alle carcasse linfa vitale
ma la rabbia straborda il livello:
la furia ora ammazza su ogni pitale
e lui non fa altro che spegnersi svelto.

ago 27, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Atipico celsius.

Sfùmino
il bianco si fa il grigio
miscela celebrale di vapore acqueo.

Ne viene
come un posto a sedere
sull’autobus dei condannati
dove si ride
di chi scaccia.

Ogni accostamento cromatico racchiude uno scontro di coiti,
a volte è miscuglio solo da risciacquare
ma il biglietto vincente
nell’attrito si accende
raramente
e quel che n’esce
è luce nuova
superba nei sensi
che si fa sonora.

Più d’ aurora.

ago 22, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Lei, m’insegna, è difficile da raffinare.

Dov’ho smarrito la teglia del corpo?
Il punto esatto fra crudo e stracotto dove solevo menarmi lo spasso al mondo?
Dov’ho corrotto l’uomo passato al placido mio setaccio?
Quale il burrone dove rotolatata è burlata la mia gioia squagliata?
Dove il recinto, dove la staccata d’andata al biglietto, dove il passo in più del troppo alto crepaccio?

Gelsomina ha un nome che ride
ne piglia che gliene danno
s’appassisce e via rinasce mite
e lei piace di perenne vanto.

Non c’è trucco, non c’è inganno,
accorrete al baraccone, ne restan per poche ore.
C’ha ragione quella che mi correva parole dicendo che sarei morto presto
che sarai stato sfamato solo da postumo
che portavo a spasso un bersaglio da colpire con freccette manco di rovere
che fiutato lo sfiato s’è girata d’altro lato
al tramonto ha preferito l’alba
e che la notte se la inghiotta.

Mai parlare di macabro sai,
mai ossa, umido e terra.
Mai differenziarsi la raccolta di parole
perchè dicon che c’è troppa gente di scrittura
senza grafia o morfologia.

Sghembo, capisca, non è forse il periodo storico adatto al suo genere di mente,
tardorinascimentale, ottocentesca, cappa e spada e fiorin fioretto,
oppure futuribile e complessa,
astrusa dal contorno irso, spigoloso, denso,
lei, mi insegna, è difficile da raffinare.
Non se la prenda a male,
vada a faticare.
Ci son già pieni i coglioni di politici, rubamazzi, finti attori e sinonimi,
ci mancherebbe.

Ci mancherebbe.
Si dia retta,
mangi qualcosa pagato di suo.

ago 11, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Whisky.

Ho una saetta in testa.
Scolpita, schietta.
Segue per natura la sveltezza di un cammelliere in gobba ad una stella cadente.
C’è un neo: gli vado per fisico dietro.
Perciò soffio e soffierò per tenere la randa.
Nello scorgermi veloce sembrerebbe a te che sbuffo.
E non è.
Non mi chiedi neanche il nome
e nemmeno te lo scordi.
Ci vuol talento per pizzicare le corde
riavvolgerti dentro al mio intestino
sbullarti di me.
Se mi ricordo
è un guaio
se mi atteggio
è un falso in fuga
se ti pronuncio
non sei già più.
Ora fuori tutt’attorno il sole grimaldella le rose secche del nostro terreno smosso
e serve ancora quel rastrello rotto, l’unico pettine concesso al saper incontrarsi.
Anima bella, plagiata al conteggio del fiato tolto alla nostra vicinanza,
maledetta sia la ricerca del nostro contorno,
troppe volte annegata di sbagliati pensieri,
poco esplosa quando d’amore odiavo il rumore
e sangue per carni precotte ai grilli del rancore.

ago 2, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sosta vietata.

Batteria, che i numeri pari mi piacciono che c’hanno le olimpiadi, i mondiali.
E poi stop, rosso al verde, pit stop giallo insinua il dubbio che mi tampona d’onda d’urto per non lasciar passare il singulto.
Ehi, estatissimo, come sei caldo d’un caldo da telegiornale, il più caldo senza fiatare: raggiungeremo i quarantagradi in tre ed i novanta in due.
Mi piacciono i numeri pari, hanno mistici e speziali.
Saltare, jumpare, rollare e sbiancare: attaccato alla transenna basta un passo per essere un altro, avere uno scambio, guadagnare il mio canto.
Basterebbe una spinta a questo baldraccone da carillon con la giusta porzione per guadagnarsi una briciola di sopravvivenza.
Ho bisogno.
Di uno sfogo,
di una fuga,
di una via d’uscita a mano tesa.
Altrimenti è grama,
è nebbia,
è scavare in pece nera.
Ho limite,
nel farlo,
quasi fossi in vita
con monetine da disco orario.

lug 29, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Che storia.
Eh la Storia sarebbe poi quella dell’impicciona che si intrufolava spesso dentro ogni pretesto: e come mai quello e come mai questo e nessuno sapeva darle delle saggezze.
Così vagava, e tutti a farle il coro attorno aspettando lo spettacolo in modo composto e tragico.
Eh la Storia ad un certo qualcheprecisopunto poi si è messa ad accellerare mettendosi un dito fra le labbra e scuotendole come mosse da un vento forza nove effetto Bubba brlurlbrulbuplu sembrava facesse la boccaccia al suo verso dipinto che di sicuro qualcuno avrebbe avvertito ma ci si aspettava il trombone sul finale ed invece finì per esser tutti trombati.
Ma come on, la Storia insegnava, la Storia pretendeva, la Storia dolce scuoteva e noi nel frattempo dietro di corsa per tornare a casa ma la casa più non c’era ed era integrata integralista plurirazziata e razziale perchè questo è lo swing dell’immigrazione, della globalizzazione, dei flussi ovunque dal povero al ricco dall’ormone al testosterone al tester di una bomba ad ore ma come on è notte, abbiamo finito la benzina ed abbiamo entrambi gli occhiali da sole.
Per giove la Storia la Storia è puttana sotto la sottana fa quel che gli pare infondo siamo le formiche di questo bel mondo e se ci bruciano il rifugio farà tutto parte di questo pianeta fatto a pertugio, andiamo e siamo estrapolati un po’ dal tuo sonno come numero primo ridotto a corpo morto.
Shhh la Storia dorme non svegliamola mangiamoci le foglie signore e signori ecco entrare in scena il giudice dalla voce grassa al banco degli imputati la Storia vacca e smorta non c’è confronto la sentenza è piatta la si credeva tonda sul tuo bel facciotto ma purtroppo nulla è certo come disse quel buon figlio quasi al rogo di Galileo.
AhAhaAha scusa se impallidisco dal riso ma guardala dov’è la Storia rinchiusa adesso nella sua cella accusata con sdegno da chi crede di saperne di più di certo ed invece non conosce le vie di fuga di quel signore che sono a disposizione del carnefice racchiuse in un cucchiaio usato per scavare di ognuno il fondo e raccoglierlo in montagnette di dubbi da scalciare in polvere di sogni.
Rolen rolen rolen cavalchiamo questo sole con il culo poggiato sulle cuspidi della Storia come suola verso il tramonto di questo western scotto verso chissà dove, verso un finale migliore, verso l’arpeggio di questa pellicola a spettro di cuore.
lug 23, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Voci.

Voci.
Ovunque.
Ovunque voci negli scaffali sotto i letti dentro alla tazza del cesso persino nello spazzolino disincantate strette nel comodino anche bastarde come le talpe voci perplesse posate sulla polvere del lampadario frugano nel il mio barattolo di miele scaduto fitte nello scarico della lavatrice insite beffarde dietro al freezer su per giù incragnate nelle fughe delle mattonelle piazzate attente attorcigliate nella cornetta del telefono vecchio rotte e stronze sparpagliate di zucchero in zollette voci disattente false amiche distinte troiette versate lascive fra mutande mie e stendipanni assassine formiche pronte alla caccia squoiate mentre faccio la cacca assorte da calli e amiche forbicine zozze impudiche a rigor memoria dei miei discorsi masturbi e dense come lenze all’amo di un’ amore bolso come larve riprodotte da un attore porno voci sempre croci di madrigali ebeti ed afoni che sanno come svegliarmi conoscono la nicchia nel mio letto puzzano di sudore verniciato fresco e godono al mio urlo mostrando silenzio di falso rispetto.
lug 18, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

In particolare.

Per vantarmi nella danza
ho inventato la distanza:
quando esco di casa
porto in tasca una rosa
chiusa da portagioie di giada
l’amo come esser preziosa
e non la sveglio mai
ch’è timorosa.

In particolare
sudo d’inverno
quando il ghiaccio
è troppo gonfio
da farsi secco
io lo lecco
godendo
e come detto
sudo freddo.

La sera prima ho sgorgato l’aceto
passandolo in un panno d’argento
l’ho chiamato amore e ancora m’imbevo
alimentandone il mio sguardo lento
mi son detto poi coraggio
è il minor danno
per esser del futuro scontento.

In particolare
te lo dico in silenzio
io sudo d’inverno
scostato al resto di te
bollente in stagione,
e c’è dell’altro
prima che mi dimentico:
mastico veloce
deglutisco ramarro
e al primo gelo
come detto
io sudo freddo.

Nel canto son rauco
voce notevole ma eccezzione
copro le mie fughe di malto
e perdo fiato con rumore.
C’è luce nel piano scordato
quando lo suona il tuo spartito:
è come m’avessi baciato
e le tue labbra ripulito.

In particolare
c’è questa cosa speciale:
io sudo glaciale
gocciolando
difronte al clima polare
amo l’avvertenza sottile
dell’aria rarefatta,
inciampo scalando
e lo faccio spesso
mentre tento d’ansimare
che non so se te lo detto
ma io sudo male
solo al freddo,
strano difetto.

lug 11, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Ah! S’avessi d’inchiostro il corpo.

La mia stella polare maldestra
ha smesso la rotta da tempo
screpolata in una maglia da pesca
e cullata nel grembo del vento.
Tanto tempo fa in una galassia so far so far
c’erano le mie gambe impolpacciate tornite dalla voglia di far quello che sono nate per fare.
Sopra lo scoglio del collo mi lasciavo andare all’istinto asinino fetale e non curavo ne curo tutt’ora l’aspetto del mio apparire sghembo.
Andavo tanto per non pagare, mi muovevo col solletico al culo di un animale banale e
adoravo i tramonti.
Passavo intere giornate ad ammirare i tramonti.
Più che un vivere era un sottobosco d’umori e voglie, gelati e sgelate.
Non ponevo il dubbio, non ero conscio: andavo fiume sfociando senza accorgermi degli emissari e non temendo nemmeno influenti affluenti.
Ora
le maniche sono arrotolate
sotto le ascelle mi cola sempre il sudore
ho imparato a conquistare la pezza con la quale mi bendo
ed un centimetro squadrato del mio fare
non fa più parte di quell’andare.
Non ancora lo accetto questo convivio
resto in panni che non ho chiesto
e che bramo restituire al più presto
questo d’istinto riflesso
ma passa il giorno
accavallato agli insonni
e ridendomi dice
che l’uomo così vien su
s’irrigidisce di creta
solo con la pazienza
d’imparare a muoversi
stando fermi.
E allora incartato
aspetto che mi secco
e dal mio busto di gesso
sputo in alto
ricadendo su me stesso
mi godo fisso
il tramonto eterno
e aspetto.
La mia stella polare maldestra
ha smesso la rotta da tempo
screpolata in una maglia da pesca
si culla nel grembo del vento.
lug 7, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Mind the gap.

Tra un po’, diciamo un anno, scuoterò il capo e ripercorrerò nitido le linee colorate stringendo forte il mio carnet dal risparmio di tre sterline.
Rivedrò Antonino commemorare Kings Cross dal plasma grande con poco sangue.
Tra un po’ più in là, diciamo tre anni, avrò nostalgia e spolvererò via la polvere tenendo la sinistra eccentrica.
Sarò pur sempre immerso nel mio via vai e la placida calma degli andamenti in soccorso trasmuterà nella capacità di organizzarsi difronte ad un disastro da anni collaudato in un secondo.
Tra un po’ di molto più in là, diciamo dieci anni, oltre le vittime saranno accertati i mandanti e brucierò difronte al caminetto l’ennesimo libro indagine dopo quello finito nel G8 del cesso.
Nel frattempo avrò contato altre stragi, avrò messo a letto altri bimbi e forse per risvegliarmi mi avranno attentato.
Si, lo so, cadono uguali sull’asfalto e sulla sabbia.
Il polso
ci fa andare avanti
star su belli dritti
dimenticare in fretta
ripulirci dal fumo
con le lacrime.
Tra un po’,
saremo solo
che più forti.
Mi dispiace,
assassini del cazzo,
l’umano
è più scaltro.

Uff, s’è rotta ancora!
Damn it, un’altra volta, cosa c’ha stamattina…
Tutta la linea ferma?

lug 4, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Torna a casa presto,
che fuori fa freddo.

Non mi viene da dire.
S’è inceppato il compimento del pensiero,
dentro oltrepelle c’è un omino che fugge
ripreso dal dietro
che alza la polvere
e scappa sgomento
con occhi asteroidi
troppo grandi per lui
pesano
di sconforto per passioni
appassite
e lo fanno ruzzolare
giù per la collina bianca.

Non mi viene da dire.
Hai da accendermi?
Così per incendiarmi
originale inizio per fumare
e lecco me stesso
come cane
dal cuore piccolo il doppio
ma riposto
nascosto
che non ricordo dove
che se lo cerco
vado altrove
raccolgo la mia testa patata
sbalzata giù
dal peso degli asteroidi

ricordi?

Ora la tengo

la testa
con una mano sinistra
troppo piccola
sopra il mento
ma non sono in bolla
ondeggio
e scuotendomi faccio terremoto
tanto che sento sotto i miei piedi
la Cina
la sento più vicina
allora allargo i polpastrelli
cerco le zampe delle galline
stringo forte le tempie
le stiro
e faccio l’uomo mandorla
candido
dal sapore di cioccolato.
Rutto me stesso
e mi sembro più bello.
giu 28, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Le mani a sud dei mignoli.
Solletico.

Ti han detto che quel qualcuno navigando baldanzoso l’asfalto
finì a sbucciarsi la pelle di onde?
E che un tempo c’era forse un tizio che s’alzava dal giaciglio
russando tutto il giorno all’incontrario
ma che una notte andò a sbattere il suo culo indeciso
contro il primo semaforo fesso al bivio?

Ti han mai parlato di quello che contava le stelle
e poi perse in un bicchiere d’acqua le sue penne?

La conosci la sintesi di quella principessa
che non diventava mai vecchia?
Beh deglutì
candeggina
poi si impiccò
assieme alla regina.

Risata.

E dell’eroe che non aveva mai macchia
cosa ne sai del giorno che sbagliò il suo lavaggio?
Perse il suo mantello
con dentro Pollicino
che ci s’infilò curioso sotto
macchiandolo del suo sangue quando
l’uccise un uomo onesto un uomo buono
scambiandolo per difetto
del suo stesso difetto.

Se non c’è pace davanti al tuo naso
cosa ti impegni a calmarti i nervi
lanciandoli a yatzee lontano dai seggi?

E ti han raccontato di quella tigre
che girava per la casa di un rassicuratore
che l’aveva adottata catino d’amore?
Beh se lo sbranò.

E di quando i fumetti hanno preso la vita
e Lobo divenne buono
dopo aver succhiato la testa
del suo ultimo nemico nella fossa?

E c’eri infine quando le favole scapparono
dal sonno del lieto fine
per andarsene a girare fra bordelli
ritornando più docili dopo le cecità
impregnata da schizzi perversi?

Presto ch’è tardi.

Se non hai pace soffiati il naso
pacato
che la farfalla del tuo starnuto se ne fotte.

giu 24, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Ronda.
Svuoto le parole scorticandone il cancello
svelto svelto graffio con la mia chiave di ferro:
incido con violenza incantata l’apertura
alla mia nuova risorsa umana congettura.
Capoverso d’istanza con l’occhio fisso al tremore
salomonico abbaio ad ogni cagna nitrata:
cameriere del mio bicchiere insapore
recito e scherzo con la mia salma cremata.
Così sballotto dentro al piumino d’oca imperiale
fuori stagione da almeno un buco da reame:
goffo, implume ed indigesto alle facce tagliate
e tarlo del mio canto castrato da fate sbagliate.
giu 13, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Esperienza Emotiva Inconscia.

M’alzo sgranchio dall’erba bagnata.
Nella stretta della mano un proclama
e tutt’attorno una condivisa follia.

Non è vero quel che si dice del vero.
A volte immaginarlo diventa mistero,
passione, voce in microfono e colore.
Difficile replicarlo nel mondo umano.
La tela è dipinta, la maglietta storta
e leggeri nell’aria sfumano i nostri nanisecondi.
Siamo esser stati e saremo per sempre pazziati.
Lo sarò in singolare perchè lo nacqui perbacco
e m’accorgo che tale è una malattia solo condivisa.
E poi i pazzi, va da sè, normali non ce n’è.
Ma a curiosarli in viso ne porti via un contagio.
Quando sgargiano sul proscenio
o gesticolano disarmati,
quando arridono i giudizi
o svirgolano fra i pennelli,
quando s’inventano all’istante
fra cavalieri e fate
allora t’accorgi che vivon per questo:
donarti la voglia
di ricordarti la gioia.

E’ un bell’andare, la vita.
No?

Figli e vostri fratelli
d’ancestrali amplessi.

*Grazie.
Parola per chi c’era e chi c’è ancora, per chi ha creato e per chi ha aiutato, per chi si è improvvisato e chi ha applaudito, per chi ha mangiato ed ha russato, per chi ha vissuto ed ha cantato, per chi ha ballato e poi sudato, per chi ha viaggiato e per chi ha tradotto, per chi ha munto col risucchio.
Grazie Davide.
giu 10, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Pazzi non foste a viver come bruti.
12 Giugno, Besen Castello.

La Pazziata è un evento scritto, diretto e interpretato da un gruppo di amici senza arte né parte. Il loro unico merito, vanto e colpa è di avere un blog, spazio virtuale in cui far confluire la propria pazzìa.
Fuori dalla Rete, il loro entuasiamo si sparpaglia senza controllo, si riversa sugli ignari passanti e prende alla sprovvista chi come voi ne vorrebbe un po’.

Li trovate a zonzo per il Castello di Beseno, dove tra urla e schiamazzi cercano di acchiapparvi e trascinarvi nel Bastione Sud. Lì daranno bella mostra di sé in un processo alla memoria. L’imputato è un improbabile Fantasma del Castello che ha perso i suoi ricordi. Riuscirà il nostro smemorato a sbarazzarsi della sua colpa e ritrovare se stesso?

La Pazziata
Castel Beseno – Bastione Sud
Domenica 12 giugno 2005
Ore 11.30 – 15.00 – 16,30

I Pazziati

Il Fantasma Fraps
Il Pittore Rillo
Il Giudice Zu
L’Avvocato Copiascolla
Il Blog Mike
Il Web Auro
Il Web Narsil

Blogger fiancheggiatori e collaboratori ufficiali della Pazziata:
Broono
Bru76
Franciskje
Masciu
Sphera

Blogger che ritroveranno parole proprie nel copione della Pazziata:
21venti
Ecate
Ethico
Ioguido
Miic
Skylark
Suonabene
Wosiris

Blog che hanno permesso di realizzare la Pazziata:
Blogrodeo
Portobeseno

Musiche:
“Rumbablu” dei Pontebragas
“Inedito” della Pizia
Varie ed eventuali che non potete non riconoscere

Un ringraziamento speciale a Davide Ondertoller,
organizzatore di tutto l’ambaradàn.

giu 5, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Nel vischio del suo teschio.

Mugola dal cesto degli inganni,
ferocia futura d’ancòra embrione:
goffo latrato falsario fra quadri
stecca alla sua prima scelta di voce.

All’alba ruggiva che fosse miele
impregnato nel vischio del suo teschio:
possederlo impegnava ori e fiere
al costo d’un ruba diamanti di sterco.

Muschio s’espande succhiando licheni,
sviluppa un attento costume di scena
e quando il danno mischia i suoi geni
smembra spargendosi d’orgoglio e di pena.

Non abbagliava ancora la notte
che dello smalto restavano l’unghie:
spolpato in sussurri d’altre voglie
storpiato d’amore fra inganni e carie.

mag 31, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Quel che faremo a Beseno.

Dispiegheremo la pazzia in maniero
poichè il castello sarà il luogo della memoria e dell’incerto
quel week end a Beseno.
Ecco cosa faremo.
Ci sarà festa, tutti i paesini lì attorno convoglieranno alla rocca
e qualcuno inaugurerà, qualcun altro metterà in mostra
altri proietteranno
tra musica, armature, natura.
Poi verranno anche da fuori, attratti dalla manifestazione,
che già lo fanno in tanti durante l’anno:
salgono ripidi attorno ai bastioni
e una volta dentro s’immaginano gran dame e signori.
Ma in quei due giorni
sarà splendore di corte
con menestrelli post moderni
e viandanti digitalizzati.
Noi?
Noi saremo per natura giullari.
Porteremo fra i sonagli dei nostri cappelli
l’arroganza sottile del risveglio dei sensi
poichè da sempre questo fa il buffone d’inchino:
osare la lingua salata di verità
là dove non osa la quotidianità;
coperti dal trucco dei pazziati
spargeremo la vita
quella che spesso l’esistenza depone lontano.
Risveglieremo formicolando,
ricordando a chi di voglie è stanco
che in fondo pare proprio
che la vita pare sia bella
e dimenticarla
è un oltraggio in contumacia.

mag 26, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Si va finchè ce n’è.

Va finchè ce n’è,
due pasiti a destra e poi scivola l’anca laggiù tutta che manca
torna con un besito e traccia un girotondo
poi s’asciuga dal cielo e di luna
alza gli occhi ed una canzoncina caraibica gli torna in testa
pulsa fra un ricordo e l’altro
e ne fa ritmo che ondeggia
dal sapore come di sabbia sotto i pollici
gli viene da incamminarsi bambino
per poi assottigliarsi e confrontarsi con le onde
che vanno e vengono vanno e vengono
canticchia con la lingua impastata di salsa
sembra cascare ma poi torna verticale
interroga di nuovo il mare
si sospende con il mondo un istante
e poi ritorna curioso a ballare.

mag 18, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sto fondendo muriatico d’acido.

Formicolio e dita con morbo.
Ogni centimetro epidermico è insito d’un male che mi si è diffuso dentro.
Teso, agitato, con la caffeina d’una adrenalina sufffomigio di un urlo bestemmiato che s’attarda allo sfogo.
Sarà per questo che mi sto maculando di lotte che non m’appartengono la pelle e sento uno sfinimento latente dentro.
Diresti, curiosandomi dentro, che sto morendo.
Ma d’una falce a doppia mandata, che ti lascia in vita come puttana ad ore.
Che ti costringe alla pala della fossa, al cucito del tuo cappio o se preferite alla pistola in abbinamento alla rivista patinata d’impegno nella quale sono inserto.
Sto fondendo muriatico d’acido, sento la mancanza partire dalle unghie e sciogliermi il cuore: ho già scordato gli specchi in casa e non ho più voglia d’averne ancora.
Il serbatoio è secco di passione, la mia lingua riposa morta dove non batte più nemmeno un dente e appassiscono i fiori sulla finestra sporca della mia cella.
Non è momento per essere me stesso.

Gl’aulici sapessi non han mai picchiato il culo per terra.

mag 18, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sto fondendo muriatico d’acido.

Formicolio e dita con morbo.
Ogni centimetro epidermico è insito d’un male che mi si è diffuso dentro.
Teso, agitato, con la caffeina d’una adrenalina sufffomigio di un urlo bestemmiato che s’attarda allo sfogo.
Sarà per questo che mi sto maculando di lotte che non m’appartengono la pelle e sento uno sfinimento latente dentro.
Diresti, curiosandomi dentro, che sto morendo.
Ma d’una falce a doppia mandata, che ti lascia in vita come puttana ad ore.
Che ti costringe alla pala della fossa, al cucito del tuo cappio o se preferite alla pistola in abbinamento alla rivista patinata d’impegno nella quale sono inserto.
Sto fondendo muriatico d’acido, sento la mancanza partire dalle unghie e sciogliermi il cuore: ho già scordato gli specchi in casa e non ho più voglia d’averne ancora.
Il serbatoio è secco di passione, la mia lingua riposa morta dove non batte più nemmeno un dente e appassiscono i fiori sulla finestra sporca della mia cella.
Non è momento per essere me stesso.

Gl’aulici sapessi non han mai picchiato il culo per terra.

mag 13, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Deciso ch’emigro.

Voluttà indecisa mi chiede il privilegio d’esser meglio di me stesso.
M’incipiglio. Accidenti, superarsi in catalessi è molto più contendersi
che restare beoti e perplessi.
Mai più.
Deciso ch’emigro.
Vado lontano e temporaneo, sbollettato e pazzo.
Vado, si dice, perchè l’andamento fa spesso ritrovar se stesso.
E allora eccomi giulivo reincollarmi lo zaino per lo spasso,
scavalcare alpino monti con salti in alto
e nascondere in maniche distanze linguistiche.
Vado un poco anche etilico
in cerca d’un parco dove schiacciare
ammazzare e onirico ripudiare un sonnellino
auspicando che mi serva, mi reintegri d’una pozione miracolosa
che alzi più del dovuto le palpebre su questa nuova mia vita
e mi ricordi almeno fosse per una frazione di tempo
che se non scrivo non rido
se non rido non vivo
se non vivo espello solo muco
e non sarei altro che di cervello eunuco
e vada via il culo.

mag 5, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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I pazzi

Scendono la cera con infinita tristezza,
s’abbracciano agli alberi con lo stesso cognome
odorano di colori graduati con stellette senza punte:
odono quando c’è d’asciugar lacrime
e sanno sempre del momento migliore
quando potevi e hai lasciato un bagliore.

Stridono ai fianchi del mondo scintille lontane
e t’accarezzano senza un pegno in tuo onore:
ridono ridandoti un ricordo rotto
e screpolano le rughe del tuo incedere incerto;
cantando la tua vita sotto altre pelli
squamano serpi i tuoi giochi ribelli.

Mutano al calare del sole le loro vesti,
si tosano d’alcol in fumosi pub o bordelli:
lasciano la luce accesa sul tuo volto,
si scordano dei nomi falsi sui passaporti
e volano leggeri sui tuoi pensieri
cullandoti di lacrime ricordandoti chi eri.

apr 26, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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M’ammummifico.

Na pode piu.
No che non va.
La gente si ferma al rosso e poi riparte sempre attorno allo stesso giro ed io incamminato dietro verso chissà dove.
Sbaglio e risbaglio direzione.
Vado opposto a quello che da sempre voglio.
Sono stanco di lasciarmi trascinare eppure questo è quello che da sempre ho al traino.
Ho bruciato troppi fogli
e nessun asco a chiedere dita di altre mani.
Ora vado, ogni giorno, dal presto al tardi, solo per ripagarmi occasioni in pasto a tarli mangiamonete.
Ed ho sacrificato, sprecato e scialacquato le mie voglie di risvegliare persone addormentate in cuscini dalle orecchie lontane al mio volere urlare.
Ora, deciso, io m’ammmummifico.
Addirittura screpolo via una vita che poteva essere mia
e quasi sempre passata a chiedersi chissà Eolo quando girerà lo strumento.
Per cosa?
Per qual premio?
Disidratato accanto al mio fato,
con la magrezza fra le sillabe
e l’ammaino ad un passo
da quel che da sempre
anno dopo anno
fra testa e cervello
a nulla ha servito
che d’utopico
non appartiene
a questo mondo silente.

Magnifico.

apr 19, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Metaterso eptilico destro.

Fa caldo, al parco.
Mi prendo un corner da speaker, salgo sulla cassetta di legno e dalla tasca oplà m’esce il megafono.
Prima schiarisco l’umore, poi un paio di colpi sordi al cono prolungato ed infine spremo tutto il mio mare nero nell’amplificazione:
‘C’è un dottore? Per favore c’è un dottore? Ho male al metaterso eptilico destro!’
Faccio questo per due o tre ore fino ad una goccia dallo sfinimento, fin quando ad un punto parente prestabilito mi si avvicina uno che mi sussurra smunto:
‘Io sono un camice ma non conosco il suo dolore ne il luogo o l’ubicazione’
Il suo pastrano è filiero di grano, il sopracciglio folto e sapiente.
Per non parlare delle sue carie, di per certo non è dentista.
Prima nel ricordo stava passando vuoto accanto ad un cencioso: quello chiedeva e lui si ritraeva, il dottore.
Sarà cardiologo sprecato. O ventrilocuo delle emozioni.
Ad ogni logica di risposta comunque aspetto ad aprir bocca e me ne resto muto senza dargli soddisfazione. Insomma, che vuole?
Riprende:‘ Buon uomo per davvero, lei mi si è fatto silente. Eppure poco fa dimeneva al vento un malore che pareva greve. Si confidi, si lasci andare, si faccia toccare!’
L’indice tocca l’asola della mia spalla e a quel punto lo mordo.
Un sol colpo, netto.
Assaporo un brandello al sangue e lui si detrae seduta stante.
‘Lei è pazzo!’ urla fuggendo.
‘Si son folle a causa del metaterso eptilico destro!’ lo rincorre la mia ragione avvinghiata alle sue caviglie.
‘E mordo, mordo con la mia voce!’
Nel frattempo un creato capannello osserva indiscreto da qualche metro l’animale che sono.
‘Avete compreso? Sono indiscreto e rabbioso, odioso e avverso ai mali del mondo!’
Si sparpagliano gli astanti.
‘Scappate, andate: tanto torerete recalcitanti all’attrazione!’
Ripiego su me stesso e rimetto a posto la candela della voce.
Con il gomito pulisco lo sbaffo sanguigno.
Scendo dal trono e ce ne si va via, io e la mia cassetta in legno sottobraccio.
Rosicchiatori, sono, null’altro.

apr 13, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Andando a stadio.

Lo scarica cerino delle tribune politiche, del chi dovrebbe e del chi se ne fotte.
I fumogeni, la guerriglia, i bla bla bla.
La squalifica del campo, la pesante multa, il rosso nebbia.
Ottantamila persone e poche centinaia di teppisti.
L’impunità, la massa, la protezione del branco.
Basta.
I coglioni sono fuori e tutto attorno.
Io mi sento un po’ coglione compresso perchè non faccio niente mentre i bambini fanno oh.
L’ignoranza è la base sopra la quale buttare il razzo e colpire il portiere.
La violenza non è dentro ai cancelli ma comincia ben fuori, lontano dai cori.
Ai politici va bene: le legislazioni cambiano, la patata passa e la violenza cresce.
Eh si ma in Inghilterra non ci sono barriere, non c’è violenza e tutti gli hooligans vanno in trasferta. All’estero.
La soluzione?
E’ alzare il culo, girare le palle e come negli spot portasoldi: prevenire.
Non far passare per primi i fiancheggiatori attorno al santo stadio e poi convincersi che uno sport dal sapore di sport può esistere.
Le telecamere riprendono dopo e l’educazione è la fonte a cui nessuno vuole bere.
La feccia va allo stadio perchè impunita, si sfoga come una grossa cagata fumogena nel cesso della cloaca della massa in maniera soddisfacente perchè sicura che nessuno la disturba.
In curva volano bestemmie e voglia di far male, ottimo luogo per la libido umana e per cercare un’uscita dalla repressione di un sistema feriale.
Ma non può essere una giustificazione: le tavole rotonde non servono più e le spranghe chissa come mai continuano a passare i finti controlli.
Smettiamo l’italietta e passiamo a fare quello che semplicemente bisogna applicare.
Niente più si dovrebbe: quel che non funziona è quello che già esiste, solo non si applica.
Politicanti, dirigenti ed amministratori vari: finite il teatrino e rimboccatevi le mani; pulito il deretano con le monete degli introiti tornate alla ragione e provate a trasformare lo sport in vera passione.
Porterò mio figlio allo stadio, ve lo scrivo firmato sulle vostre poltroncine di tribuna in grassetto araldico.
La cultura sportiva.
Prima ancora il rispetto dell’avversario.
Il tifo per e non contro.
Servono buoni e pazienti insegnanti, mani grosse e una nuova generazione.
Ma sapessi poi che soddisfazione.

apr 8, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Il vento.
Sfugge il vento.
al ciliegio scarno
alle foglie del vangelo.
al rosso vacuo.

Sfugge il vento
a scomporre il cielo
a sgranare i rosari
a livellare i capi.

Sfugge il vento
nel ricordo del freddo
per mutare la babele
e soffiare il verbo.

Sfugge il vento
a tuonare la gloria
a incutere rispetto
a squartare il tempio.

apr 2, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lolek.

Sgranato bianco, soffia ormai solo il viandante:
saluta posato l’attesa giunta dell’immacolata badante.
Acuto giostraio, sminuzzato dalla calca porporata:
tremule ginocchia già s’arroganzano in duplice fumata.
Grigia è la soglia, Magno il decoro:
s’arrenda l’ateo difronte all’Uomo,
l’illuso vegli al raglio dei corvi
i semi sparsi al lume dei suoi giorni.
mar 30, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Monogamo di sillabe.
Congiuntivi secchi che arraspano, null’altro.
La mia pancia tonda troneggia ad un’asta di distanza dal bancone sopra il quale un tempo scavalcavo gli avventori beffardo.
Ora sono unità di miglio distante da quel tempo: attonito, senza crespe e monogamo di sillabe.
Come un bell’esemplare purpureo e senza spine m’arrigiro dietro le sbarre che mi sono saldato e che ho persino smesso di rosicchiare, anche solo per rifarmi l’interdentale.
Ho smesso finanche di osservare e non vengo nemmeno più notato.
Sto mimetizzato fra i placidi rincorsi della solita gente verso il niente e le grida di chi incredibile ancora s’ammiraviglia non più del mio estro ma del buco latrinoso che uso al mio fianco in cambio del bagno.
Vorrei è il mio imperativo, scarno sostituto del fu creerò abbattuto da una quercia di firme incatenante.
Godo solo in percentuale, scorporandomi l’iva di quel che ho prodotto come lordo ed è magra consolazione, che passa via presto, come una puttana ad ore.
mar 21, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Solstizio.
Ho munto un’espressione da gelo.
Figura 12 del mio cartellone, accanto al buon nome della mia famiglia ad ore.
Non me ne vien su nessun altra dall’addome perciò ho deciso di rimanere assuefatto e statico nel mio migliore quadro artico.
La bella stagione è cacciatrice di rugiada oltre che precoce: da alcuni istinti mi danza sulla brina in cerca di uno sgurlo.
Ma io niente, assente.
Sarò albero in marmo, rifugio di picchi e cinciallegre.
Perforerò il futuro che mi attende una volta che avrò mosso almeno il ripieno dei miei capelli ai venti.
Ho una vibrazione che assomiglia all’ombra della rabbia ma purtroppo non ne possiedo il nervo e quando sbraito mi si alza sempre più spesso l’angolo del mio labbro destro.
Trachea ed esofago come contorno della mia saliva che deglutisce possente e si sente, specialmente quando mi sfiatano le narici in bolla che tento inevitabilmente di riattaccare con la colla.
Albume e tuorlo amalgano unici in Es: sgrassano il calcare della mia stessa periferia dal guscio crepata.
mar 4, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Come mai, com’è possibile?
Qui è strano,
come un centro d’accoglienza.
Lo spirito è benevolo, le premesse cariche di ogni spremuta di bene e le intenzioni sono delle migliori. Vestite a festa.
Purtroppo chissà come ancora avviene lo scontro.
Ci finisco dentro e non ne so il come.
Succede che arrivo ad un punto in meno dell’esplosione senza neanche rendermene conto e quanto mi si presentano le spese non capacito il perchè e resto irto in tensione.
Come mai, com’è possibile ritrovarmi a guardarmi i pollici e tutti gli altri compagni tesi?
Come mai, com’è possibile guardare il soffitto in attesa dello scoppio, sentire una vena pulsare nascosta sotto l’occhio e desiderare di afferrare qualcosa per scagliare?
Come mai, com’è possibile?
Quando è arrivata la tormenta io dov’ero?
L’ho scelta apposta la strada in direzione tempesta oppure ho fra le chiappe un masochismo latente?
Sfortuna in fortuna non ho memoria e benchè ancora adesso mi sforzo io non trovo una che sia una risposta.
Piuttosto mi sposto e raccolgo i cocci delle mie urla.
Fatto questo sembra quasi che io svenga ma non è vero, semplicemente è essere spolpo.
Tocco la latta umida che mi scherma: rimbomba.
Ticchetto zigrinato sono squarciato e imprigionato: dall’alto già ricomincio ad avere la mia razione di ragione e denso e calmo tra poco sarò di nuovo colmo.
Stringerò Caronte di nuovo la mia barca in bacchetta da rabdomante e me ne andrò avanti ancora a passo adelante diffidando delle ombre riflesse sulle acque.
feb 25, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Bisonte.
Piccolo scherzo di canzone Pulita.

Bisonte
era già gonfio come sbeffeggio di soprannome
nel chiamarlo pareva già uno scherzo
e benchè da bambini ci si sforzasse
il filtro della moralità finiva sempre nel cesso
senza nemmeno il bisogno d’abbassarne l’asse.

Cento i chili sopra i grassi polpacci
e davanti alla porta in difesa nella squadretta del paese
si muoveva statico come nella vita senza grosse pretese
colpa credo di certe ghiandole disfunzionali
sepolte dagli insulti stretti in ortepedia da lacci.

Gli angioletti del paese
finita la funzione
s’uscivano sul sagrato
coperto di neve
e stringendone le palle
lo miravano ragliando:

‘Arriva il bisonte
ciccione deforme
senti il fetore
chi lo tocca muore.’

e senza sforzo
centravano il bersaglio.

Bisonte
mai una reazione
spolverava via il bianco dal cappotto
si riassettava la sciarpa sul collo
e se ne andava ondeggiando
uscendo in silenzio
dalla parte opposta del lancio.

Le estati fine sessanta
erano promiscue dal fango ai fiori
sfuggivano da incensi, candelabri e noia
prostando in altre Marie l’adolescenza.

Lena andava verso l’agonia dei diciotto
con l’incoscienza bagnata da un boia.

La sera delle lanterne sopra il caldo
era San Rocco e a lei bastò un corpo.
Lo straniero veniva da fuori
era in paese per la festa
non l’aveva mai visto
e per questo gli piacque
non aveva legami, se ne stava in disparte
ma le colava addosso il suo sguardo
e quando lui la invitò
infrangendo la barriera delle sue amiche
lei non rinunciò al ballo
e quelle la guardarono inviperite.

Rude e tagliente
l’avvinghiò al tango
Lena avvertì qualcosa laggiù
nel bassoventre
s’eccitò
e pensando all’invidia a bordo pista
se lo strinse ancor di più
vita contro vita.

Lui la mirava con un filo di bava
strattonandola e trafugandola
come bigiotteria scarsa
ma alla portata
e visto l’estate
come se n’era andata
decise che ormai
non aveva niente più da giocarsi
e affondò con lei
fra le sue carni.

La pelle
sporcata di terra
e piegate le spighe
sotto la voglia.

Progetti in punta di coito,
un amplesso ad un passo dall’eccesso.
Lena stava per far sua la preda
in neri vestiti da notte penitente
quando scuotendo la chioma nel nulla lo vide
pensò è finita scrutando l’eclisse,
si bloccò di colpo in attesa del peggio.

Ed invece l’ombra negli occhi del gigante
non celava male o cattiva intenzione.
Durò in eterno quel secondo freddo
il suo sguardo sul suo seno stretto.
Poi si voltò da nemmeno un metro
e strisciò rompighiaccio nel grano.
Bisonte pacato
se ne andò ondeggiando
uscendo in silenzio
dalla parte opposta del campo.

Lena non volle sapere
quel che aveva da temere
sotto di lei senti un corpo freddo
ma non ne diede peso.
Lo ripose via dimenticato presto
si convinse d’aver visto un miraggio
scosse l’animale che aveva sotto il grembo
e gli chiese di riaccompagnarla in paese.

Lo straniero perplesso
fece uno strano gesto
Lena s’augurò che non impazzisse
che d’uomini non venuti ne conosceva:
erano tori da tagliarne i marroni
senza più connessioni
sragionavano come bestie feroci.

Ed invece quello
si curò più di non dar nell’occhio
guardandosi attorno
come uno che non si fidi dell’ombra
alla fine di una strada non nota
armaneggiò fra i calzoni
sputò apprensioni
e se ne diede.

Non si fece mai più vedere.

Durante l’ultimo anno di lezioni
Lena ripassava le righe meccanica
prossimi i rumori delle officine
e un salario in turni da prigioni
rassegnata posava testi e sfide
immergendo i suoi sogni in acido bagno.

Turnista in notturna sempre in fila
anche in mensa portava alla bocca
un miscuglio di sapori da officina
ed accanto al suo posto freddo
arrivò lui, l’anno dopo, d’inverno
versando il suo silenzio in brocca
e ricordandole quei tempi da ballerina.

Era modello di ingranaggio perfetto
timbrava perforava sudava timbrava
accompagnava la catena da almeno un metro
come insetto gigante nel suo regno
Bisonte al traino lui massacrava
aveva le mani come di cemento
e ci dava dentro
Diobono come ci dava dentro.

Gli bastò il primo giorno
per riavvolgere la catena
finito il turno vennero da lui in banda
e nello spogliatoio sudato in pezza
in quattro gli misero un sacchetto in testa
versandogli addosso dell’olio di rimessa
gli avvicinarono il calore di una fiamma
‘mangiamoci questa porchetta
vediamo se avrà ancora voglia
di menarla così di fretta’.

Quando se ne andarono
rimase solo là dentro
steso sul pavimento
come carne da macello.

Pianse sopra il quintale
si sentì male
poi si asciugò lacrime e fetore
e se ne andò ondeggiando
uscendo in silenzio
dalla parte opposta dell’agguato.

Al terzo giorno se ne accorse
non che non l’avesse vista prima
ma al terzo la riconobbe
col tempo del suo riflesso
prima capì
poi tornò al suo controllo
del quale peraltro aveva già
rallentato l’andamento
sollevò di nuovo il mento
l’arse per un istante di traverso
e rinunciò ad aprire il suo mondo
per osservare di nuovo il suo piccolo regno.

Lena già tremava
mentre impacchettava in fondo alla catena
le era bastato un attimo
ed il sangue aveva di nuovo gelato
chiese il cambio con una collega
e cercò di non averne a che fare
con quella bestia immorale.

Successe una sera
pioveva di cera
terminato il lavoro
Lena usciva come in pena
ad attenderla il bucato
e la cenera in sigaretta
sopra la tristezza
a ricordarle com’era stata bella.

Confusa nell’acqua
si avvicinò alla macchina
vide il suo riflesso smorto
in una pozzanghera d’olio
si fece forza aprì la portiera
e proprio in quell’istante
si accorse del gigante
dietro di lei alle spalle
l’aveva raggiunta senza un rumore
e la stava a fissare
come se fosse gìà li da ore.

L’istinto la fece per urlare
ma quello le mise una mano sulla bocca
enorme a chiuderle il fiato
ripensò di nuovo alla fine della vita
e si augurò che fosse rapida
indolore e pulita
chissà perchè
pulita.

Aspettandosi il nero
venirle meno
si lasciò andare
come offerta all’insensato altare
ma proprio mentre salutava il freddo
lui le tolse lento
il suo blocco dal mento
portandosi l’altra mano al corpo
dal nulla ne estrasse un foglio
posandolo sul sedile dietro
si voltò
e se ne andò ondeggiando
dalla parte opposto dell’auto.

Per la seconda volta
Lena era un passo che morta
solo dopo il suo nuovo battito
riprese coscienza
sulle guance e nella testa.
Risollevata
seguì l’impulso
afferrando il foglio
bocca di gatto col topo.

Era piegato
in quattro parti recluso
aperto
recava la data dell’anno passato
ed era pagina
del giornale locale
il giorno dopo
dell’agguato nel campo
quando Bisonte
le aveva tolto
per la prima volta il fiato.

Sotto lotte politiche
ed inframezzi secchi del tempo
c’era quasi nascosto un trafiletto
ma evidenziato da un tratto incerto:
Ammazzato finalmente quel delinquente
morto sparato e difeso disperato
accusato di furti stupro e scasso
dopo aver tentato in sevizia la settima donna
si diede alla fuga sul monte dietro al paese
ma infine raggiunto e braccato
dopo un assedio disperato
l’ultimo scontro a fuoco con un agente
lasciò il suo corpo dissanguato
disteso indifeso sul prato.

Seguiva la foto
ed i tratti sul viso del malvivente
erano carne che per Lena appariva ancor viva:
fra le sue unghie sotto le stelle
aveva danzato fra la morte e le sue voglie.

Di nuovo quel brivido freddo
ma per la prima volta cosciente
corse in cerca del bestione
certa d’aver confuso aggressore e protezione.

Passò in rassegna ogni muro e pietra
setacciò la locanda
scrutò ogni ciotolo in dedalo di via
ma di Bisonte nessuna traccia.

Rassegnata
si decise al ritorno verso casa
sola a notte inoltrata
ma ad un passo dalla luna
di colpo s’arrestò in mezzo al ponte
d’istinto seguita d’incongruenza:
spalancò la portiera
uscì di corsa verso la ringhiera
e disse quel nulla che già sapeva
quando vide
con quel grosso corpo teso
la corda giocare
ondeggiando in silenzio
dalla parte opposta del sangue.

feb 17, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Timbra e incolla.

Bigliettino da visita,
chi sei, cosa vuoi, chi ti ha incastrato e ora sei il cellulare che se chiamo che palle ancora questo cliente non mi risponde non rispondo farò finta di niente.
Poster, lontano dalla gioventù imbaglionata e molto molto presente al materiale da vendere.
Un tempo cantante, ora specchio di una professione latente.
Vetrina, passa il vecchietto e la bella f!*a.
Ops, che termine, farò sfracelli di audience prima del termine.
Ho la rotula cornea intasata di nulla, di belle parole sopra asterischi di gente ripiena d’aria che spero vada al cesso a sturarsi.
Oggi poca veramente poca fame, sto assorbendo nitrato di sodio e solfuri diffusi.
Se respiro muoio, se apneo almeno trattengo il mio personale embolo.
Tanto sono in circolo, firmo assegni circolari e bonifico.
Ufficialmente vivo in ufficio ma non è detto d’essere sostituito dal mio cartonato e presto.
Sorseggio un cenno d’assenso, portatemi via
me e il mio occhio pesto.

feb 10, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

E’ un anno già.

E’ un anno già.

Gli occhiali scuri
pesati sui dieci anni di una bimba;
in blu le rose nenie in nuda terra
e un ricamo fioriva i tarli del rovere.

Rilegato l’hanno lasciato in ultimo riposo
ma prima dell’ultimo taglio sul petto
l’anima n’è uscita e mi si è cucita addosso.

Sosteneva
di camminare sempre ritto
lo chiamavano Signore
in aggettivo Distinto
sapeva
di quell’inchiostro da me ora scritto
raccontava
d’allargare mani per raccoglierne sorrisi
su altri visi
ed il suo
fui io
l’ultimo ricordo che vide.

Nadit è la mancanza
da te celeste.

gen 28, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

M’involucro d’involuto

M’involucro d’involuto.
Aiuto.
Sono un uomo insoluto.
Stolto e infilzato in un involtino sempre più smorto.
Di me voglio un risorto senza il sostegno di due pali incrociati nel legno.
Ho smarrito il mio tempo scivolando via lento dal greto del mio secco credo nel vengo.
Non più certo fra l’incerto non so più cosa cerco.
Sto attento solo alle calorie del vento.
Che mai io sia raffermo, almeno quello.
Imbandito al traino del carretto mi piego al nervo di cui non provo sdegno.
Serve anche questo, sai, per vivere onesto.
E servo.
gen 19, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Mio padre oggi arriva che neanche è l’una.

Mio padre oggi arriva che neanche è l’una.

Mi trova seduto nella poltrona nuova davanti alla scrivania nuova del mio negozio nuovo ad addentare un panino al crudo. Stantito.

Nelle narici la plastica si fonde al grasso del bordo dell’affettato che lascio sul legno del trenta percento% dell’acconto della scrivania che ho in parte pagato.

Sabato alzerò la saracinesca che per ora nasconde le vetrofanie nuove e gli schermi al plasma che accoglieranno nuovi ordini in bit tradotti in merce da discount informatico.

Sulla vetrina mercoledì scorso avevo affisso un cartello con su scritto ‘stiamo arrivando’ e la sera avevo scelto quale antifurto avrei istallato due giorni dopo.

Nel mezzo l’epifania di giove mi svegliava di primo mattino con la voce del padrone che diceva:’hanno tentato di entrare’ e già confermava quel che era.

Le sirene dei cellulari a distanza di pochi passi portavano caschi a tifare Atalanta-Fiorentina ed io attendevo in questura il comandante per appuntare la mia prima denuncia di furto ancora prima della mia prima vendita.

Entrati dal retro, tagliato la griglia, sfondato la finestra, asportato del materiale tennologico.

Tecnologico, comandante, con la c.

Sulla vetrina venerdì scorso ho affisso un cartello con su scritto:’ci hanno preceduto’.

Subito dopo hanno finalmente montato l’antifurto ma nessuna delle sue opzioni elimina tutt’ora le mie insonnie.

Così oggi mio padre arriva che neanche è l’una.

Lascio il pranzo stantito accanto alla bottiglia d’ acqua e lo accompagno sul retro.

Lui parcheggia il camioncino e scarichiamo la nuova grata di protezione.

Assorbe lo scasso, bestemmia in razziale.

Sto attento, non voglio sporcarmi e maneggio il ferro con cura per non rovinare il maglione.

Il bomber di papà se ne frega ed appoggia la ruggine sopra la polvere che rende grigi i suoi capelli.

Assieme la fissiamo davanti alla finestra e facciamo leva in un unico punto accavallandoci le mani.

Le sberle di mio padre facevano male.

Le estati in cantiere non erano il centro ricreativo in attesa di quale scuola superiore scegliere.

La mia fame di scrittura, diceva, non porterà mai a casa il pane.

Ed in fondo, quella era la sua casa e finchè stavo sotto quel tetto. Perciò.

Poi l’indipendenza, l’uscita fredda a ricordare i silenzi apparecchiati nelle tavole della mia crescita ed una lacrima che mi sarei aspettata materna ed invece.

Se ti serve qualcosa, Mike.

Non mi serve niente, Papà.

Ma

grazie

grazie di avermelo chiesto.

gen 10, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Il primo risveglio.
Se non fosse per via delle sue fusa sarebbe un semplice sonno equidistante dal mondo e dal sogno ed invece quel musetto si accompagna sempre a quel sottofondo persistente ed allora che fai?

Osservi, dalla tua vista posata sul fianco sinistro tu guardi.

E mai ti stancheresti.

A volte capita che si rigiri all’improvviso e sorrida: quando due circostanze così avvengono insieme puoi anche scordarti la bellezza di una stella cadente.

Sei già infinitamente più in alto della volta celeste.

Silenzio.

Parla.

Ricorda sottovoce paure da sole oppure lei urla repressioni svelate dal buio.

Emerge una sua doppia se stessa sfuggevole alle persone di cui si circonda nel solito incedere.

A me è concesso di sapere le loro stesse cose, ma di saperle vere.

Dormisse con un estraneo questo fuggirebbe in cerca di sicurezze in esorcismo sgretolate, ma per me che ne sono il custode da sempre ogni timore urlato infranto dalla notte in quiete è tesoro da tramandare al mattino seguente, quando coscienti sono le sue labbra e forte è il suo abbraccio.

Ed allora l’intima distanza fra le lenzuola si modella fra le movenze del risveglio e tenta di incidere il suo segno destinato ad essere slavato dal percorso del giorno.

Riavvolgeremo la nostra tela in attesa di ritrovarci di nuovo insieme al calare della sera.

Avremo per certo ostacoli da elastico prima del pranzo ed inquietanti tentazioni da omuncoli prima del crepuscolo ma quando saremo di nuovo uno tutto questo sarà stato solo dilemma e spergiuro.

Perché animali sbatteremo le nostre code di paglia tra volontà in salsa di samba e fiducia da attingere all’evacuo sentimentale delle nostre latrine ma essendo anche anime uniche in barattoli di carne allora sapremo trascendere ed insieme accrescere in cerca di un futuro dove dare di nuovo vita all’uno.

Così continua qui attorno da sempre e per sempre in mille maniere diverse.

Ognuno è in cerca del suo futuro, palombaro del presente.

Per quanto mi riguarda mi dorme accanto e fa le fusa, il mio essere.
dic 31, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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La portinaia.


La portinaia del mio emisfero destro mi sofferma questa mattina al limitare delle scale con un banale nuovo annuale pretesto.

Mi richiede un parere di quel che ne penso sui cesti delle banane in testa alle meretrici anziane che ogni giorno scavano un solco dentro il piazzale antistante il nostro borgo.

Alchè non mi sorprendo: ogni volta che scatta una molla lei è sempre pronta ad ingrassare l’ingiuria con lo spergiuro e anzi ritiene sia nobile causa a favore di mondo accrescere il perpetuo parlando su per giù del sempre mai antiquato augello.

Solo che per un abbaglio stavolta ho visto dal parlamento del mio emisfero sinistro giungere in coro una sola protesta di sdegno in culo al culturale: è mai possibile, mi si chiede infido e infine, dovere alitare costante fra il mare e il dire da che mondo è tondo per ciò per cui si è procreati al fine?

Perpetua in natura avrà certo l’inconscio di non rendersene conto ma ci sarà pure un controllo che cancelli quel che sembra un difetto: agire costantemente sotto l’impulso del sesso.

Offesa al sapere, ingiuria d’arte e clichè antistress sopravvivono e ripopolano certo ma nel mezzo, sacramento, nel mezzo non dovrebbe esserci un po’ di sano riappropriamento del gusto unico nascosto diverso ed in diversa misura in ogni noi stesso?

Calamitante fra poli opposti resto nel centro di questo personale universo e mano al mento m’interrogo ponderando se son questo o son quello.

E non ne esco.
dic 21, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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La morsa del freddo.

Le ho nascoste, sai,

le tue mani nei jeans.

Fa freddo, dice il tuo sbuffo sospeso.

Ed anche se stai a fianco

del mio stesso strano passo

riesco e ruoto gli occhi dal basso

per risalire a stento

dal mento al tuo pensiero scosceso.

Sei improvvisa dal nulla tornata

e sospesa ad un nulla

dall’ abbracciare il nulla

della mia nuova paura da nulla.

Da poco è un tempo

dove il forse è ancora un fremito

e tra questo il tuo arrivo

mi brucia

mi satura

mi benda

di cura.

I tuoi dentini

non li nascondi poi così bene:

avanti,

mordi,

fai il tuo dovere.

Fermi al muretto

due gomiti vicini

ancora non s’appartengono:

ma

già

saggiano il freddo

e sciolgono il marmo.

La cartolina del panorama sottostante

si fa osservata in quattro occhi da incrocio:

solo un attimo dopo

aver permesso l’inizio

dello stesso antico

doloso gioco.

La voglia di leggerti il naso

ha lo stesso peso delle bugie che verranno

ed il sapore strano di sapersi diversi.

Quando girerà il vento

piglieremo la bufera

come fosse stata

cosa data.

I tuoi dentini

non li nasconderai più così bene:

lo sai,

morderai,

farai solo il tuo dovere.

dic 3, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Sgigolò.

Poi la domenica sera andavamo in balera. Solo se tenevi i cinque franchi ti facevano entrare. Ah gli svizzeri erano precisi per davvero, ghe n’era mia di bale. E si andava solo di domenica, caro mio, mica come adesso. Acqua di colonia e una mezz’oretta a piedi per arrivare al posto giusto.

.Chissà come puzzavi quando arrivavi.

Te belò, a quei tempi non ci si guardava mica a quelle cose lì, si era tutti così: signori con le brache di tela. Comunque te arrivavi lì ed entravi prima in ‘sto atrio che era sempre pieno di fumo e c’era uno, uno sempre alla moda, che se gli davi la mancia ( du sghei eh, pensa mia che ghe regalaè chisà cos’è) ti teneva il capotto per tutta la sera.

.Se lo metteva?

Ma no, tambor, ci guardava che nessuno se lo portava via.

.Perché succedeva?

Povero ol me martino, certo che capitava, ma solo fra rasse diverse. Gli italiani ci si rispettava gli uno con gli altri. Dignità, ragazzino, era la prima regola non scritta.

.E tè com’eri vestito?

Ah io ero un sgigolò, tutto a lucido: giaca e brillantina e via alla conquista. Dopo l’atrio entravi in ‘sto salone e il fumo spariva di colpo.

.E cosa c’era?

Ah poerì, c’era tutto il ben di dio che uno si aspettava: in fondo alla sala l’orchestra che suonava, quella vera, mica come adesso che vanno in discoteca e metton su quella finta. Alla parete di destra c’eran le sediole con noi uomini, una in parte all’altra. Si salutava gli amici e poi ci si sedeva sulla prima di quelle che erano libere e si guardava.

.Cosa?

Dall’altra parte, si guardava l’altra metà del cielo.

.Ma se era già notte! Cosa vedevi, le stelle?

Braò, prope i stele!

.Che stelle?

I fonnè, le donne! Alla parete di là stavano, chi da sole chi in gruppetto. Chele assieme alle altre ridevano sempre. A volte per me i fasia aposta a grignà, che non c’era motivo, ma facevano così perché volevano farsi guardare. Quelle da sole invece o erano troppo truccate, e l’irà mia cosa

.Perché? Non dovevano?

No eh, una ragazza truccata l’ea una, diciamo, trop semplice. Non sapeva di niente all’epoca, non era per me almeno. Poi invece c’erano quelle sole che non ridevano e che non erano truccate e che sembravano lì come se non c’entravano niente. Ecco, a me andavo da quelle.

.A fare?

Era l’usanza. Si attraversava la sala e si invitava la donna a ballare. Andavi da quella che ti piaceva, diciamo e gli dicevi ‘scusi signorina permette questa danza?’

.Ah ah… davvero dicevate così?

Certo ragazzo, era quel che si dice galanteria. Poi se lei accettava allora si andava in mezzo alla sala assieme e si ballava il liscio, il walzer, il tango.

.Eri bravo?

Me? S’ere el più brao, le facevo ballare tutte, non ne saltavo una. E dovevi vedere come le portavo.

.Dove le portavi?

Le portavo nel ballo, le prendevo e le facevo seguire i passi e si andava come una sola persona. Mica come adesso che nelle discoteche ci si muove senza neanche un po’ di grazia e da soli, uno per uno, o si finisce per fare tutte ste sconcerie. Ci si sfiorava appena. Allora era già tanto. Anche solo ardaga i tète era peccato. Po’, me al fasie alì stes. Ma comunque ragasso mio c’era la passione. Adesso non c’è più. Non si sa più neanche cos’è, la passione. Dormà, ades.

Spegneva la luce.

Io mi infilavo sotto le lenzuola, mi giravo dall’altra parte e mia nonna mi dava un bacio.

Lei aggiungeva ‘credega mia a tut chel chel di sol to nono, l’è ira gnà la metà de chel chel conta chel tambor’

Poi mi rigiravo ed era la volta della carezza del mio sgigolò preferito.

Dopo pochi istanti, in mezzo a loro, già sognavo.

Troppo ruvida era la coperta in cui mia madre mi avvolgeva quando, tornando silenziosa, mi riportava lontano nel posto giusto.

nov 23, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Tango

Bisogna rispondere al colpo, essere buoni incassatori.

Sentire la batosta e mandar giù il sangue che ti sale in gola.

Perché non tutte le mattine ti alzi col culo in carta da parati: ci sono giorni che la vita ti svernicia il deretano e le tue chiappe stanno al vento belle esposte assieme al tuo didietro.

Allora due soluzioni: puoi cercare un martello e schiacciarti ancora di più i maroni, cercare un molo ed immolarti senza soluzione oppure, come detto, rispondere al colpo.

Se non scegli mai, capiterà sempre che mai paghi.

Ma se incontri qualche curva sarà inevitabile che presto o tardi lascerai qualche pozza di vomito per le vertigini o l’ulcera o la colpa.

Io, a usmare bene, credo di aver tirato su un bel po’ di bocconi d’anima in sti giorni, ‘mo va là.

E sono ancora in giro fra bollette e sante banche, mancanze e mutamenti.

Mi capita sempre più di irrequietarmi notturno e orizzontale assieme al niente.

Il fisico funge e la testa elabora ma valla tu a spiegare l’insonnia, la sua assenza, il rimorso, le notti di veglia, il cellulare muto, gli sguardi impressi dentro, l’incertezza, il non sapere cosa succederà sotto ai denti domani, i figli di puttana, chi viene a sapere e dal nulla ti richiama, gli sbagli per dimenticanza o per dimenticare, le costruzioni mentali in eccesso, la visione ravvicinata della tua tazza del cesso, la televisione accesa sui occhi che non la guardano, la stessa pagina del libro riletta eterna e abbandonata sul comodino, la continua ricerca di almeno una cosa che ti dia sicurezza, la voglia improvvisa di pranzare dai tuoi genitori, la riscoperta della mancanza della sua carezza, giocata e persa.

Alla mia testa di cazzo, a quello che odio di me e quello che pur sapendo ancora sbaglio.

Prosit.

Succede di sentirmi un piccolo pirla di fronte all’immensità di puttanate da meraviglia che combino.

Formato gigante, proprio come adesso, che attraverso giorni di attesa aspettando giudizi d’altri su vita mia e allora oltre a tutto questo c’è che sudo notturno.

Prima che venga notte l’ansia mi assale e comincio a fare l’animale.

Sudo, ho paura: di tutto e di niente.

Ingigantisco gli scarafaggi e penso all’Inps, all’affitto e alle insegne da esporre sopra un cartello che ancora non mi appartiene.

Non possiedo nulla, nemmeno i miei sbagli e mi riavvolgo nel tentativo di capire come non rifarli.

Risultato: mi sfracco la testa fra rimorsi e vuoti di essenza.

Comprendo benissimo il mio lato oscuro e realizzo che sicuro ma guarda che coglione sono stato e certo riguardati come mi sono comportato.

Nel frattempo ammetto che rifarei esattamente lo stesso.

Insomma da me che vorrei io non esco.

Ah si poi anche addirittura vorrei ringraziare chi mi è stato accanto e chi mi ha dato tanto ed in questo slancio da mortificazione mi sento ancora più solo e mi rannicchio e faccio che mi guardo dal di fuori e mi vedo far finta di niente con la gente o peggio ancora fare con chi non dovrei l’indifferente.

Poi mi accorgo delle parole che avrei potuto, dei gesti che non ho mai e che e di come inevitabilmente faccio sempre ed indistintamente tutto il contrario che invece dovrei.

Al fine scrivo, come per rimettere in sesto il tiro.

Ma so già che smesso di buttar su tasti dovrò ritornare ad inquietarmi.

Pensieri ciclopi e predisposto a nuovi fori.
nov 16, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Per sempre vostro.

T’avessi sbilanciato con un nome

avrei disincantato un cauto timore:

sarei vissuto di certo più muto

con alle spalle un gusto più sicuro.

Invece sei sgusciata via svelta

dai lembi in carne alla mia testa:

infiltrata sporca in ogni pensiero

stanarti ora è squarciare un velo.

Cera d’ali tra le mani

perso in piani strani

pago il mio domani

in un gioco da villani.

Astuta stretta stringo la mia presa

in una patetica sola messa in scena:

strucco il calendario senza spiegazione

dito sulle labbra cancello il tuo sapore.

Non c’è modo rimango nel mio brodo

dove inzupparmi l’anima al suolo:

resto qui a farmi nero d’inchiostro

mai più tuo e per sempre vostro.

Cera d’ali tra le mani

perso in piani strani

pago il mio domani

in un gioco da villani.

nov 11, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Nel mezzo, si dice, c’è il vero.


Ah poi,

arriva il giorno che non ti accorgi perchè ti si è presentato come tutti gli altri.

Neanche eccezionale: una luce banale, acqua nelle scale e giù dal cielo e un freddo adatto alla stagione.

Le foglie per terra, i colori sbiaditi nella melma: insomma un infrasettimanale latente.

Quasi di sfuggita firmi le carte che ti cambieranno od inchioderanno la vita, controlli che il tuo conto non sfiori il rosso e lo Stato maiuscolo in persona ti ricerca per ricordarti che un giorno le tue rughe avranno l’idratante scarso ad alleviarle o la vaselina odierna in banconote da versare.

Verso il tardo pomeriggio un assurdo messaggio digitale ti pervade di quelle sensazioni che troppe parole ultimamente rassegnate e distorte avevano solo che coperto o ritardato.

E ti scopri, fra sollievo e triste indifferenza, ad essere febbricitante sotto l’influenza senza più la parola Amore sul cuscino accanto.

Sarà vero che la ripartenza ti coglie a metà del percorso e persino più volte in un giro unico di vita.

Ma com’è che ogni volta che ti succede non è mai nel momento che attendi?

E perchè i radicali del cambiamento fanno di un male rigenerato bastardo che ogni volta dimentichi e a reindossarlo è uno spezzare d’ali?
nov 10, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Sostengono fra perseveranza e abbondanza.


Sostengono fra perseveranza e abbondanza
Che la vita ti succede precedendoti con passo discreto, osservandoti.
Che devi costruirti un perché da dare ogni giorno alla tua esistenza affinché tu possa capirne almeno un briciolo al termine di essa.

Che è lecito indirizzarsi, scegliersi un campo e per ottenerlo
studiare per sudarlo
e
difenderlo per coltivarlo.

Che più sarà solido il recinto a difesa di esso e più saprai essere integerrimo.

Che dovrai altalenarti fra emozioni e indecisioni per modellarti e saldare i tuoi capisaldi.
Che non si ottiene nessuna gloria senza l’insistenza di averne sempre voglia.
Che sarai quello che sei.
Che senza trovarti non parti.
Che la tua crescita non è l’arrivo.

Poi il disonore
di un’ amore
allevia
l’illusione.
nov 4, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Dinamiche e mutamenti.



Dinamiche e mutamenti, quello che credi e quello che senti.

In mezzo alle affermazioni c’è il dubbio di non sentirsi quello che ci si fa credere di essere.

Togli il fulcro alla leva e sposterai il centro del mondo.

Solo, per favore, dopo l’amore, prima di farlo, abbi la cortesia di avvisare l’altro.

Te lo dico perché qui dalle mie ossa la cosa attualmente sembra capovolta.

E badabenedico sembra

Perché da molto si confonde l’ombra con la carne delle persone ed il limite gioca vile con i profili confondendosi con la bile.

Quel che era luce ora sforma in sfarfallio e quel che la notte avvolgeva ora non fa chiudere gli occhi di sera.

Tutto tace di plexigass ed il silenzio è d’arteficio nel frastuono: camuffato ad arte, dirottato fra la confusione sparsa ed insabbiato in sacche mobili di cartongessi in intenzioni.

Non ci sono più linee al delimitare della carreggiata ed il pantano m’ha risucchiato a lato dell’asfalto.

Ora ci sarebbe solo lo spazio per la ricerca del coraggio: quello che trovato fa deglutire amaro, ma che almeno dicono serva a rispettarsi a vicenda.

Eppure non succede quel che per esserlo deve per forza d’anime essere fatto come ultimo passo di quel che era quel che si diceva una coppia.

Non avviene perché mezzo, e poiché tale lasciato nel mezzo.

Mi rassegno dipingendomi un bersaglio sul petto.

Di quattro labbra non mi rimane che l’umidità ad indurirmi le spalle.

Girerò più coperto e svelto.
nov 2, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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fórse: fórse


‘ Avv. esprimente dubbio, incertezza, esitazione; nell’esprimere tale colorito il suo significato oscilla, secondo i casi, ora conferendo al discorso il senso di un avvicinarsi alla probabilità (specialmente se l’avverbio è ripetuto: forse forse), ora facendovi prevalere il senso del dubbio; tra questi due estremi sono possibili molte sfumature intermedie; talvolta in proposizioni interrogative dà alla frase un valore retorico, dando per scontata una risposta negativa (o affermativa se è preceduto dalla negazione: non forse) ‘

ott 28, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Indice alla tempia.
Continua a sblaterarmi addosso.

Piantala, osti, che mi sporchi.

El ghe da, el continua, el rompe i bale. E che coioni.

Gli puzza il fiato, gli alitano i piedi e mi storce ovuli, ossa, ninfee, narici e bulbi quando mi sta sul collo, ad un centimetro dalla saliva.
E ultimamente lo fa spesso.

Oppresso, basta.

Basta ho detto. Togliti dal mio angolo, lasciami pisciare in giro dove mi piace: se c’ho voglia di rintonarmi in curve sghembe lasciami fare.

E no: lui mi deve guardare, mi deve consigliare, mi deve osservare e lo sento sogghignare.
Ma va a cagare.

E poi gli argomenti, le cadenze, lo scialacquio della sua turba!

Almeno sii interessante invece di obiettare e sempre bacchettare e stare e stare e stare.

E continua, un tono sotto al giro di ottava, impertinente e irriverente di metadone.

Coglione coglione coglione.

Mi giro e non scappa, scappo e mi insegue, mi siedo e mi toglie la sedia. Stardo.

Accendo lo schermo ed è li dentro, perso nel nulla ed eterno catodico.

Leggo e mi perdo dopo il terzo capoverso a causa del suo frastuono silente.

Che cazzo devo fare, ti devo sparare?

SBAM! Tanto la rosa di pallini non ti soddisferebbe, vorresti un fiore ancora più rosso.

Scordatelo che recido.
ott 27, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Vacuo.


Non ce l’ho, mi manca, non ho più un nome.

Senza di te cosa vuoi sentirmi dire da altri: che sto bene, che ho fatto la scelta giusta,
che ti cercherai il prossimo ponte?

E le storte?

Le cose negli armadi?

La stella sullo specchio?

Guarda come mi guarda quella fottuta stellina ricordati di me spiaccicata sullo specchio?

E vaffanculo.

Certo che straccerò il tuo viso.

Ma il profumo?

Me lo togli tu di dosso?

E i sogni?

Me li cancelli tu i ricordi?

Nausea mi viene,

mi troverò un cesso.

ott 23, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lasciarsi andare


Tonfo è il trillo del mio campanello immerso, attaccato al pelo del mio cappello.

Qualcuno soffocato da un qualcosa ha cercato un rimedio al suo guaio godendo nel tenermi sottacqueo.

Mentre me ne sto senz’ aria ho come compreso ad un velo di retina che ottanta anni medi in questa latrina dipinta non sono che un embolo a tempo.

E allora mi sarei detto che stare condizionale non aiuta a pensare.

Meglio incidermi un incisivo fisso e perseguirlo,

meglio non attendere e pretendere,

meglio insistere che prefiggere,

meglio un qui che un sarò.

Sprofondato nella falsa felicità da prondità rido del mio stato di precadeverico omino a termine.

Dal basco alla stupida,

dalla coppola alla bandana,

dalla tinta alla pelata:

in superficie la gente si squaglia

sotto i cambi di berretto ed io,

inzuppato d’omicidio in vittima,

rido, rido, rido.

Salgono le bolle plop plop dalle mie narici fino alla cresta divisoria e difettano un orizzonte incantato sulle stesse onde.

Solletico dalla giacca la mia riserva di grappa e scelgo mentre comincio ad agitarmi di stappare e trincarmi.

Etilico in asfissia deglutisco e mi sfido in cerca di un respiro.

Quasi ho un sogno.

Poi sfumo.
ott 19, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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E’ la prassi.


Il vuoto restringente lascia poco nulla di spiraglio per fare passare un tacito accordo o un credulone farlocco o perlomeno l’impressione di una illusione.

Il signor freddo lo conosci di persona quando nelle tasche hai niente: prima lo hai sentito dire e nulla più ma quando ti tocca allora la questione cambia.

E’ il tempo dell’imbottitura, del travaso e del contagio.

Bisogna chiamare nella radura le gonne ed i rossetti e lasciarsi tentare da qualcuno che da lontano schiamazza il tuo nome e più ti avvicini meno starnazza.

Alllungarsi i ricettori e provarsi in panni ipertesi.

Suscettibile: voglio essere maldestro e irascibile, sballottato andante senza reazione al colpo ferire.

Quasi quasi m’inforco sopra un terreno scosceso e mi divido fra quel che straccio e quel che ero.

Ho compilato tutti i moduli che mi avete chiesto.

Li lascio alla portinaia dell’Elemento.

Pùtaegia rembambida.

ott 16, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Bozzolo.

Mi avvolgo nelle coperte sperando che ne rilascino il mantice.

Dopo la quarta muta forse mi usciranno parole a chiave.

Ma ora è solo vuoto quello che provo.

Non mi dire che capisci, non mi fare il compagnone, non mi stare addosso con la scusa dello sfogo.

Solo. Voglio restare solo. Voglio essiccarmi , sudare e poi sbollire.

Ai miei fianchi, afferrami e stringimi ai lati.

Schiaccia forte con le mani e poi strappa se ci riesci.

Non mi serve a niente, ho ancora male.

Male che cresce, e la notte combatte con le mie ossa e la mia pelle, che mi devasta la mente.

Non sarà più quel che non volevo vedere.

Non sarà più un’altra occasione.

Non sarà più un’attesa di un’altra attesa.

Non sarà e pensare che sarebbe bastato un niente.

Anziché nascondersi dietro le paure di malattie finte.

Perdendo di vista la gioia di vivere.

Hai fatto traballare il mondo.

E la scossa.

Alla fine.

Per ultimo.

Mi ha raggiunto.

Mi ha fatto cascare.

Capire.

Farmi male.

Che da qui.

Per terra.

La vista è diversa.

Tutta un’altra cosa.

Dalla mia incredule presunzione d’altezza.

Data da quel che ritenevo saldo.

E che invece era un mezzo abbaglio.

Sto male per quello che di futuro ho perso.

Per tutto quello che è stato incerto.

Perché se davvero per mille volte ti ho detto si poteva.

Smettere i piedi da scarpe spaiate.

E cominciare per davvero assieme a camminare.

Adesso no.

Adesso sto male.

Adesso le tue parole.

Sono che neve al sole.

ott 12, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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A little bit.

E’ partito che cantava a cuore alto

braccio in alto con il sole stretto

per un ritorno profumato di legno

ed il ricordo cucito nel lenzuolo avvolto.

Se questo è il tuo miglior indovino

caro il mio trino qui non mi scandaglio

preferisco un altro laccio al cruccio

che un nuovo sermone da coprifuoco.

Dì solo al tuo figliolo spinato

che poteva amarlo un po’ di più

questo tondo

solo amarlo un po’ di più

quest’uomo

un po’ di più.

Adesso non farmi l’incensiere

tu e la tua faccia da eterno carceriere

fammi almeno questo piacere

resta zitto e caprino

difronte al tuo specchio assassino.

Se questo è il tuo macello di business

il tuo sommo occhio lungo ha fallito

preferisco cicatrizzarmi di vino

che farmi un puttaniere di false promesse.

Dì solo al tuo figliolo spinato

che poteva amarlo un po’ di più

questo tondo

solo amarlo un po’ di più

quest’uomo

un po’ di più.

ott 8, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Tempesta

Scendi

annacqua l’alcol nei miei bicchieri

scendi

riportami i brividi del mio ieri

scendi

e risvegliami i sensi

scendi

se smetti t’arrendi.

Mi hai chiesto

di essere stretto

in quel che mai sono.

Ora

fuori dalla mia terra

azzanno l’esca

quella sola mi resta.

Scendi

a coprire i lamenti

scendi

hai voglie da trasformare in serpenti

scendi

e battezzami gli stenti

scendi

a illudermi la carne di versi.

Mi hai chiesto

di essere stretto

in quel che mai sono.

Ora

fuori dalla mia terra

azzanno l’aria

quella sola mi resta.

ott 5, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

La mia conchiglia.

Resta sotto la sabbia spessa la mia conchiglia nascosta e protetta.

Invisibile agli occhi, si scansa al passaggio dell’acqua.

Rimane in battigia e nulla sprona la sua battaglia.

Suffissa in obliqua pendenza, incerta a indecidersi fra la marea e il bagnasciuga, lei un chissà cosa aspetta.

Zitta si insacca dal mondo senza mai per paura ferirsi di rugiada.

Preferisce fingersi pur di prendersi o farsi preda.

Smossa dal vento non fa una piega e ricerca anzi una nuova ansa.

Fugge dal destino portatore d’ansia e pur difronte ad una scelta inasprisce la sua corazza di madreperla.

A volte, sonnambula, s’accorge della sua presenza e di questa stessa non avvertita si spaventa.

Piange incredula se la spiaggia intera non si modella fra le rughe della sua testa.

E quando infine è accolta e fra due mani stretta, piangendo si ribella.

ott 2, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Inizio.

Ah bon.
Che ce ne sarebbe da spiegarti, e chi sono e come rotolavo ed il perchè del passaggio a livello con cambio annesso e poichè non mi hai detto niente e chi sei poi te.
C’è solo il momento di girarmi e riandare. Basta.
Pixel nuovi e freschi, attento alle dita sopratastiera: la vernice ancora suda.
Che le cose migliori un perchè forse non ce l’hanno addosso quasi mai.
Una riga da interlinea alta con dentro i grazie a chi palleggiava col Pallone ed ora si ritrova a fare i conti con lo Sghembo, a chi aggiornerà i link che è un poco come ristamparsi la mia via per le prossime cartoline in spedizione e a chi mi conosce solo adesso e di sghimbescio.
A tutte le anime passanti per di qua mi vien da fermarmi e stringerne i polpacci: guardarsi un poco per far conoscenza e tanta voglia di respirare sempre assieme un’aria diversa.
Si va perchè in fondo per questo io e te siamo modellati: pedalare in rotondo sopra questo orizzonte di mondo senza mai scordarsi di alzare le gengive e di non sentirsi mai pesanti.
Prometto l’andata. Al ritorno ci penseremo come sempre per strada.
Che ne vale no la pena
che i drammi sono ben altri
e qui si sta dritti e sporgenti in avanti.
Via. Stammi al passo anche stavolta, se c’hai voglia.

ott 1, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Fine.

All’improvviso
grazie
a chi fin qua
di me si è intriso.

Si cambiano i panni
si rimette lo zaino
si riscuoia la vita.

Da ora
ci si mischia di .

set 30, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Fine.

All’improvviso
grazie
a chi fin qua
di me si è intriso.

Si cambiano i panni
si rimette lo zaino
si riscuoia la vita.

Da ora
ci si mischia di .

set 24, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Trapezisti paralleli.

Torna che il filamento di zucchero lo si sente già da un passato come se fosse un sempre.
Eppure n’è trascorso, quasi un anno. Ed è, svampito, tornato.
Scesa che è la luna,
giochicchia sul piazzale,
adornata di giostre e lucine colorate.
I funamboli, la mancanza di una rete, gli acrobati i nani e coloro ai quali ci si concede per ritrovare il conforto ed assaporare quel che ora più non brucia con riflesso rosso d’avorio.
Zanne tra i canini ad incidermi una lingua cesellata di scritti e di un tempo che di parole ne contava e diceva ben poche.
Un anno, detto, e scorre sullo specchio la sguaiata fiducia di un disperso.
Rivederlo a distanza di un metro di tempo fa tutto un altro effetto.
Brutto sapore il medicinale incolore: all’inizio della cura era solo dolore.
Avvento di due vite lette come Amore fra due persone andate in opposta direzione.
Incontrate, scontrate, cercate ed allontanate in quel piazzale dalla pelle distante.
Quando non va non va
quando una cosa non va non va
quando non è come
non c’è ragione:
mani agli occhi speri che il mondo scompaia.
Assassino incensurato da un delitto mai commesso torni per fato sul recidivo luogo del reato che ti viene incontro ossuto e sguainato di seta.
E quel che bruciava ora è brace
e quel che non andava t’ha insegnato ad Amare
e quel che ora vorresti, se potessi, è ringraziare.

Che basta un sorriso
e si continua ad andare.

set 14, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Matassa appuntita.

Help! I need somebodyRimettere in dita i pensieri sui tasti. Avanti.
Sbussolato e presunto innocente verso l’autunno del fare.
Stare od andare, capire o lasciare stare: amare a distanza sbloccando l’incompreso con il telecomando del nulla è perfetto.
Incrinarsi sul crinale del presunto, leggittimamente sospettare dietrologie di passione o di bisogno d’attenzione.
Cercare la pelle, arroventarsi in triplice copia su lenzuoli di seta rosa e poi peccare per aver peccato e non aver commesso reato. Peccato.
L’amore che non resta, l’amore che si arresta, la mancanza e la confusione dell’angoscia in rima con la pulsante angonscia del predirre il di nuovo soli.
La paura singola e la paura d’essere di troppo, la voglia di regolarsi il minimo e quella di tenere parcheggiato i sentimenti sotto il divieto di sosta dell’intrusione, del non sapere dove porta l’altra mente, sentirsi incapace e demente, non riuscire ad essere i pratici del non fare niente.
Volere comunque un essere presente per essere che solo numero al lotto estratto e poi dimenticato in attesa di un ambo impolverato.
Averne il fabbisogno di credere nel bene e non sapere come distinguere l’agire congiunto dal canto della sirena.
Ammaliata di se stessa: sia essa depilata del cibo in eccesso nella mente per vederselo dilatato in pezzettini e sbocconcellato sopra la sua voglia di essere ben accetta.
Costruirsi a difesa dell’osso una capanna di’inganni di fango e aspettare che qualcuno ci soffi sopra per lavarsi dall’odio del mondo con l’amore profondo.

Quanto Amore non è il credito.
Ma è il Come, adesso, a non avere debito.

set 8, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Around the clock.

Ed è che il cielo mi passa accanto, si riverenza e poi si ferma.
Mi osserva, nota lo sguardo, basso: ed è un tremito di scroscio e l’acqua mi arriva sulle spalle.
Tutto ad un improvviso ho un brivido, il primo, e mi dico
che non può essere la febbre
e che voi non dovreste essere così felici, voi tutti, mentre anche un solo Essere combatte per esserlo.
Rischio mentre attraverso di essere preso, calpestato, deriso ed ho lo scollegamento della logica nella mia testa.
Dentro, io non ci sono più, adesso.
Parlami della passione, raccontami che cos’è,
perchè sto come sto
perchè non ho soluzione,
perchè al dolore
perchè non riesco ad arrivare al cuore
perchè chi non vuole essere aiutato non lo verrà
e dove ho sbagliato
se sbaglio c’è stato
e perchè l’Amore.
Vado quasi a sbattere il confronto contro un palo, evito di incrociare lo sguardo di chi mi conosce per paura di reazioni scorrette e sincere.
Nei primi due gradini trovati mi accovaccio e rannicchiato piango.
Sul perchè lo faccio senza ritegno non trovo altro che il mio eco ed un singhiozzo che scroscia col fragore di un bimbo senza più protezione.
E non so
ignorante di risposte
corroso dal lamento
non trovo uno che sia uno di senso
prendo con la sinistra

la mia mano destra
e la batto sopra lo spigolo del muro vicino.

Si sbuccia
si taglia
da rosa scivola rossa
e almeno capisco
almeno questo di dolore
ce l’ha una spiegazione.
La rabbia.

Allora m’inverto e tento l’implosione
mi metto a ridere come la controfigura di un buffone
e non serve ovviamente a niente
tranne a cancellare un’altra uscita dal labirinto ed a ricordarmi che ovunque vada sono cieco nel mio vicolo di tentativi andati a vuoto.
A che serve provare e tentare di sapere, svuotare il mare col bicchiere,
mi dispiace
mi dispiace
mi dispiace
non sempre si vince
una casa, un letto ed un Amore.
Prima si deve vivere
e ad insegnarlo ci si sfoglia dentro.

set 4, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Caramella.

Caramella amara e nera
è medicina d’asfalto questa sera:
sotto le ruote s’inghiotte svelta
bestemmio, e rauco canto
il mio vuoto sul sedile accanto.

Caramella amara e nera
è aspra marasca sulle labbra:
senza più l’odore della tua saliva
chi m’imbocca ora il mondo
da fotterlo in un solo morso?

Basta un poco di zucchero.

Caramella amara e nera
drogata effimera d’un bacio rara e vera:
rieccomi riverso avverso a ritrovarmi
strambare di nuovo la mia vita verso i trent’anni
cercando un’ancora d’indicazione per essere grandi.

Caramella amara e nera
inseguo i fari del mio maggiolone:
corro a spurgarmi in culo a chissà dove
che il più delle volte si perde senza ragione
e rimane solo la voglia di spogliarsi, Amore.

ago 27, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Buscar el levante por el poniente.
E’ la storia della mia vita.

.

ago 24, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cerchi sbarrati ad occhi spalancati.

Un colpo al cerchio.E allora ne prendo uno nei cerchi grechi,
che par quasi non ci si faccia caso, quasi scontato, pigliare il metallo pregiato in questi giochi di cui mi hanno overdosato.
Nome russo, etimologia fredda, sguardo vacuo e polsi in fascia.
Igor, a vedertelo a spasso, gli offriresti da bere ma anche una copertina sulle spalle e ‘cosa fai in giro ancora a quest’ora dai vai a casa che è tardi’. Dai.
La bolgia è quella infernale, un classico che si può affermare poichè dentro il tinello ci son tutti i babilonici di Olimpia a provenir dai cinque continenti e a fare il tifo, tutti contenti.
E tutti quanti fischiettano di brutto e sicuro ad un punto scorgo in udito un Buffoni Buffoni lì rivolto in coro di mezzo alle giacche nere di molto soft distinguersi fra i porconi.
E c’han ragione ma il Canadese in toga con congiuntivite mazzettata non ha visto i cinque rimbalzi in volteggio di un pesce chiamato Nemov.
Ma a Igor gli frega una cippa.
Aspetta che quelli facciano i burattinai ed i cioccolatai, che spostino qualche decimale non troppo in favore della grande madre e poi dai, su, che tocca al mangia hamburgher.
Lascia saltar su e giù anche quel fratello Hamm in un esercizio da distinto e poi via, magnese gessata ai palmi e si schizza ad insegnare in ginnico.
Quando la tocca, la sbarra, quella sicuro canta.
Ma te guarda, il Cassina.
Quello che gli hai pagato il lattino al bar.
Hop hop hop ed è tutto un fascio di nervi, che se per caso gli girano i cinque minuti altro che balle: ti prende, ti arrotola in spiedo e anche quando non ne ha voglia ti fa di molto male.
Ma intanto Igor ancora volteggia, che sembra una libellula.
Tasso tennico in me spettatore sotto le scarpe e rispolverato come te lettore ogni quadriennio perciò saperne di ginnastica zero ma far finta d’esserne esperto, beh quello
Ma tu guardalo, quello: tengo le pupille dilatate in trattenuto respiro e lui si stacca e si riattacca a quella sbarra.
Alla fine, si lancia.
Atterra.
Nel mezzo, ancora e ancòra, come una piuma in perla, volteggia che non si ferma.
Oh bella.
Ha messo i pedini a terra: pari pari sotto i muscoli uniti in asse verticale.
Si sarà scordato adesso degli esercizi sempre uguali e del mazzo tanto che si faceva da anni, sempre con lo stesso ritmo, uno due tre quattro.
Suona l’inno e stanotte sono tutto un po’ più sciolto: mi butterò in carpiato sul letto.
Atterro sul freddo.
Fottuto pavimento.

ago 17, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Animatori alimenta automi.

Summer time and the living is easyBolgia caldarrosta che svuota la città: t’adoro Ferre e fuoco d’Agosto che apri le strade, liberi i parcheggi e sfumi le colonne d’auto in miraggi invernali.
E’ tutta un’altra urbe, quella di chi rimane sull’asfalto e non mette i piedi in ammollo fra sandali e sabbia.
Si vive meglio, certo, si respira senza inalare endovene di carbonio e si sguazza fra un viottolo e la provinciale senza paura di strombettare o, nevrastenici, mandare qualcuno a cagare.
Italian style, che mentre i vicini in continente scandagliano le vacanze infra-anno da sempre noi si aspetta tutti gli altri undici che arrivi agosto e che le fabbriche chiudano e che le melme in Adriatico collassino. Fantastico.
S’insegue lo star bene in tapis roulant da palestra fissando il muro bianco smorto per far scendere la panza e si trascura la testa bramando da sempre uno sdraio, un lettino ed un bagnino aguzzino invece di quietarsi, centellinarsi e sfamarsi di parole.
Sapere quel che si vuole.
Ma non c’è tempo: quando si stacca dal ritmo tram tram si scende dal mondo vero?
Non se ne vuol più sapere perchè la compressione tra le rotule ed i maroni è accumulata da troppi giorni e voltato il didietro all’ufficio il desiderio è quello di scollegarsi.
Persino, ne siamo, grati.
Si va avanti a rotazione in turbini di sabbia fra vicini di ombrellone con i nostri grossi attributi rotanti poggiati sui granelli.
Come siamo belli.

ago 12, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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San Lorenzo nudo e stento.

Nel mezzo, il cammino, la nostra vita.Coppie barbituriche, cappio ingrossa vena.
Che fai, di’ bello, venerdì sera?
Nulla, almeno credo. Prima sopporto e poi forse svengo.
Ci si annicchia a tentoni vicini e intonsi tentando di dare un senso all’allantonarsi e al riavvicinamento.
Ma non c’è verso.
Amore, che tormento.
Infrangionde e schiume da barba: rimetti a posto l’immagine che di te ho perso, sistemati i calzini tagliati spenti, rifammi il letto scoprendo il non aggrado del mio bel lato didietro.
Ed il pregio è difetto ed il peggio è non accettare di averlo e quel che di tempo si è dato per ora nulla è successo: nulla è cambiato e tutto è atteso smarrendone il senso.
Nei sogni cadenti non c’è tempo per neanche un desiderio e qui si sta di chiappe all’insù ad aspettare che si faccia un passo e non un salto ho detto verso quel che potrebbe essere il più luminoso universo.
Basterebbe un accenno di gesto.
Ma non c’è verso.

lug 26, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Stracco al forno.

TuTum.
M’esce
impettita
in fronte
sciaborda
di perline
o peggio
m’impernia.

TuTum.
Respirarmi
indosso
stracco
e senza
un movente
sudare
biascicando
lo stesso
gocciolare
secco.

TuTum.
A destra
impercezione
dal collo
all’occhio
colgo
mi smusso
ma poco
ricordo
a sinistra
arso
slogo
ma poco
combatto
smuovo
di nuovo
l’occhio
creo
vitreo
in cubetti
e l’invento.

TuTum.
Il teorema
è forgiare
il piatto
della calma.
Di pece
calda.
E dal buco
risucchiarla.

TuTum.

lug 21, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Caro il mio Dorian.

Sfumi tu?

Stempio, a volte.
Come se perdessi l’attaccatura dei veri e dei falsi
e tutto fosse uno
e l’ uno fosse il tutto
e la filosofia orientale mi facesse un baffo con il contropizzo.
Insomma mi piacerebbe evacuare, meglio: sublimare.
Cambiare stato scavalcandone un altro e passare da quel che sono a quel che appaio tralasciando il valgo.
Te, scusa, succede mai a te?
Come lo specchio e il passarci attraverso, cose così: solo che per introdurmi dovresti farlo di lato, cercare il bordo e chiedere scusa permesso passare lì in mezzo da una via nascosta sottile ed impervia.
Troppo facile sarebbe fare un salto in riflesso, caro il mio Dorian.
Qui ci vogliono il controscazzo, l’autodafè ed il revolver carico per una giostra a salve sotto il grande tendone di Mangiafuoco. Soppesarsi e dirsi: chi sono?
Cospargendomi di neuroni sono certo quello che vitreo in pupilla elabori capovolto: niente anima, tutto corpo.
Ma fossi tu il mio segmento di passato, diciamo un sugo d’annata fra il ’76 e lo ’04, uno spicchio, un aglio notturno, una limonata od una passeggiata di quel che ero, come mi illumineresti, diciamo il vero, adesso?
Diverso, di traverso, sbiesso?

Non sarei più sicuro solo quello di prima che ti passava agile fra il naso e la vita.
Conosceresti un mio vezzo, un cruccio, un neo di aneddoto che mi laccherebbe di un fondotinta in più strati, a seconda di quel che hai scavato e ancora di me scavi.
Attento, comunque: è un gioco fragile, fra il cartone e l’imballo segui sempre la freccia puntata verso l’ alto.

lug 15, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Incredibile è quel che si riesce a fare.

Vola veloce di bocca in bocca.Il tornar sulla fiducia.
Puntarne i piedi in sterno mentre allunghi volendo una mano tesa d’aiuto.
Dare per ricevere, allargare per stringere ed in stretta stringersi.
Fidarsi.
Credere nelle persone, nelle possibilità, nei cambiamenti, nelle transumanze dei pascoli d’esseri.
Essere certi che ognuno ha dentro quel qualcunchè da renderlo ottimo.
Rendersi conto che pensare in stabile di se e degli altri autodistrugge.
Provarsi per credere.
Mettersi in roulette e girare, puntare, aspettare.
Sbadigliare in faccia a quello che passa e dice, ti dice: tanto le persone non cambiano.
Balle dell’orso Yoghi.
Le persone non cambiano perchè ci son atrofizzati come te che pur di non credere non vivono.
Le persone sfumano perchè disperse fra palettati rigidi incravattati che non investono su di esse.
Piuttosto le degradano, frantumandone gli attributi.
Piuttosto amano l’immobile e ne ammirano la polvere che sopra si posa.
Per questo non cambiano ne migliorano.
Perchè esiste la tua miscredenza
la tua ingordigia narcisistica
la tua carta igenica verde dollaro.
Le persone, bbbellooo, cambiano.
Stupore: quasi sempre migliorano.
Basta soffiarci un sorriso infraciglia
e stringergli le mani in falangi da fiducia.
Ma tanto, anche a dirtelo, tipi come te, dicon che non cambiano, e allora, andiamo, pixxelliamoci sopra, che tanto, poi, io scorro nel mezzo, e fra un tentativo e l’altro, assorbo, vinco, perdo e da sempre incrocio vite sorridendo.

lug 1, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Assonanze sciolte.

Che sagoma.Aver da dirci niente: a volte è persino divertente.
Riempir le righe di cirillico andante, star quieti a veder di lasciar scorrere le frasi. Sedersi, rugarsi, svaporarsi e veder scivolar giù lettere dopo lettere.
Rotonde e grassocce o di maraviglia arrancate a difettose acca scritte h che hanno un suono che diresti vale un acca eppure sciantose scivolano accanto ad altre c, precedono le i e diventan chi.
Ma tu guarda chi si rivede, aah non me ne parlare è proprio una di quelle sere.
Cosa succede? Si raccontan di formaggio, consonanti e pere: grosse, succose, in polvere di smalto.
Lo ‘sm’ torce la lingua sotto ai denti, prova a smungere o a far smorfie e te ne accorgi di come riscopri i tuoi canini che battono forte sulla ti, ti, ti di nuovo ridillo ti ti ti ti batto sul palato con un doppio salto metacarpiato diretto al tuffo.
Gusto puffo, inventato dalla D’avena io credo una sera che era in vena serena come le pere di Williams quelle di prima.
Che diva, casta in Callas d’acuti sregolata.
Pentagramma, cinque righe, una chiave: metti la toppa in sol, girati e sbloccati cogli la rumenta ed esponila in strada il giovedì mattina in differenziata che poi la raccoglie l’omino buffo la mattina presto come un mistero in sacco nero lui passa e trita tutto quel che si butta via niente qui.
Là non so ma qui è tutto un riciclo con i raggi fra le ruote che portano un po’ di sole a salare questi giorni di mare in rotonde di sabbia. Voglia di vacanza, na anche di montagna altro che onde, desiderio di Cervi stambecchi e porti quasi quasi ti porto ovunque ma non in quel posto che ci vai tu per piacere e non dire le parole ma se non le dico che faccio resto muto sereno senza aver da dirci niente: a volte è persino divertente.

giu 26, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Attacchìno cittadino.

Vota Antonio.Di colla spazzetta in fretta,
abile cosparge il liquame sul volto:
rettangolo pesto addosso alle lamiere
struscia impregnato il messaggio
e s’attacca sregolato inclinando il manifesto.
Svelto svelto
bisogna tappezzare
sia mai lo scontento
giunga in giunta
e scateni ribrezzo.
Filo d’erba estiva in bocca
porta la campagna appesa all’urbe:
espone questo
vota quello.

Ne riempie la città murata
in slogan da campagne annacquate
precedendo il lume dell’inizio settimana
di promesse per quell’ora già contate e scordate.
S’attacca illecito nei vicoli
ed osserva le facce di chi per mestiere incolla.
Finito che ha il lavoro in rotolo
ad un minuto dalla mezza
si libera del pennarello intaschinato
e disegna baffi osceni:
a volte a questo
e spesso a quello.

giu 16, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Graffio.

Com’uno cheto stolto e sbiesso
salgo e cingo il monte turgido:
dal rosa timido stringo e afferro
il circolo scuro divenire fulgido.

M’inarco lento in adito di vento
stuola bagnata attendo in rugiada:
secreto in labbra scosse arrovento
oscillo in fremito tra soglia e casa.

Sbrodola.

Ferito di te conio e m’imburro
disarmato ripongo crudo il corpo:
cospargo l’estasi del mio strutto
nel tremito venereo ancora scosso.

D’acqueo placido in roco mi dileguo
esausto stringo il frutto in grembo:
scardino l’eterno in trino evento
arranco in estremo e da te m’esterno.

giu 8, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Intarsio.
Scioglimi
Sciogliti
sciogliti
scioglimi
nei tuoi abbracci
amanti muriatici
sgranacuore.
acidi assetati
Torcimi le mani
cani avvinghiati
nel bottone del collo
dal fango sputati.
fino al fondo.

Ingarbugliati ad incastro.

Cesellami succhiando
Mordimi le labbra
disperandone la forza
strappami la lingua
rigurgitando unghie
confondimi
incatastonate fra smalti.
mischiami
Cadi sfinita
sciacquami
e nella tua voglia
in questa mia
germoglia opaca
o tua saliva.
in gemma nascosta.
giu 3, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Alla ricerca del bacio perfetto.


…Il tuo bacio è come un blog
che mi fonde i permalink
tu fai muovere il mio mouse
come fosse un token-ring…

N'apostrofo col succhiotto.Il bacio perfetto lo si crea e lo si scarta il tempo d’un fiato messo tra le labbra.
Inumidato e phonato va lisciato col benzene ma colto al volo, rapido e indolore prima che si sciolga al sole.
Sarà per questo che parlando di conigli e pazzi al salmì ti vien difficile esporsi per mostrarlo nel pratico questo contatto in quattro labbra da quattro quarti ravvicinate.
Mica è facile realizzarlo davanti agli astanti, il bacio.
Perfetto dev’essere indi implica sforzo, concentrazione e sudorazione.
Non è background da benessere ne da ceto sociale o predisposizione genetica: esso è dunque solo continua e continua ricerca.
Sul campo, sui fianchi, nei lobi delle orecchie, piccole e in ascolto, si prova si prova fino ad arrivare al contatto giusto un po’ più rosso carne fra pelle rosa.
E quando avviene, nove su dieci, succede sempre improvviso ed inatteso.
L’ultimo della decina che non resta sopra osserva e stupisce nel vedere come un semplice contatto porti ad umidificare tutto il resto e sconvolga due persone strappandone anima e vestiti di dosso.
Si evince quel che è di illogica natura: un bacio perfetto scombussola non una ma due esistenze imperfette.
Le congiunge, le insimbiosa e ne fa essere uniche in essenza.
Quindi, nel mentre, ecco che entrate in ballo voi senza saperlo nemmeno una riga prima.
Mettetevi lì, vi prego, e ricercate.
Spiego.
Vorrei l’intera vostra partecipazione.
Mollate lo schermo e umidificatevi al volo che la ricerca è preziosa e non si può sprecare manco un momento.
Fatelo ora, presto: con il vicino di scrivania, con quella dietro di voi che scruta curiosa lo schermo, col vostro capo, con chi vi passa accanto o in mancanza d’altra gente fatelo con voi stessi allo specchio.
Avete capito benissimo: baciatevi.
Dai su, quante storie.
Se non siete ancora pronti per offrire le vostre labbra alla ricerca lasciate il campo pratico e divenite teorici del bacio contribuendo alla fredda statistica e rispondendo alla domanda qui sotto:

dovreste darlo adesso,
quale sarebbe la più vicina persona al vostro corpo,
cavia ignara immolata alla scienza,
che riceverebbe in dono un bacio per la causa perfetta?

Avanti con i commenti.

*Diffondi l’esperimento sul tuo blog incubando l’esito nei commenti per almeno 24 ore.
Al termine dell’indagine redigi una breve statistica ed invia i risultati ai nostri laboratori di analisi.
La ricerca non presenta controindicazioni.
Avvertenza: possono raramente verificarsi isolati ceffoni provenienti da soggetti femminili che non comprendano a pieno la spiritualità dell’ esperimento.
In tal caso sarà vostra premura rispiegare le finalità altamente scientifiche della causa e ritentare più volte in attesa di miglior sorte.

mag 31, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Disfida bovina.

La vacca
sgambava stolta
pregna di latte
in zampe da sculetto
maculate
nel campo grasso.
Portava nel culo
riserve arcigne d’erba
e muggiti blasfemi.
Io, da principio,
la osservavo,
pacato
sul mio masso.
Indifferente.

Lei
invece
scuoteva le mammelle
a seconda di quello
che non c’era niente
da vedere.
Ma proprio niente.

Ti seguiva
ostinata
sempre
sotto un pelo di tiro
distinta
e fingendosi
palesemente zoppa
nel limitare del campo
scandiva
ogni mia movenza
con perimetro di boàsse
dalla puzza perfetta.

Scodinzolava, pure,
roteando la coda
in ordine placido ed orario
come volesse decollare
ma con calma
da chissà poi cosa:
lei
e le sue grosse
troppo umide narici.
Lo facesse,
almeno.

lastricando la strada di buoni propositi

Provai
persino
di farmi fattore e amico
allungandole del fieno
ma quella,
la vacca,
dico davvero,
piuttosto che masticare
un’offerta nella mia mano aperta
si mostrava sazia
e ti squadrava di sbieco.
Rimuginante.

Decisi allorchè,
partendo dal mio sopracciglio
inarcato e destro,
di sostenergli lo sguardo
infido mammifero
restandomene attendendo
arroccato perfido e inerme
dietro al mio masso
chiamandola come si fa col gatto
deridendola.

Lei,
attratta,
la vacca,
si avvicinò quindi
al filo suadente
tutto di ferro
dove sogghignava elettra
la corrente svelta
che non la si vedeva
ma indolore scuoteva.

Venne
floscia ed ebete
a cercarmi
ma appena si sporse
in cerca del complimento
gliela regalai io,
la scossa.
Vacca boia.

mag 26, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Ad accompagnare i Cerchi.

Fra l’indaco e il confine da andirivieni laggiù
c’è spazio tra mille granelli in andata da sottosuola,
ma non per me: imbrattato di fogli in soglia
sto bene qui, a tirar sassi nell’ acqua
e ad accompagnare i Cerchi allagarsi di blu.

Tanto sbocceranno in solstizio lo stesso
i boccioli a cui non si è per nulla chiesto
che io sappia mai e poi mai il senso:
unico di ritorno resto sobrio su questa panchina
piuttosto che rimettermi ad inseguire la vita
ed andarmene ancora una volta oltre cortina.

Vai tu, dico davvero,
scavalca e urlami nascosto al di là del ferro
quel che c’è di così eccitante e diverso.
Vai e se vuoi torna a raccontarmi
quel che hai messo negli occhi
o quel che conosco e mi sarò perso.

Avanti.E senza spingere, che prima o poi ci si passa tutti.

Ci son già passato, ho un trascorso sghembo
ed una volta visto il tuo desiderio scommetto
per niente e per nessuna tu tornerai indietro.

Certo, mi hai conosciuto qui e seduto
dici lo ammetto è strano non son dispiaciuto
e l’ amarezza che dovrei non mi brucia addosso
seppure sia l’unico tornato al di qua del fosso.
Ma c’è che ogni milione ne modellano uno strambo
dicono da lassù che sbagliano per diritto lo stampo
e ne viene un animale matto e di esserlo mai stanco.

Così mentre tutti prima dell’unico verso in salto
vi sedete qui accanto e mi chiedete nel prender fiato
se meno di uno è vero ha fatto la strada al contrario
quello è qui, che vi misura le parole accanto.
Strano, visto lo splendido che vi attende laggiù
ma io no grazie preferisco scrivere di restarmene:
sto bene qui, a tirar sassi nell’ acqua
e ad accompagnare i Cerchi allagarsi di blu.

mag 23, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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L’arena dalle penne a sfera.

Punteggiatori sparsi.Un anno fa al Parco delle cascine si era seduti in ellisse.
In mezzo a quella folla variegata un tale, certo Simone detto Livefast, dagli eventi si erse prima di ardersi in benzina nella rinascita due punto zero e come stilita senza roccia appuntita domandò ai presenti attoniti: ma allora cosa accomuna noi blogger?
Niente fu la risposta.
E quel niente, ora rodeante, ancora ci unisce quasi trecentosessantacinque alzate di letto dopo.
E nel frattempo si sono allargati gli abbracci, le pacche forti sulle spalle e gli sguardi incrociati.
Di premessa: tutti eravate tanti e troppi ne siete da ringraziare singolarmente.
Sappiatelo, nel mentre vado avanti.
Ai resusciti da baracchino e agli arcaici adepti del CB, come mi suggerì ad una cena Rillo, gli appuntamenti blogghisti come quello di venerdì sera appaiono come enormi verticali dove finalmente ci si vede e ci si splende.
Il rodeo è stato per me come una partita a calcetto: quello Balilla.
Poichè nel durante ci ho giocato con Fraps ed anche perchè la notte stessa, tornato a casa, mi son sognato d’essere omino balilla abbracciato a compagni di scrittura rilegati nel destino della stessa maglia.
Quel che resta sulla pelle son cose strambe, diverse, come un mosaico stempiato e variegato che per magia si incastra fra volti rivisti e altri scoperti.
Infra le gengive mi porto un bravuomo storto come le sue rime.
E fra i polpastrelli la stretta di mano forte di un direttore d’albergo che quasi mi ha commosso nel vederlo e nel salutarmi. Grazie Gianni.
E fuori, a respirare nell’aia di Rozzano stornazzante di schiamazzi di animali blogghisti ecco spuntare un abbraccio di quelli che non ti aspetti: Strelnik.
Mai si vada a finire che gli venisse di farne un corto sull’evento: ecco adesso ne hai uno di amico alto un tappo che come protagonista è perfetto.
In un angolo ho puntato dritto, l’ho vista ed eccola insorrisata, Pizia.
Si poteva dirle che, per farne un esempio, da anni pensi sia una cantata splendida, questa.
In voce, per triplani o per scritti piaciuti.
E invece.
Poi passi sotto il Palco, che lui da sopra fa l’ossesso.
Divincola e dimena e ti ci ritrovi a ballare con Sphera ed Eva.
Poi ecco, voltato d’improvviso: certo non m’aspettavo d’aver fra gli occhi il sommo.
Già aver le sue spalle nel tuo abbraccio sembra che t’assorbi una delle sue lezioni pixxellate che fan sentire intelligente anche uno analfabbeto comme amme.
E invece.
Che ballasse poi è, vederglielo fare, stupendo.
Esci, prendi aria, e vieni rapito come da uno sbatter d’ali in mi tavor settima di falena notturna.
Quel che non t’aspetti è che s’oppone alla notte stessa scura inversa nel nome come chi l’aveva avvertita leggendole in mano la data di scadenza.
Ti parla come vena scoperta.
E scoperto ascolti. Sembri poterla afferrare mentre discosta il velo dello sguardo veloce.
E invece.
Rientri e ti affretti, saluti Silvia e un fiore che trilla.
Scopri gioie solo vivendo eventi come questi: e sei, elemento strambo, felice nel vedere mani strette fra vite brevi e pulsazioni veloci.
Enormemente felice.
Nasi rossi e liquori.
In alto i calici e brindiamo:
a voi, bella gente slalomista fra amorfe esistenze!
A noi, elementi scuotimenti!

mag 15, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Pazzi non foste a viver come bruti.

Perchè siam tutti bimbi sperduti.E quel che è stato è: cappelli, quattro.
Foulard rossi, altrettanti.
Uomini: folli.
Disegni:strambi.
Donne: splendide.
Un manico di chitarra attaccato ad un manico di chitarrista.
La gente è nel locale. Anche fuori.
Il locale? Pieno.
Il Naviglio sta sempre lì, a un passo di tuffo.
La gente beve.
Sugli sgabelli, sui trespoli: svaccata fra patatine, rutti e fighetti.
E parla, osti se ‘sta gente parla.
Poi il fungo dj smette il suo chill out avvolgente.
Silenzio.
Brusio.
Nelle vaschette cetrioli senza sugo come dialoghi da aperitivo.
Un po’ di blues è quel che ci vorrebbe.
E un po’ di blues si sente provenire da un angolo, controcorrente.
Un angolo stretto, fottutamente stretto.
Si alza il sipario.
E i quattro cappelli entrano.
E gli uomini sotto al Panama li seguono.
E i loro sogni anche.
Urlano.
Ridono.
Pungono.
La gente parlava, prima, ricordi?
Ora guarda.
Attonita, nel mentre sta.
Ma questi, questi… questi… pazzi:
chi cazzo li ha fatti entrare, questi?

Ne è stato fatto un video.
E tra poco ne verrà fatto un sito.
Dove poter ritrovare testi, audio e pazzi.
Noi si spera che ci verrete dietro a ruota, perchè lo sappiamo: siete bella gente.
Nel mentre la Pazziata si ripropone a breve.
Altro locale, altra tenzone.
In fondo si tratta solo di far ballar su strada il muscolo che qualsivoglia ha dentro, ognuno nel bel mezzo dei padiglioni in auricolo e retrostanti i bulbi catarifrangenti: le menti.
Sorprendere per provocare mentre non la si aspetta.
La pazziata è toccata e fugge in fretta.
Lesta sconquassa: scuote i passanti e quelli che nel mezzo si ritrovan ad esser involontari astanti.
Regola semplice: far accorgersi delle proprie esistenze.
Folli senza rete, siam stanchi di maglie sfibrate e virtuali.
C’è bisogno di sorrisi e come bimbi sperduti cerchiamo occhi sgranati e strette di mani.
Detto niente.
Ed è una sfida lanciata con l’asta ed aperta al miglior bloggherista: ovunque tu vada, ce l’hai il coraggio di portar con te, nel cuore o per strada, la Pazziata?

* Mike e Cinzia, Rillo e Fraps, Zu e Darko, Helghi e Sphera.
Regalaci un applauso, e buonasera.

mag 8, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Il Funicolante.

Mestieri e professioni: gioie e dolori.Dici: il Funicolante.
A Bergamo molti autobus, due sole funicolari.
Una è nascosta sul colle di San Vigilio e l’altra, ben più famosa, collega la parte bassa della Città alla parte più antica e posta sopra le mura.
In totale quindi esistono due signor Funicolanti.
E’ un’ elite.
Molti bambini sognano di fare il tranviere.
I bimbi di Bergamo ripiegano, causa assenza di binari in città, sull’autotrasporto pubblico gommato.
Almeno credo, perchè da piccolo io volevo fare il lattoniere.
Starmene sui tetti, posare le tegole, spaccare i conci e assicurare le grondaie sugli spigoli.
Gli scoli con lo sfiato a guisa di draghetto erano i miei preferiti.
E questo e quello.
Ma mentre io non mi scrostavo da questo sogno futuribile i miei compagni di ciuccio, molti di loro, eran già sicuri: autobus e traffico sarebbero stati il loro massimo destino.
Ma fare il Funicolante…
Ci si pensava,certo, ma nessuno nemmeno allora osava mai ammetterlo.
Statuario nella movenza, assorto in fierezza: il Funicolante è pura essenza cosparsa di dorata aurea.
E’ un’ elite.
Già detto?
Ne son certo.
Controlla i biglietti, fa salire le persone obliterate, chiude le porte a pressione e poi si estasia con la pressione del sacro gesto sublime: schiscia il bottone.
E il cavo si riavvolge.
E il mezzo sale.
E la città si srotola sotto la ripida inclinazione che fa tremare tutti, e tutti indistintamente ci si stringe assieme casualmente: nipponici con teleobiettivo puntato verso l’ignoto che li avvolge, coppie di fidanzatini stretti e stupiti, vecchietti che si scordano rapiti di volersi sedere, cagnette in braccio a pellicce ed omoni industriali ricoperti di cravatte.
Tutti in egual religioso silenzio e muti sotto l’egida della livella miracolata e funicolante.
E via, si sale.
A beh, il signor Funicolante.
Sarei sceso dai tetti dell’infanzia solo per portarne sulle spalle la giacca.
Brizzolato e rugoso, con lo sguardo di chi vede sempre un po’ più in la dei tre minuti di tragitto avanti e indrè semper li stèss.
Lui, gavettato da anni di linee urbane: stazione-ospedale maggiore, stadio comunale-Monterosso, parco Suardi-Boccaleone.
Cresciuto in azienda a tirar la carretta e poi in sofferenza eccolo allevare generazione dopo generazione piccoli guidatori sotto le camicie blu ed i maglioncini d’ordinanza.
Sempre con quel sogno dentro al cuore: schisciare quel bottone.
L’eroe privilegiato a capo della piramide massonica degli autisti.
Lui, pigia un tasto e possiede la funicolare: l’ambita postazione che si può solo invidiare o idolatrare e sulle cui fiancate i colleghi lasciano scie e bave di venerazione.
Signor Funicolante, tu domini la città.
Stesso tragitto, giorno dopo giorno, per un chilometro di cavo in trentacinque gradi di pendenza.
Giorno e notte, estate e inverno, governo dopo governo.
Avanti e indrè.
Semper li stèss.

mag 4, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Lisa.

Lisa pensa che così non è mai stata
sposta il naso sopra l’orlo del suo calore:
ha i capelli e la testa ancora bagnata
e lo sente cantare di là sottovoce.

Allora si rigira stretta in quel letto
si fa piccola, e piccola aspetta
sfrega i piedi scaldandoli a stento
e si rimette gli occhi sotto la coperta.

Impigliata,
dentro quel che ha perso,
lasciato o si è spento.
Annegata
nelle parole, urlate o troppe
che nessuno le ha mai chiesto.
Sbriciolata
nei tanti che l’hanno stretta
per poi scappare, ed in fretta.

Guarda in basso, ora,
si tocca il tatuaggio:
piange
e niente.

Lisa ancora non ci crede,
si sfiora nuda le gambe
dice com’è che proprio a me succede,
si riaddormenta e sogna il suo cavaliere.

Impigliata,
dentro quel che ha perso,
lasciato o si è spento.
Annegata,
nelle parole, urlate o troppe
che nessuno le ha mai chiesto.
Sbriciolata
nei tanti che l’hanno stretta
per poi scappare, ed in fretta.

Guarda in basso, ora,
si tocca il tatuaggio:
sorride
e niente.

Lisa riposa appoggiata morbida al cuscino:
cullata di gocce che giocano fuori dal vetro
scorre la pace fra le scodelle del lavandino
e non sente quei passi arrivarle in silenzio.

Soffice si stropiccia, riconosce quel profumo
un bacio soffiato sulle ciglia è la sua colazione.
Due sorrisi: sul comodino la radio passa Caruso
e nuovo è il mattino come il suo vicino amore.

apr 29, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

St’attento.

Mmm...Ecco, io no.
Tempo che ne ho, voglia anche, ma ecco, io no.
Per cosa poi, dici qual’è il guadagno, il salasso, il margine di riscontro.
Boh, e che ne so.
Ecco, io no.
Te, per non dirlo col tu, te dicevo t’alzi, tramtrammi e alfine scalzo, spompato abbattuto ti affanni e nel giorno sfinito cadi e incomprensivo scalci.
O certo, hai prodotto.
Ecco, io no.
E tu?
St’attento.
Piuttosto mi fermo e ti dico scemo.
Al rischio di mettermi in testa un sombrero.
Che c’avrò un cappello di paglia ma il corpo non è affatto di plastica.
Perciò fatebenefratelli a rimanere nel vostro quieti ma sappiate che a vedervi in giro io ve lo dico:
ingranaggi ruotacoglioni, attenti agli intoppi, attenti ai vostri cloni.
Sono letali, distraggono dai mali e, se mortali, vi avvisano del segnale da tam tam, quello che pulsa, quello che batte.
Attenti, ritornello, alle giornate normali.
A quelle da non m’aspetto niente, alle ore inattese e alle acque sotto ai ponti, chete con le chele.
Perchè lì, subdole d’infradito fra lancette liete si nascondono le rivoluzioni in parto singolo.
Non certo negli appuntamenti attesi o negli eventi da celebrazione: quelli si sa che son buoni per le comuni illusioni.
Fin troppo semplici, fin troppo liste in programmate in sconti da emozioni.
No, te l’ho detto: ecco, io no.
E tu?
St’attento.
Nel sorseggiarti come un the caldo o freddo, nel far rifornimento, nello scender le scale o alzarti dal letto.
St’attento.
Basta un pretesto, un granello nel collaudato ragionamento, un brivido freddo e via dicendo: me tal dighe e io te lo ripeto.
St’attento.
Non ci torni indietro.
Scoperto.
Essere unico, essere quasi perfetto.
In stampo ed in difetto.
Pregi, veleni e pensieri non più sottovetro ma solo tuoi e fatti per averne un peso: non più specchio riflesso da allodole monocellule.
Presa la coscienza sarà un equlibrio da gestire, un mondo da spellare e nuovi verbi da imparare.
Strabiliare, respirare, annusare, bestemmiare, rotolare, ammiccare, trangugiare, calpestare, rimbombare, assaporare, tentennare, buttare in riflessivo, stupire e gongolare, inciampare e rialzare, esterrefare e stupefare, succhiare e fischiettare.

Amare,
e farsi amare.

apr 23, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Buon appetito.

Mangio col giallo, il rosso e il verde.
Fame, ho fame.
Separo il pollo, i pomodori ed i piselli.
Stesso piatto, bianco.
Me lo portano caldo, il pasto. Oscillo, non sto fermo, ondeggio, prendo il coltello.
Perchè tutto assieme? Perchè tutto assieme?
Tutto assieme non va bene, non va bene tutto assieme.
Mangio nel piatto, mi piace questo giallo, vicino al verde tutto mischiato.
Non va bene, non va bene.
Dodici e venti, tardi.
Dodici e venti, tardi.
Mangio alle dodici.
Tardi, dodici e venti tardi.
Tardi, dodici e ventuno tardi.
Prendo il coltello, poi la forchetta, la voce che dice mangia entra nella mia testa.
Mangio, adesso mangio, prendo la forchetta e separo pomodori e piselli.
Piselli tanti, trentasei, belli rotondi tutti diversi.
Divido il piatto in tre parti uguali di sessantagradi di tre parti uguali.
Mangia mi dice la voce doppia, entra a destra esce a sinistra adesso da sinistra entra a destra ma sono solo due e capisco: adesso mangio mangio adesso.
Tredici in bagno devo andare in bagno.
E’ presto dice la voce mangia che è freddo.
Pipì alle tredici alle tredici in bagno devo andare in bagno.
Mangio, mangia, adesso mangio.
Acqua gassata beeeeh acqua gassata stuzzica la lingua mi piace adesso bevo il bicchiere pieno.
Tutto staccato nello stesso piatto cinque pomodori rossi grossi ed il pollo uno solo ma lo divido separo la pelle dalle ossa mi guardo intorno ondeggio troppe ossa tante quante non riesco mangia mi dice la voce due voci tre voci ora mangio oscillo prendo il coltello metto l’ultimo pisello vicino agli altri ma scappa vicino al pollo separo il pollo.
Mangio adesso mangio gratto il mio dito e mi tocco la testa si ancora c’è la mia testa rumore troppo rumore grossa la voce la tua voce rimbomba è grossa tante voci mangia adesso si adesso mangio si mangia mangia TI HO DETTO diventa freddo mangia mangia mangia adesso mangia
HIIIIIIIIIIIIII!
Oscillo sbatto , sedia, terra, pavimento, rumore, rumore, rumore, picchio la testa, sbatto la testa, basta basta basta rumore piselli pollo troppo pollo, piatto rovesciato tutto mischiato rumore rumore rumore basta basta basta…

Mangio, adesso mangio.
Rumore passato rumore.
Silenzio e piatto, pomodori e piselli: separati, pochi, cinque e venti.
Buono, mangio.
Buono il pollo.
Mangio.
Contento, sì contento.

apr 10, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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E questo e quello.

E questo e quello.
Se il bioritmo è un saliscendi di curve suadenti quello mio è concavo da raccolto.
In quel punto dove la linea si flette e gronda straripante di frutti post maturi io mi ci metto.
E attendo. In questo senso.
Attraversi momenti in cui della tua vita di conto non te ne rendi: stai a produrre e macinare, passi le ore a dare e a dare, stacchi da un lavoro per attacarti ad un altro cartellino da timbrare.
Svesti una cravatta, ti infili una cuffia, spilli una birra e vai a dormire alle quattro di notte.
Nel sogno, le tue voglie.
Per ricominciare arzillo e lesto il giorno dopo, o il giorno stesso.
Automa del ciclo ti normalizzi l’esistenza ma come già scritto in precedenza sai che tutto cambia anche la consapevolezza di sapere che così è.
Percui ritorna l’onda del bioritmo ed ecco che dopo anni son qui fermo e dritto.
Fazzoletto in testa, raccolgo sudore senza fretta.
Brucio la divisa, apro una nuova porta della mia vita.
Mi tuffo in un altro gioco senza come al solito aver preso cura di leggermi il foglietto delle istruzioni.
O delle controindicazioni.
Vado ad affrontare mansueto una salita senza ripiego o taglio.
Un origami da lancio libero senza rete, con il culo in aria e le chiappe esposte al vento.
Vado a tuffarmi carpiato.
Con gli occhi chiusi per non saper di vedere se nella piscina c’hanno almeno messo l’acqua.
Stordito e rilassato, oggi sono malsano.
Sicuro che finito questo scritto io rido.
Mi favo dell’uso in costume e di comunella con il sole anzichè produrre io passeggio.
Rilassato e paciato mi prenderò cura dell’orticello del mio tempo.
Sembra che negli ultimi anni io lo abbia trascurato di parecchio.
E ve lo dico prevenuto del caso in cui anche voi del mio v’ammalaste: non è bello.
E questo e quello.

apr 7, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Dentro segreto ti cerco.

Dentro,
segreto:
ti cerco.
Non posso,
non oso:
voglio.

D’attesa
incoscienza
maggio
si aspetta:
lucciole,
un prato
ed una coperta.

Tendinite acuta.

Raggomitolati
unici in fiato:
tepore
d’ugual grado.

Dentro
non c’è vento:
nulla al caso.
Tutto è calmo,
non oso:
voglio.

apr 3, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Lasagne e zibibbo.

Metti una cena a casa di.Dicevan traduttori in vite d’esplosioni su trattori che le diagonali tagliano emozioni.
Nel farlo di lato da quarantacinque gradi di caldo se ne stava traverso rispetto al mio lato destro.
Se passo attraverso un chiuso, un posto, un taglio di palcoscenico da A a B e nel farlo ondeggio ecco: io catturo l’attenzione.
Serve al pubblico, serve a me.
Il movimento porta coscienza: di quel che sto compiendo in me e di quel che sta accadendo negli altri. Catalizza.
Cataclisma.
Porsi al centro di bisturi in taglio: sbloccare l’abitudinario, scuotere le anime, smuovere il certo per l’incerto come fosse una specie di incesto fra il mio inconscio e il mio io partoriente.
Coinvolgendo l’eventuale astante presente.
Insomma smuovere un fatto, uno strafatto, un’ opinione o un’ idea scuotendone i corpi che ne offrono l’affitto.
Se così fosse ecco come si potrebbe imporre.
Un luogo e delle menti. Dementi, forse.
I soliti gesti, il solito tram. Il solito tram tram.
La certezza sciolta in ovvietà insomma che all’improvviso si discioglie.
Banalità in corporeità abitudinaria, quel che è perchè ormai automatico incorporato: il pascolo nel campo mastica l’erba, usa le mani come strumenti del destino e il chitarrista arpeggia perchè il classico così insegna.
Ma: l’erba si può d’ardito fumare, le mani qualcuno dice anche disegnare nel solo modo di comprendere l’intero corpo e il chitarrista sorprendere in sette ottavi di un ansimo da sincope.
Stravolgere: il batocchio della gente da troppo tempo impolverato si può far ondeggiare anche da mancini, e le coscienze prenderne di esse.

Inscatolatori di certezze, prevenuti dell’insonnia: perderete la quiete.
C’è in giro gente che sana non è.
Che ha deciso d’esser fuori dagli oli che imbalsano ingranaggi.
C’è in giro gente scuotimente.
Più facile che nient’altro sian che pazzi.
Ma tant’è: m’unisco a loro.
Attenti, siate svegli.
Attenti, nel tirare i dadi.
Attenti, agli imprevisti.
Nel giro da monopolio statico pescate la carta: se vi capiterà di passare dal via ritirate le ventimila.

Poi
rollando, frappeggiando,
cantando sferici e al passo,
bisogna che solo emozionarsi
per non dimenticarsi la soglia
fra vita e esistenza.
Di taglio in diagonale.
Ma poi.

mar 31, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Rudy.

Rudy
stai attenta
che così mi fai male.
Rudy
smettila
dico sul serio.
Rudy
se ti prendo
non sai cosa ti faccio.

Cosa c’è.
Niente.

A volte si perdeva come per ritrovarsi.
Io guidavo e lei guardava, ignara, fuori dal finestrino.
Tramonto dopo tramonto.
Anche, mi osservava nel percorrere uniche strade.
Finta di niente io, naso all’asfalto, ma lei mi indugiava.
Non sbatteva, mai, le ciglia in quei dolci assalti.
Facevo allora per staccare la mano dal volante e
semplice, accarezzarla.
Si voltava, in ritirata, verso il panorama.
Di nuovo.

Cosa c’è.
Niente.

Rudy
perchè
Rudy
ora non c’è
Rudy
cos’è stato che.

mar 31, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Rudy.

Rudy
stai attenta
che così mi fai male.
Rudy
smettila
dico sul serio.
Rudy
se ti prendo
non sai cosa ti faccio.

Cosa c’è.
Niente.

A volte si perdeva come per ritrovarsi.
Io guidavo e lei guardava, ignara, fuori dal finestrino.
Tramonto dopo tramonto.
Anche, mi osservava nel percorrere uniche strade.
Finta di niente io, naso all’asfalto, ma lei mi indugiava.
Non sbatteva, mai, le ciglia in quei dolci assalti.
Facevo allora per staccare la mano dal volante e
semplice, accarezzarla.
Si voltava, in ritirata, verso il panorama.
Di nuovo.

Cosa c’è.
Niente.

Rudy
perchè
Rudy
ora non c’è
Rudy
cos’è stato che.

mar 20, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Sei di marzapane l’unica.

La scritta sul vetro
della mia automobilina in legno
è la tua,
leggera di calligrafia.

C’è un giorno nascosto
dietro a quei segni d’asporto
in cui hai pianto, ti ho stretta
e la neve si è sciolta.

Sei di marzapane l’unica
che non ci si credeva.
Quella che mai avrei detto: ma dai.
Eppure lenti
accordiamo il nostro piano
e la calma soffia
e sui nostri nasi
osserva.

Speciale
è una lotta senza te
abuso affiliato in ogni offerta,
sconto addosso a quei timori strappati.

E mi vien da volerti
che poi io non so.
Forse le tue mani
dentro ai miei maglioni
troveranno lo stesso perchè.

mar 11, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Rosso flamenco.

Quando urli
terribilmente urli
di quell’urlo che sgorga dai polmoni
c’è per forza
o per tragedia
un istante
in cui riprendi fiato:
il fiato del sangue.
Poi,
di nuovo,
urli.
Credi
quando così urli
che ti si sventri il corpo
e quel che di ultimo umano sei
lo dai in pasto
alle tue mani che vibrano.

Quanto male fa
sanguinare dalle unghie
se non c’è
chi t’ha graffiato di morte
se non lo si può stringere
il carnefice
se nessun collo
puoi strozzare
nel tuo urlo?

Terrorista:
Jodete.
feb 24, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Scusate il ritardo, ma c’era nebbia fitta.

Resoconto senza presenza, invalidato all’occorrenza.

Napoli e nebulosa.
Che poi son l’ultimo a non esserci stato.
In differita, da qui me lo sono vissuto a casa su schermo. Tutto.
Non ci sono più i guardiani della soglia e/o siamo sempre soli.
Da soli con la nostra volontà.
Paura o migliore offerta?
Non lo so, di certo questa riunione mi ha annoiato l’attenzione.
Quasi dormito: su un blatero comune di un qualcosa di cui era inutile parlarne in quel modo.
Avrei detto, io: cos’è un foglio?
Guardate sulla scrivania, pigliatene uno e cominciate a scrivere.
Bene, avete capito cos’è un blog.
Un blog è inchiostro.
Nulla più.
Un papiro, un geroglifico e a volte carta carbone (spesso).
Due ore ci avete perso.
Buongiorno: bastava spostare l’attenzione dal mezzo al mezzo della folla.
Alle mani delle persone, agli atteggiamenti, ai sorrisi e ai gesti di chi c’era.
Vi siete persi gli sguardi, il modo di porsi e gli sbuffi (credo molti) di chi era presente.
Blog e giornalisti (ancora?), e chi è migliore e chi è peggiore, e i blogger sono soli e sono in tanti.
E intanto come diceva il caro Wolf non è ancora venuto il momento di farci i pompini a vicenda.
Non c’è più una soglia.
Tiziano: per me non c’è mai stata.
Dipende da che lato per te gira il blog.
Ogni persona che ha preso la parola in quel dibattito ha solamente espresso la sua funzione d’utilizzo del mezzo blog ed involontariamente ha provato a darne un’ interpretazione tramite una propria visione al pubblico presente.
Non poteva essere altrimenti: ognuno utilizza quel che ha nel modo che più trova consono.
Indipendentemente da quanto questa famigerata soglia si sia sguarnita o abbassata.
Può anche starsene sul terreno un post: il suo valore aumenterà solo in base a quanto una persona ci scrive sopra.
Lorenzo ironizza fra i pixel perchè tutti i giorni probabilmente adotta il sorriso come migliore arma di difesa e questo è il suo miglior modo di atteggiarsi alla vita quotidiana.
Eloisa stenderà un origami di post nello stesso modo in cui si rannicchia dietro al microfono quando le si dà la parola per spiegare quel che in realtà non ha poi un granchè da spiegarsi.
Giulio si ripromette di impegnarsi a pubblicare anche solo due righe al giorno perchè di mestiere se lo può permettere e sarebbe un peccato se non potesse realizzarlo.
Perchè è questo che lui fa anche di lavoro. Beato.
Tiziano si meraviglia di una soglia a detta sua senza più protezione e si inalbera quando qualcuno ribatte al bla bla bla con la praticità del non essere tutti scrivani di professione tirando in ballo valori letterari perchè è di questo che Scarpa si occupa nella vita. E nel blog.
Ma Strelnik ha solamente esposto il vero: puoi dirla che non si parlava di scale di valori, ma non puoi negarla che tutti si ha da portare a casa la pagnotta in un modo o nell’altro.
Con o quasi sempre senza post.
Vita da blogger.
Sofri non fa distinzioni fra scalpelli e scribacchini, su chi è tale e su chi non lo è affatto chiosando in un tutti forse lo si è, scrittori, perchè in fondo tutti si scrive.

Non conta cosa noi si scrive.
Conta come.
Perchè conta come sono le persone.
La notizia può essere già stata data, il racconto già letto, la recensione prevedibile ed il blog raduno già scontato.
Ma come un blogger è, come si esprime, quel che di solo suo imprime è quel che rende un senso.
Perchè come una persona è, come si esprime, quel che solo di suo imprime è quel che rende un senso.
Con o senza bisogno di un convegno.
Quel che dal duemiladue ad ogni post mi resta di questo blog non sono le parole.
Sono le persone.
A Napoli, secondo me, bastava solo spostare un po’ di più l’attenzione.

feb 5, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Come cambia.

Come cambia
la parola data.

Passa
di bocca
in bocca:
melassa
vogliosa.

Storce
il suono suo
dentro
altro amore.

La stessa
scorre svelta
fra calde labbra.
Persino rallenta.

Sospesa,
corruga
lo stridore
in agguato
fra i corpi.

Come cambia
la parola data.

gen 29, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Disperso.

Lasceresti seccare quel bacio su altri avanzi
dimenticando le sue mani venire a cercarti
non dando una stretta alla sua vita
avendo paura dei brividi dentro l’alchimia?

Passeresti il tuo tempo rispolverando i gusci
delle tartarughe lente sopra gli scaffali
sfogliando pagine mute dei tuoi diari
solo per la tua massima aspirazione
d’essere stato assoluto strumento di precisione?

Peccato, è quel che è stato
non sono quel che vive
un passo dietro allo sbando:
quel che mi sento lascio.
E pago.

Seguendo la discesa delle tue lacrime
nello zucchero a velo della passione
c’è una favola dove ti sei dispersa
con un finale senza amore.

C’è bisogno di un dottore
serve un campo lontano
acqua e un nuovo seme
il problema è che non cresce
quel che non è poi così strano
senza almeno un po’ di bene.

Vivere d’altri
in cerca d’attracchi:
sbagli.
E t’aggrappi.

Non sono quel porto
da bacio rubato:
sbaglio.
E pago.

Continua qui.
gen 10, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Madrigale insonne.
Dono, fuoco sacro lamento ultimo arido e deserto.
Avverso, rifiuto d’un fuoco sopito nel tempo.
Loto, arabesco sfregiato impresso a fuoco nel canto.
Nostro, fuoco altissimo ingegno discinto dal verso.
Spento, residuo fievile alito di fuoco dal vento.
Fatuo, vano fuoco rassegnato e disperso.
Fresco, estremo strappo e sofferto fuoco perplesso.
Fuoco, ebbro di legno saziato dal freddo.
Centro, cardine fuoco e perno del senso.
gen 8, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Veleno.

Un modo semplice,
un sorriso alto verso gli occhi,
per dirti
che ho raccolto tutto il bene
fra l’unghie delle mie mani.
Bevilo.

Un accordo di piano,
due parole,
un giro azzeccato.

Un modo semplice
squassato al silenzio
per distillarti
chino sul tuo ventre
tutto quello che declino.
E bevilo.

dic 30, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Ted Se.Me.Se.

Fotocopia spiccica parola.Angelo può essere un messaggio da riciclaggio.
Staccando il numerino in coda per il paradiso il suo ruolo è quello di darti un passaggio, dai andiamo ti accompagno.
Ed essendo luccicato con le ali allo sbaraglio capita come ovvio che il vento da lui agitato colga in fallo di stupore, amore e abbaglio quelli in attesa uno dietro a un altro in questo d’altromondo pulsante viaggio.
Sto a star di fuoriluogo sopralenuvole come diavolo di realtà ad osservar d’obiettivo altrui la situazione.
Ad ogni anticipato fiocco uscito dallo sbatter di quelle piume, pur sapendolo effimero, mi sciolgo.
Non è il mio posto: far il finto beato in mezzo al loro tirarsi matto.
Non è facile da gestirsi dal fuori del gran ballo, figurarsi il loro esser preso in pieno nella danza.
Ma ho un amico perso da riprendermi là dentro, per questo attendo e vi condivido lo scazzeggio.
Ah, ecco vi racconto questo mentre son qui che aspetto, così si passa un po’ il tempo: io non sono fisionomista.
Non per sbadataggine, ma se qualcuno sapesse mi dica: sarà una malattia?
Io mi scordo le facce della gente da bene che incontro.
Se mai passassi davanti al tuo presentarti nei miei confronti sappi che se la volta dopo mi ristringi di abbracci può darsi o capitarsi che io rimanga per un istante interdetto sulla soglia del tuo viso.
Poi ti ricostruisco, ma quel mezzo secondo fottuto mi sgama facendo cascare il trucco.
Ed è veramente brutto.
Come se mi dessero botta da schianto sul cervelletto proprio nel momento stesso in cui riappari.
Stonk.
Intendiamoci non è sempre negativo: i brutti ricordi se ne vanno con chi me li ha lasciati, tatuaggi endovena a parte.
Almeno lo scordarsi in certi casi anestetizza.
Distruggendomi mi rimodello su altra scala per dimenticanza.
Ma il più delle volte ci rimango macerato.
Sappilo: nel caso mi reincontrassi ti prevenisco dai miei invasi.
Dico per dire, mentre si dipana la fila fondente contorta in attesa.
Per il resto sto ancora in finta quiete: loro son sempre in coda e io sempre qui d’un rosso infuocato splendore pronto al pizzico da dare all’aspettato come d’amaro dolore quando mi verrà incontro mentre quell’angelo puro balugo continuerà a sventagliare sorrisi sterminandoli uno a uno.
Davvero.
Ecco il mio amico.
Com’è andata, gli dico.
Non parla. Annaspa.
Affoga dal dentro.
Presentimento.
Davvero.

dic 25, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Mike Xmas Carol.

Tè lo vedi il Santo Babbo lì in alto?Tagliacarte fissanti decorati d’emozioni traballanti.
Bei regali.
Vischio sotto ai baci.
E’ inutile che lo tratteniate, vi fate solo del male.
Poche cose semplici
da ricordare persino per una testa da vasi comunicanti insignificanti
come quella che mi hanno assemblato sopracollo.
Se c’è, Lei, non la si può cartoingessare.
Davvero.
E se viceversa più non traspare magari perchè trasformata in abitudine da addobbi logorata,
se ascoltata vi darà la forza per essere cambiata al banco dei pegni dei sentimenti scoperti.
Ma se vi esplode dentro senza timer che ne regoli notti insonni o mezzefrasi trattenute
allora lasciatela andar di doppia coppia e senza freno schiantatevi di poker d’amore con i vostri finalmete calati quattro assi.

Non è facile
non è facile
non è facile.

Balle dell’orso Yogi.
E’ più complesso costruirsi l’inutile cartone d’amplesso per ripararsi dal primo temporale spazza muffa del cuore,
è maledettamente più complicato finger con se stessi che con chi vi mostra netto al taglio il vostro star bene d’unico accordo assieme.
Il resto è buono da mettere in rima
ma ce n’è una, di vita.

Una sola per volersi bene,
una per farvene volere,
una per non rimpiangersi,
una per darne
una per viverla.
Una vita.
Una.

E ogni venticinque per dodici
non che diventi tradizione,
son qui a dirvi ancora
quel che vi dovreste darvi un senso:
amate, d’un amando senza rimando
rimando la vita d’un canto
dando quel tanto che dica io valgo.
E che cazzo.
E buon Natale.

dic 23, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Greyhound.

Ho cercato la mia via
per arrivarti,
ho seguito il mio battito
per bussarti.

Non l’ho trovata,
non ci sono riuscito.

Alzo il pollice
abbandonato nel mezzo.
Qualcun’ altro
mi solleverà
per tornarmi.

Attratta è la mela cadendo,
morsa da un divino sospetto.

dic 14, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Arroccato.

Stanco d’essere come baule chiuso in questo viaggio.
Messo in un angolo, buono per il prossimo controllo prima dell’atterraggio.
Di vedere rassegnazione nei volti delle persone, di non esser ascoltato per quel che dico o che faccio o peggio ancora di essere scivolato sulla patina di queste parole.
Come buono di consumo a ore.
Fatemi un favore: portate altrove le vostre preoccupazioni ipocondriache di scarso calore e fatevi venire il mal di vita almeno per rendervi conto di quanto ipocriti siano a volte i vostri richiami di grida.
Girate al largo di quel che non è una festa, state quieti accanto al vostro addormentato cane in guardia d’acquisto al mercato delle pulci.
Stufo di spiegazioni senza motivo e percui senza essenza d’essere ragioni.
Arroccato sull’unico albero dalle radici profonde che ancora regge il peso dei vostri appiccati incendi di malavita.
Che avete da buttar fuori odio sparso, distenderlo a ventaglio e pretendere d’usarlo come passo sul marciapiede?
Uno per uno a schiaffi da rianimazione vi si verrebbe da dirvi: mostratemelo allora il motivo di tanto abbaio e a carte scoperte giochiamoci il fatto di comprendere se per davvero il vostro latrato stanco valga il succulento piatto.
Perchè secondo me vi si è persa di vista la testa.
Vi si è fuso il collo coi padiglioni.
Non ascoltate più il battito e state lì buoni solo a modularvi sulla frequenza dei vostri inutili lamenti.
E i radiodrammi sono ben altri.

dic 6, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Due cose che.

… Ciccio ha sempre fatto il meccanico, in nero, da quando aveva 10 anni.
Ha un contratto di un anno all’Alfa di Pomigliano, lo stipendo lo spende in vestiti e coca. Come i ‘signori’.
Peccato che, tira e ritira, a loro i soldi finiscono. E pure in fretta.
Mentre ai ‘signori’ no. Altrimenti che ‘signori’ sarebbero? …

La prima è
che sopra ci stan parole non mie, da non dimenticare, e possibilmente da leggerle altrove assieme a molte altre di un certo spessore come cartavelina di fiori in mezzo alla munnezza.
La seconda è
che se di parole ne siete provvisti da far scorta e quelle che vi possiedono sono storte sghembe e distorte dalla rete dove sono state pescate o reinventate fate in modo che queste non vadano, per cortesia, perse.

dic 4, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Indirizzo.

Spacco bicchieri
urlo veleni
sono il fardello appeso ai tuoi pensieri
traballo di voce insicura
fievile residuo d’una speranza immatura.

Mimetizzo nel corpo il mio oppio,
mi coltivo in un campo di inibizioni illusorio.

Un passo avanti spargendo il nascosto
due passi verso quel che non è il mio ritorno
il terzo sgambetto chi è in posa perfetto
col quarto mi tiro la catena del cesso.

Leggo doveri
incenso pensieri
nulla mi resta oltre ai vostri veleni
mi ci diverto nel darvi consenso
per poi disfarlo col più banale pretesto.

Questo è il posto in cui voglio stare
affitto pagato con litri di sale.
Quarto piano rialzato di un condominio distinto,
centrotavola d’ un mazzo di fiori finto.

nov 28, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Rimegafonati.

Pare che sia ricominciato.
In frequenza. Più o meno regolarmente.'Rieccuce.
Cuffie in testa e tuffo nelle onde.
Torna il Pallone alla miniradio.
E in omaggio, ogni tanto, una cassettina.
Numero singolo a causa dei potenti mezzi del nostro studiolo.
Mandatemi una mail, con un indirizzo o un P.O. box.
Il fortunato insindacabilmete da me ritenuto d’acconto
riceverà nastro con confusione volontaria incisa.
Errori a profusione, emozioni, note e risate comprese.

nov 26, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Stretti i capi della fune incrociata.
Tutti in cerchio a guardarmi.
Tutti con gli occhi fissi verso il dentro, verso di me.
Tutti in piedi, con gli stessi vestiti stinti e smunti.
Tutti con nel palmo della mano qualcosa di ben nascosto.
E’ difficile ricordarsi il nome di ognuno,
se glielo chiedo quelli… mi girano attorno.

Che avete, ne avete?
Se avessi da darne ancora ne chiedete?
Lasciatemi in pace, lasciatemi fermo,
smettetela di vorticarmi all’esterno
mi inginocchio al centro del vostro cerchio
ma non ho davvero nient’altro che questo.
Me stesso.

Tu
giocavi d’altro un’altra vita
io
non posso ricordarmi tutto
ho cancellato la mia lavagnetta magnetica sul frigorifero
e tu
mi hai dato quel passaggio sotto la pioggia rossa
io
non posso ricordarmi tutto
ho buttato l’immondizia ieri sera tardi
e tu
mi hai amato e non me lo hai detto a quel tempo
io
non posso ricordarmi tutto
non voglio.
Capisci?

Stringono e il perimetro mormora
fiamme d’attrito in corpi stretti
condenso in un non distinguo
fatico a reggermi nel tondo labirinto
se glielo chiedo quelli… mi girano attorno.

Smettetela di litanie rimbombo
mani alle orecchie urlo a coprire
dolore che ne sapete
voi cantate con voce di rame
mi inginocchio al centro del vostro cerchio
ma non ho davvero nient’altro che questo.
Me stesso.

Me stesso
me stesso
me stesso.

nov 24, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Fate sempre colazione col cappuccino.

Se corri sotto la pioggia ti bagni di più.
Venne una sera, poca la luce, il freddo era un freddo che c’era e si sentiva e se non c’eri lascia perdere.
Venne comunque senza voglia perchè di portarla non serviva liberatoria e quindi si presentò in una camicetta senza chiavi aperta, gonna trooooppo umanamente non corta e filo d’un tanga nascosto controvoglia.
Colpo di fucile a canne mozze scombinò senza un accenno il senno della vita di questo povero cristo.
La prima cosa che fece fu sedergli in grembo e strappargli i peli del petto.
Era chiaro che sarebbe scesa anche più in basso ma il nostro lesto non volendo sembrare un mostro scappò con un pretesto e quella mancò poco ci rimase quasi secco.
La sera dopo che era quasi quieta c’erano stelle e brezza leggera nessuno comunque di ritorno se l’aspettava vista la sortita in cattiva sorte della sera prima.
Ad ogni modo lui si dimostrò poi non più tanto un semplice ramazzo.
Come niente fosse,
decisa, fra il calato silenzio,
diretta, verso il bersaglio
con gomma americana in bocca e passo studiato da oca militare ma intelligente non prese nemmeno di rincorsa il fiato che quello lo perse tutto concentrato in un bacio inaspettato con tanto di lingua in gola leccata di labbra e passaggio ferroviario umidificato.
Al primo bottone di camicia volato e dai muscoli ingrossato ci si aspettò lo scontato baratto di succo non proprio gastrointestinale quand’ecco che sul più bello il sempre lui quello si divincolò non so come
da so bene non so cosa
come un’anguilla da paragone perfettamente calzante e sgusciò semplicemente abilmente ricomponendosi la patta e riavendosi dall’improvvisa ansia.
Anche stavolta incredibile al Cibali non rimborsarono il biglietto per quella scena d’un certo effetto che ci si aspettava finisse con dei corpi in balletto e invece se ne fece un granchè di niente: la povera cacciatrice con vuota la bisaccia dovette sbalordirsi per una seconda volta come la prima annullata.
Al calare del terzo sole era invece un evento.
Si sprecarono i cartelli con su scritto vengo vengo ed insieme a questi i cori neroazzurri unici ritenuti attendibili in quanto esperti nell’ attesa di un fatidico agoniato evento.
Lui stava di par suo come se nulla nelle due precedenti gli avesse smosso i sentimenti anzi tracannava dal collo della sua bottiglia una birra di marca sprovvista.
L’abilità che ne decretò il successo di lei stavolta fu forse la presa al collo dal di dietro a tradimento.
Sbucò alle spalle del santo bevitore e ci mancò poco lo buttò all’aria perchè mirò dritta ai boxer guardinghi.
Non lo guardò nemmeno in faccia fece le fusa vogliosa di schiuma senza pensare al malto della birra in bottiglia che sicuro calza a pennello in non so in quale modo e perfetta avanti e indietro in questa rima.
Con le inferiorità svestite erano edificabili ed immortalabili al pubblico ludibrio ma quanto tutti si aspettavano un abile terzo arresto fu a questo improvviso punto che lui fece l’aspettato inaspettato gesto.
Dai pantaloni calati per terra afferrò con non so quale umano appiglio dal portafoglio il proteggisperma e disse raggiante ‘stavolta non me lo son scordato, guardate!’
e ci venne incontro spumeggiante.

nov 23, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Forse c’hai ragione.

Smile, you are on Candid Camera!Una risata li seppellirà.
Forse c’hai ragione, amico indivanato pantofole e cinemascopio che non conta fino all’otto:
questi qui parlano parlano e poi non succede mai niente domani andranno al lavoro chineranno la testa e stasera fanno sì si indignamoci e bravi bravi clap clap rido anch’io va
ma tanto pecoroni
non cambieran mai niente.

Non cambierà mai niente.
Forse c’hai ragione.
Intanto io
quel che hai detto l’ho scritto
ho riso
ho visto in Sabina del coraggio
e Paolo sfoggiare un pezzo d’autore mai banale quanto il cognome
e Fiorella cantare quel che sarà e per sempre rimarrà
e tanta gente fuori dai cancelli
e gli altri sul palco a dir semplicemente che scusate ma tutti lì sopra proprio d’indignarsi non ci si stava
ma era come esserci d’insieme,
nessun obbligo imposto di nasconder la risata.
Satira saturata.
Forse c’hai ragione.
Forse.

nov 19, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Liscia.

Quante litigate ci siamo persi
quanta voglia di esser depressi
quanta nutella lasciata nei vasetti
quante lacrime sfogate in amici mai incerti.

Si poteva far quel che non è stato
ballare scalzi o nudi in un prato
aspettar la notte di San Lorenzo
creder l’eterno un posto mai freddo.

Ricordarsi gli stessi pensieri
scambiarsi le ossa in letti e veleni
rotolarsi ansimando peggio di cani
amanti malati lontano dai sani.

Macinar asfalto dialogando con l’autoradio
stender le stelle del lenzuolo sul terrazzo
rovesciarsi fremendo sulle pietanze di cena
e graffiandosi la pelle esser sicuri che fosse.

nov 19, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Liscia.

Quante litigate ci siamo persi
quanta voglia di esser depressi
quanta nutella lasciata nei vasetti
quante lacrime sfogate in amici mai incerti.

Si poteva far quel che non è stato
ballare scalzi o nudi in un prato
aspettar la notte di San Lorenzo
creder l’eterno un posto mai freddo.

Ricordarsi gli stessi pensieri
scambiarsi le ossa in letti e veleni
rotolarsi ansimando peggio di cani
amanti malati lontano dai sani.

Macinar asfalto dialogando con l’autoradio
stender le stelle del lenzuolo sul terrazzo
rovesciarsi fremendo sulle pietanze di cena
e graffiandosi la pelle esser sicuri che fosse.

nov 10, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Scacco matto.

Andiamo, andiamo: è solo un gioco.
La regina ti mangia pedone e poi si mostra alla corte.
E’ strategia, è natura, è incomprensibile al divorato.
Puoi startene li a tentare di far tonda la scacchiera
restarti ipnotizzato fra il bianco e il nero ma
andiamo andiamo: è solo un gioco
nessuno vuol vederti in questo stato
ci siamo dentro tutti, dal quadrato non ci scappi
un giorno sei in alto dalla torre
un altro re e quello dopo sguattero a pulire il cavallo.
Non ci si può far niente
ci passan cagnolini e bastardi
mangiare o farsi mangiare
ma non preoccuparti dai
andiamo, andiamo: è solo un gioco
non puoi restarne in eterno ingabbiato
la mossa vincente a volte è casuale
se ti senti da sempre un alfiere
inclina la scacchiera girando la testa
nella tua diagonale capirai come giusto arrivare
nel sentiero storto diritto alla meta.
Andiamo, andiamo: è solo un gioco.
nov 5, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Infine eccoti qui.
C’è che uno è come ombra se vive da solo su questa vita.
Sfortunatamente se gli togli il sole si sbatte di qua e di là con rinfuso dolore.
Invidia al cieco, almeno coglie meglio il profumo.
Tu invece ti sei impregnato il naso dei suoi capelli.
Un’altro sta sott’acqua e tutto è come acuto stridore ovattato nelle trombe di Eustachio.
Certo gli manca l’aria, ha come una bolla di risacca, e se togli il tappo da sta piscina fa la fine inversa del ratto.
Invidia al sordo, almeno ha bulbi di fiori oculari per interpretare la sua fine.
Tu invece ti sei disperso gli occhi nei suoi non hai.
Quello invece ha la capanna nella discarica e passa il tempo a costruire opere d’arte di metallo pesante, dice.
Sfortunatamente l’ olezzo ha un peso specifico maggiore e se gli togli i rottami si spaventa dei sottostanti nascosti prati.
Invidia al senzaolfatto, almeno gli resta il tocco per prender le misure a questo mondo.
Tu invece hai lasciato le tue mani nei suoi non sei.
Poi ce n’è un altro che recita sul palco e gesticola toccando tutto e tutti come se fosse possesso da un ossesso.
Beato, ma se gli togli le assi di legno da sotto ai piedi spento i riflettori scompare.
Invidia al senzatatto, almeno gli rimane il presagio dei fischi in arrivo per comprendere quando è l’ora di smettere.
Tu invece non hai sentito e soprattutto non hai insistito.
Infine eccoti qui, con le dette parole maledette inversamente proporzionali al bene che vuoi alle persone.
Poco da aggiungere: se lo starter ti frega il blocco di partenza voglio veder la tua faccia quando spara la pistola per la gara.
Invidia al muto, almeno lui un motivo ce l’ha vero per non farsi regalare un abecedario che ti dia il tempo di parlare il tuo amore.

ott 31, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Voce.

E allora cercami da strapparmi l’amore
e allora lasciami da seccarmi via al sole
così bastardo da bestemmiare per essere ancor più disprezzato
così amorevole da volermi accarezzare il labbro
sono fratello del tuo male che porti in borsetta
sono la pecora nera rinchiusa nella tua cella.

Mi auguro almeno che mi terrai un posto allo spizio dei matti
quando non riuscirai più a sostenere i miei sguardi
quando sputerò in faccia i tuoi buoni sentimenti
e mangerò la carne di tutti i miei macelli
schiumerai cercandomi d’una rabbia di voglia schifosa
e sarò l’unico pazzo rinchiuso nella voce della tua gola.

Ho scelto te una donna per amico.

Perchè è una puttana speciale che non si paga ad ore
si vende una volta ed è tuo per sempre questo mio amore
si graffia sui muri e per le strade si sporca
rasenta l’asfalto si umilia come carogna
ma t’esplode nel cuore tutto intero
una volta, per sempre: son sincero.

M’avessi come lapidato da lontano
tendendomi le braccia accorgiti che ti amo
cosa ancora Cristo per esser crocefisso
devo sanguinare per darti nettare trafitto
urlo d’un urlo squartato infranto
t’amo e non ho mai avuto voce per farlo.

ott 27, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Posso disturbare?

Altromondo di bagnoschiuma.Quanto vale?
Quanto vale il tuo sbatterti odierno per star dietro a quello che ora stai facendo?
Quanto conta il saper far bene un lavoro nel quale magari nemmeno poi ci credi?
O forse ora ne sei convinto, poi dopo saran giorni mesi lustri che ti lustri ti svegli una mattina e dici
ma cosa sto facendo
e tutto non ha più senso.
Ti accorgi d’esser uno che accumula per altri fingendo che fosse stato gratificante per te da anni.
E intanto non ti salvi.
O magari tutt’altro: fai un qualcosa che ti calza a pennello e te lo sei cucito addosso con tanto sforzo.
Sei a un punto della vita che ti permette di illuderti di saziarti.
E di colpo t’accorgi che da sempre ti sbagli.
Che l’impegno messo per arrivarci, sarò monotono, non ha più un senso.
Perchè hai buttato.
Lasciato poco agli affetti, al dono, all’amore, al bene.
E magari costretto a tagliarlo fuori dal consumo di energie che ti ha logorato il cervello.
Perchè consumistico, devi ed hai dovuto oliarti.
Prodotto interno lordo.
Buttalo nel cesso.
Tra cent’anni sarai biologicamente terriccio già spolpato e ricomposto dal grande ciclo.
Rimarrà di te la busta paga?
Il modello unico?
Il sette e trenta?
Per carità, tutti s’ha da campà.
E il lavoro nobilita l’uomo.
Ammirate i grandi statisti.
Osti. Quindi.
Il pane è un bene che ci fa campare.
Ma per averlo lo dobbiamo incartare, sfornare con l’impastatrice, portare a casa con l’auto e magari riscaldarlo col microonde.
Questione di fragranza, perdita di sapore.
Coinvolti in un gioco più grande.
Si potrebbero abbassare i consumi.
O bella, è arrivato il genio. Novità, novità.
Ci potremmo consumare meno.
Sarebbe meglio per tutti.
Io lo dico, fatene quel che volete.
Ma è da pazzi girarci intorno,
comprendere d’essere solo prodotti che producono
e arrivare alla fine senza essersi almeno posti il dubbio.
Potevo?
Posso?

ott 21, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Il profilo del tuo viso.

… però certe ragazze è meglio stringerle,
prima che il vento se le porti via…

I fili di seta non si spezzano.Papaveri.
Di un immenso campo.
Rosso d’un fuoco sparso brucia tutto attorno.
Nessun’altra ondulazione ma come lenzuolo distesa il tuo profumo che avvolge il mio corpo.
E’ qui che mi accogli. E’ qui che ti scopro e che da me ti sei stretta.
Sulla tua fronte, sotto la mia coperta.
Spensieratezza.
Sospesi a scambiarci un respiro in silenzio. Cerchi da dove provengo.
Cammino, in questo giorno.
E al lambire di quella gioia inizia la salita.
Collina ripiena di rami d’ulivi e grani paglierini.
Lieve, di seta.
Una dolce fatica costante al centro di due stelle cadenti.
E’ qui che mi prendi. E’ qui che ti abbandoni con me nei tuoi giochi.
In mezzo ai tuoi occhi, sotto la mia coperta.
Passo dopo passo sei al mio fianco.
Mi aspetti dopo ogni ritorno e la sera in cima a quel monte le tue mani giocano con le mie rime.
Finito il terreno guardo il cielo: è lì che ancora voglio arrivare.
E tu a cercar per me immaginarie scale, cingermi con le tue braccia da dietro le spalle.
Lo senti il mio cuore come pulsa sotto i tuoi palmi?
Ma l’aria già è fredda. Ripida la discesa in verticale.
La caduta fa male dall’alto del crinale.
Lontana, distante.
Di cobalto cielo che fugge eterno.
E’ qui che mi perdi. E’ qui che son disperso fuori dal tuo silenzio.
Sotto al tuo naso, sotto la mia coperta.
Non più te. Non più quel che ero convinto fossi me.
Vago nell’attesa senza la tua mano in un nuovo deserto.
Fino a quella duna, bagnata tanto da crederla miraggio.
Raggiunta, il mio cuore si fa coraggio e si abbandona in te come d’amore cinto.
E’ qui che mi ritrovi. E’ qui che non parlo.
Fra le tue labbra, sotto la mia coperta.

ott 16, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Spazzettone.

Strofinaccio
pulisco quel che son stato
slegato dal mio braccio
sbianco il passato
e sfrego senza rimedio.
Che genio.

Impregnato
mi immergo nel secchio
ne rimango imbrigliato
assorbo questo mio tempo
e non ne esco.
Sul serio.

Inutile erosione.

Arrabatto
sul pavimento disteso
ho perso il canovaccio
come fossi indifeso
e da me sguizzo.
Mi strizzo.

Asciugo
su mattonelle di cera
fra i bordi indugio
secco di creta
e compatto mi fingo.
Vinco?

ott 10, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Verde nei titoli di testa.

Tempesta.
Ho fitte
che trafiggono
questa mia testa.
Spade
allucinate
il mio male
non scompare.
Flash
di ricordi
smembrati
d’una serata
di gala.
Ovattata.
Ho fitte
che trafiggono
la mia veglia.
Fabbrico
mi sciolgo
e intanto
scorrono
i titoli di testa
dentro
la mia testa.

Verde
speranze
verde
acerbo
verde
risplende.
Ho fitte
che trafiggono
la tua esistenza.
Crollo
di te
io
non ho sonno.
E intanto
scorrono
nella mia
folle festa
i titoli di testa.
Si replica.
Passa la banda
rimbomba
piovono sogni
dentro la testa.
Verde
è la mia vita
in tempesta.

ott 7, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Tuo.

Matura
nel porticato delle vene
il succo tuo dell’ uva.

Rampicante
balli il tango tuo
attorcigliandomi danzante.

Scovami
nel labirinto tuo Edipo
e sfiancata amami.

ott 3, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Epitaffio sbrindellato.

Rigurgitano sbrodolando che fra un lustro colmeranno le antologie di quel che ho inchiostrato.
Paroliere scandagliato da altre menti analizzato.
Non comprenderanno quel che sono stato interrogandosi su quel che diverrò.

Sembra interessar poco
star qui sospeso
amarti
cullarti
sognarti
respirarti
irrequieto
e perplesso.

Vivo adesso.
Per te.
Non quando sarò ricordo.

ott 1, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

E la penso.

E ti sembra poco?Dice che mi veste di luce.
Che quando la guardo mi incanto.
E che succede di rado.
Questo è quanto.
Che modulo la voce a seconda del suo umore.
Che a seconda della sua attenzione io regoli le stagioni del mio cuore.
Che quanto di bello ho dentro
da lei finalmente è nudo, nervo scoperto.
Sesto senso.
Ah! Ma per favore.
Ti sbagli, io mi conosco e tu, amico, non raccontarmi.
Vuoi forse dirmi come mostrarmi?
Non mi inganni: lo fai perchè sai che non puoi raddrizzarmi.
Storto son nato e la retta non è per me cosa certa.
E’ solo che son distratto, in un vortice a girare impegnato.
E allora sto agitato e non so dove vado.
La mente dispersa in faccende complesse.
Ma è così da sempre.
In fondo mi conosci, sai che dai calzoni corti io costruisco mezzi ponti.
No, dico sul serio: non è per lei che son come assente.
Forse è un qualcosa che in questi giorni dentro mi prende.
Davvero, smettila di crederti dottore.
E togliti quel sorriso inquisitore.
Com’era quella storia delle altalene?
Vento in faccia e senza terreno ti senti contento.
Ma scendi, sali, ridiscendi e risali.
Ti sembra d’aver le ali.
E’ un turbinio d’eventi che altera i sentimenti.
Forse, amico, forse hai ragione.
E il mio cielo oggi è un’invenzione.
E il mio fiato sospeso in attesa di un suo sorriso.
E il mio bene è capire come starle vicino.
Forse, o forse nulla di tutto questo è vero.
Vivo incerto solo per me stesso.
Per il mio tempo in cerca di quel che sento.
Preso dal momento son rapito e ad altro rifletto.
Nessuno spazio per quel sentimento.
Resto al di fuori del cuore.
No, non ci entro.
Sto fuori, in silenzio.
Respiro freddo.
E la penso.

ott 1, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

E la penso.

E ti sembra poco?Dice che mi veste di luce.
Che quando la guardo mi incanto.
E che succede di rado.
Questo è quanto.
Che modulo la voce a seconda del suo umore.
Che a seconda della sua attenzione io regoli le stagioni del mio cuore.
Che quanto di bello ho dentro
da lei finalmente è nudo, nervo scoperto.
Sesto senso.
Ah! Ma per favore.
Ti sbagli, io mi conosco e tu, amico, non raccontarmi.
Vuoi forse dirmi come mostrarmi?
Non mi inganni: lo fai perchè sai che non puoi raddrizzarmi.
Storto son nato e la retta non è per me cosa certa.
E’ solo che son distratto, in un vortice a girare impegnato.
E allora sto agitato e non so dove vado.
La mente dispersa in faccende complesse.
Ma è così da sempre.
In fondo mi conosci, sai che dai calzoni corti io costruisco mezzi ponti.
No, dico sul serio: non è per lei che son come assente.
Forse è un qualcosa che in questi giorni dentro mi prende.
Davvero, smettila di crederti dottore.
E togliti quel sorriso inquisitore.
Com’era quella storia delle altalene?
Vento in faccia e senza terreno ti senti contento.
Ma scendi, sali, ridiscendi e risali.
Ti sembra d’aver le ali.
E’ un turbinio d’eventi che altera i sentimenti.
Forse, amico, forse hai ragione.
E il mio cielo oggi è un’invenzione.
E il mio fiato sospeso in attesa di un suo sorriso.
E il mio bene è capire come starle vicino.
Forse, o forse nulla di tutto questo è vero.
Vivo incerto solo per me stesso.
Per il mio tempo in cerca di quel che sento.
Preso dal momento son rapito e ad altro rifletto.
Nessuno spazio per quel sentimento.
Resto al di fuori del cuore.
No, non ci entro.
Sto fuori, in silenzio.
Respiro freddo.
E la penso.

set 21, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Disse: ‘Lei è tutto quello che io non riesco a essere’.
‘Strano’, pensai, ‘cercar altre forme e non accorgersi
d’ aver già quella che ai miei occhi la rende stupenda’.
E l’addormentai.

Buonanotte.

La distanza di una favola
raccoglie in un sussurro
la notte che ci travolge.

L’ attesa sofferenza
inebriata da quel punto
svanisce e già risorge.

Attendo la tua voce
improvviso ladro muto
barattandola di bisogno.

Anticamera d’amore
notturno ultimo saluto
su labbra da sogno.

set 17, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Allegro ripetuto andante. Ridondante.

Se mi vedessi correr per strada invocando a un passante di darmi un nome
se la smettessi una buona volta di non considerar mute le persone che pensano
se davvero fosse davvero così e ti servissero solo i contabili da far quadrare i polli
come ci staresti, tondo spremuto?
Cosa è, sono che cosa?
Tu, che ruolo hai?
Come ti va il lavoro?
Sempre lo stesso giro?
Che pensi di me? Di te?
Chi si ricorderà dei tuoi andirivieni?
Del tuo modello di ultima stella,
del tuo finanziamento meteora.
Senza prosa, senza rima
non saresti che nuda, terra.
E poi cosa?
Chi ti ha chiesto poi niente
da dirmi
da darmi
mi sa che anche tu
stringi stringi in mano hai sete.
Quanto bene conosci gli altri?
Quanto bene hai da darne agli altri?
Che ti passa per la testa amico in questi giorni?
Dov’eri ieri? E dieci anni fa?
Te lo ricordi com’è passato in fretta quel che deve ancora venire?
Quanto pensi di star sospeso ancora e quanto pensi ancora di averne?
Decidi decisioni di quel che neppure conosci.
Andiamo, stasera sono ubriaco.
Allegro.
Ho in testa del gran peso,
tutto il maledetto peso del tuo girotondo dentro la mia testa.
E traballo.
Sbiascico.
Sbavo.
Ho capito tutto sai?
Togliti la maschera. Toglitela ho detto.
Altrimenti domani mi sveglierò e ce l’avrai ancora addosso.
E me ne scorderò, maledetta memoria.
Toglitela, mondo.
Toglitela adesso.
Togliti la maschera.

set 17, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Allegro ripetuto andante. Ridondante.

Se mi vedessi correr per strada invocando a un passante di darmi un nome
se la smettessi una buona volta di non considerar mute le persone che pensano
se davvero fosse davvero così e ti servissero solo i contabili da far quadrare i polli
come ci staresti, tondo spremuto?
Cosa è, sono che cosa?
Tu, che ruolo hai?
Come ti va il lavoro?
Sempre lo stesso giro?
Che pensi di me? Di te?
Chi si ricorderà dei tuoi andirivieni?
Del tuo modello di ultima stella,
del tuo finanziamento meteora.
Senza prosa, senza rima
non saresti che nuda, terra.
E poi cosa?
Chi ti ha chiesto poi niente
da dirmi
da darmi
mi sa che anche tu
stringi stringi in mano hai sete.
Quanto bene conosci gli altri?
Quanto bene hai da darne agli altri?
Che ti passa per la testa amico in questi giorni?
Dov’eri ieri? E dieci anni fa?
Te lo ricordi com’è passato in fretta quel che deve ancora venire?
Quanto pensi di star sospeso ancora e quanto pensi ancora di averne?
Decidi decisioni di quel che neppure conosci.
Andiamo, stasera sono ubriaco.
Allegro.
Ho in testa del gran peso,
tutto il maledetto peso del tuo girotondo dentro la mia testa.
E traballo.
Sbiascico.
Sbavo.
Ho capito tutto sai?
Togliti la maschera. Toglitela ho detto.
Altrimenti domani mi sveglierò e ce l’avrai ancora addosso.
E me ne scorderò, maledetta memoria.
Toglitela, mondo.
Toglitela adesso.
Togliti la maschera.

set 9, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

… where do we go, nobody knows.
I’ve got to say i’m on my way down
god gave me style and gave me grace,
god put a smile upon your face…

Aspirina.

Sbuffo, è il mio viver odierno bislungo
mi sorprendo agitato di seta il lenzuolo
come al vento non piegato storpio giunco
dado ruotato e posizione che non trovo.

Segnali, asfalto bagnato stavano incanalati
senza una mappa la credevo orizzontale
semplice, quella ieri, e dritti paralleli i binari.
Vita: mia senza di lei sei in caduta verticale.

Mancanza, quel che non si stringe
sfugge sotto pelle fino al basso ventre.
Bisogno d’aspirina di rosso mi tinge,
spicchio di sole fra verdi lancette.

Amore, in questa tempesta di san Silvestro
da poco innaffiata con grandi occhi
sei sempre equilibrista goffo e maldestro,
ma sopra un filo che lega due cuori.

set 9, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

… where do we go, nobody knows.
I’ve got to say i’m on my way down
god gave me style and gave me grace,
god put a smile upon your face…

Aspirina.

Sbuffo, è il mio viver odierno bislungo
mi sorprendo agitato di seta il lenzuolo
come al vento non piegato storpio giunco
dado ruotato e posizione che non trovo.

Segnali, asfalto bagnato stavano incanalati
senza una mappa la credevo orizzontale
semplice, quella ieri, e dritti paralleli i binari.
Vita: mia senza di lei sei in caduta verticale.

Mancanza, quel che non si stringe
sfugge sotto pelle fino al basso ventre.
Bisogno d’aspirina di rosso mi tinge,
spicchio di sole fra verdi lancette.

Amore, in questa tempesta di san Silvestro
da poco innaffiata con grandi occhi
sei sempre equilibrista goffo e maldestro,
ma sopra un filo che lega due cuori.

ago 19, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Se conto i miei passi.

Qui non c’è via d’uscita
questo è un labirinto cieco
ovunque io orienti il mio cuore
da te non so uscirne.

Qui non c’è altro sole ad allontanarmi
da una terra che profuma
se conto i miei passi
quelli tornano da te.

Guardavo fotografie
le tue
le toccavo
a farle mie.
Sorridevi.

Signore
che c’è di più grande?

Spolvero piume
dalle mie spalle
non sono mie
ma cadute
su di me.

Sei una sola splendida strega
che fa magie dentro me.

E se il giorno non mi lascia andare
senza voltarmi
a sperare nel tuo abbraccio
a lasciarmi qualcosa di te

e se la gente non vede niente
se la via al cuore resta sbarrata
tieni tu la chiave
chiudi
a triplice mandata.

Miracolo
si chiama così
la prima apertura degli occhi
la mattina.

Quando accarezzo le tue ciglia
fai magie dentro me.

ago 19, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Se conto i miei passi.

Qui non c’è via d’uscita
questo è un labirinto cieco
ovunque io orienti il mio cuore
da te non so uscirne.

Qui non c’è altro sole ad allontanarmi
da una terra che profuma
se conto i miei passi
quelli tornano da te.

Guardavo fotografie
le tue
le toccavo
a farle mie.
Sorridevi.

Signore
che c’è di più grande?

Spolvero piume
dalle mie spalle
non sono mie
ma cadute
su di me.

Sei una sola splendida strega
che fa magie dentro me.

E se il giorno non mi lascia andare
senza voltarmi
a sperare nel tuo abbraccio
a lasciarmi qualcosa di te

e se la gente non vede niente
se la via al cuore resta sbarrata
tieni tu la chiave
chiudi
a triplice mandata.

Miracolo
si chiama così
la prima apertura degli occhi
la mattina.

Quando accarezzo le tue ciglia
fai magie dentro me.

ago 9, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Haku Lei.

Accaldato al tempo che non un lume è sorto,
al fresco il terreno frastaglia con garbo secco
ondeggia d’assorto nel suo frumento attorno
senza comprender il ciclico paglierino deserto.

Annusa cercando vano umido fra le sue radici
stanco d’esser lì disperso eterno faticando:
imperlati di sudore i calli dei polpastrelli incisi
ancor spande con vento di roncola il canto.

Mentre s’asciuga la fronte d’una saliva lontana,
l’occhio attorno vitreo in cerca di se stesso,
dal nulla come contrasto d’acqua fresca e vana
s’irradia dal monte a nasconder le stelle con l’universo.

E’ luce. Improvvisa. Gioisce.
Carezza ad una ad una le spighe. Amore.
Lambisce il suo corpo. Poi: sparisce.
Va a posare l’alba coprendola di calore
poco distante in un altro campo. E lì: finisce.

Quando tutto di forma ha senso
s’ammuta di vita e riempito corre
appresso a quel fuoco denso,
ma giunto accanto al limitar soffre
come inebetito, sorpreso e perso.

Si ferma, accorto d’istinto d’esser seguito:
da un sentimento nuovo ora osservato.
Per resistenza che faccia è di certo colpito
da sensazione di guardia che mette a disagio.

Infine prende coraggio e s’avvicina silente
circoscritto furtivo in cerca del nuovo ardore.
Giunto ad un sospiro di distanza latente
allora s’accorge di quanto vano fosse il dolore.

L’angoscia del suo vivere disorientato e incerto
si tramuta d’immenso profumo di stupore
quando comprende che quel bagliore perfetto
altro non era che un fragile unico girasole.

ago 1, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Ferro lavorato.

Voglia d’uragani.
Spazi aperti, cieli, voli inattesi, campi. Girasoli.
Luce che ti entra dalla finestra, improvvisa, da conoscienza.
Luce calda che ti scalda che ti abbaglia come di schianto ti avvolge e ti ammanta di calore.
Voglia di andare senza corde per non legare ma solo un filo sul quale poter camminare e lasciarti trasportare, attirare.
Vicino, sempre più vicino a quel che è il destino, svicolo di traverso attraverso il ventricolo e l’arteria.
Si va via in partenza di nuovo per il mondo a coglierne l’essenza.
Si parte: un treno, un nuovo cappello, un viaggio. Come fosse cosa naturale.
Un’altra volta a metter passi innanzi ad altri passi, cercare il tuo ritmo, confondere e alternare paesaggi dal finestrino.
Soffermarsi un solo istante, eterno, uno solo, quello che mai dimenticheresti nemmeno a volerlo, ad ammirare ferro lavorato divenire oro colato sotto un cielo di stoffa pregiato.
Andare, voce del verbo contrapposta al pensiero, scritto, fermo.
Viaggiare di nuovo ma con in valigia una piantina.
Da ricordarsi che le radici son da mettere presto o tardi.
E che per quanto tu possa andare avanti scoprire che in fondo si è sopra un tondo e più continui ad andare più ti accorgi di ritornare.
Non è nulla di sbagliato,solo sei umano: ci sei nato.
Irrequieto sempre stato ora forse è tempo di guardarsi dentro.
Esser sicuro d’aver tutte le ossa numerate nel giusto senso ed accorgersi che il cuore sta di un bene che a metterlo in rima dall’emozione non te ne verrebbe un verso.
Si parte, quindi, con rotta tracciata e la cartina segnata. La meta ora si conosce, attende ansiosa che mi gusti il panorama.
Lentamente si va a respirarne il profumo di rosa di questa vita, come tirando una coperta e sotto chissa cosa ci si trova.
Ecco: il destino lui può dirtelo di esser seme destinato a diventare un solo splendido fiore.
Piglialo in giro, se ti pare, ma quello c’ha ragione.
Solo intanto ho deciso, vado.
Ma per la strada, per crescer meglio, mi innaffio con un po’ d’acqua.
Mi fa star meglio, mi fa star sveglio, a guardar dal basso in alto un cielo così immenso.
Mi fa pensare a quali meravigliose stelle lungo il cammino ti riserva l’universo all’improvviso. Come perle.

lug 25, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Senza averne le premesse.

Signore mi passa il pallone?
E io l’ho guardato che non avevo trent’anni
una storia di balli, canti e tanti, tanti sbagli.
Spuntato lui immobile come uscito da un cespuglio
io forse nascosto, chi lo sa, nel solito inutile dubbio.

Signore, per favore, il pallone!
Non c’era altra gente, solo il mio sguardo assente
e il mio cammino sorpreso da quell’ostacolo indifeso.
Come compreso in quell’istante solo dov’ero
mi son chinato a soppesare quel dono al terreno.

Signore, signore, il pallone!
Ad altezza di bimbo ho alzato lo sguardo, impaurito:
il mattino come tempo infinito ed il cielo mai così sereno.
Tutto era immenso, da non comprenderne il senso
e per un attimo, sincero, m’è parso di vedere un arcobaleno.

Signore, me lo ridà il pallone?
Allora mi son chiesto che senso ancora avesse
continuare a fare il grande senza averne le premesse.
Ho raccolto la sfera, quel che di me ancora ce n’era
e ho chiesto al mio piccolo Dio:’posso giocare anch’io?’

lug 21, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Meno Indigesto.

La bambina giocava con le biglie.
Ma non erano biglie di vetro.
Erano gli occhi del coniglio che sua nonna aveva appena ucciso e scuoiato.
Ciao ciao coniglio, diceva la bambina, adesso vai in padella e ti mangiamo.

Non sono parole mie.
Sono di chi vive sfiorando la vita.

Lieveansia scrive
di quel che in fondo non c’è da scoprire.
E’ li sotto gli occhi di tutti, anche i tuoi.

Traspare come carta velina
come pellicola trasparente
leggera
invisibile
che esiste
t’avvolge
e resiste
resiste
resiste.

Solo che troppo spesso
questo sentimento
beh se ne va
come perso.

Lieveansia fa questo:
ti ricorda che
qualcuno ti guarda
ti osserva
e lo fa con dolcezza.
Infinita.

Poi
ne scrive.

lug 19, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Tutti giù per terra.

Qui sulla panchina di viale Speranza del Parco di Bloggolandia.
Esterno sera, direbbe Strelnik. Sottofondo: My Way – Sinatra.
Un uomo incorniciato e un’altro a fianco che con la punta dei piedi giochicchia con un Pallone.
Son passati dal via, e son quasi alla fine del giro: han ritirato le ventimilalire e ora discutono sulla posta in palio. Prima del traguardo.

Insomma a uno dei due gli è uscita la frase che la gioia nasce dalla finzione.
Marco l’ha pronunciata, per la precisione.
lo, a Marco, lo ammiro: forse perchè sotto sotto latente sento un punto focale diametralmente opposto alla concezione che ho di questa mia vita, ma nello stesso tempo così vicino.
Che per me è felicità, e di questo ne sono assalito.
Che non nasce dalla finzione. Punto.
Ora servitemi le repliche, poichè già ho dibattuto varie volte e molte di più ho ricevuto sguardi da amebe.
Realizzazione d’una coscienza dell’esistenza, portata dietro da chissà quale passato leopardiano.
E condita da beni patinati solo per esaltare quel che vorremmo essere e che mai saremo ma che nel mentre ci illudiamo di finger d’essere.
Io sono l’incastro stampato male.
Riverenza.
Non mi adatto, non mi riconosco.
Ossequi.
Forse faccio davvero parte di un altro mondo.
Sono consapevole di non c’entrare niente.
Guardo gli sboroni e non mi ci ritrovo.
Guardo i capi coi soldoni e non ne vedo un senso.
Guardo le chantose in cerca di uomini + carriera + Porsche carrera e non mi riesce di capirne il metro.
Guardo le ragioni di troppe esistenze che non si accorgono d’esister per niente.
Chiedo: a cosa aspiri? Ma che t’aspiri? E mi viene una crisi di rigetto.
Finzione per me che non sono attore è quella di una vita senza essenza.
Ma non è felicità per me: solo modellata non emozione perversa.
Teleguidata, dissacrata guidata da un profumo di pifferai magici col loro flauto verde oro.
E tu
depressi
perchè
declassi
e pensi
di non aver classe
e non t’accorgi
di quanto vali
perchè da nato
t’han già tranciato le ali?
Corri, corri corri e non sai neanche dove vuoi arrivare.
Di la verità: lo sai?
Ti fermassi un momento ad ammirare, ad ammirarti, forse mi capiresti. Ti capiresti.
Ma è difficile dirlo alla gente quando a quella non gliene frega niente.
E se lo fai, se ci provi intendo, sconforti.
Nessuno a spiegarti, nessuno a disincastrarti.
E rinneghi credendo che il tuo male sia sintomo d’infelicità.
La gioia, e mi dici, nasce dalla finzione.
Sbagliato.
Sbagliato Marco.
Sbagliato Marco o come ti chiami tu che mi stai leggendo.
Sbagliato, per me che non sono niente.
Io traccio la mia linea per terra e da qui parto, anche solo.
Controcorrente se occorre darti la scossa.
Pigliatemi a randellate col ramazzo se pensiate che sia un pazzo.
Fate pure, io respiro.
Con un bacio.
Ci sono abituato.
A continuare a dire che la felicità nasce dalla finzione, questa è vostra discesa semplice nell’ammettere a voi stessi che solo la sofferenza produce esistenza, che da un parto di dolore se ne viene al di qua e col dolore si trapassa al di là.
Ma non è la nascita conseguenza del massimo affetto?
E l’accarezzare un bimbo, comporre parole, vedere il sole: ma quale finzione?
Così liberi di compatirci non ci accorgiamo di imprigionarci in questo schema e non assaporiamo senza coraggio come anche il dolore è fonte amara di bellezza?
Ah, che parole scandalose, ma come si permette, ma chi è questo signore?!

Non avevo la gioia accanto a me da sempre.
Poi un giorno che non vuol dire niente, la svolta.

E da allora mi son messo ad amarlo questo mondo, partendo dal lato più oscuro, mi si conceda il termine, dal buco del culo.
E da li sono riemerso, e ora anche se sto male, trovo sempre un pensiero che ribalta il mio vero.
Rivoluzione, dicon le Contesse.
Costa fatica, ma da soddisfazione.
Prima le signore. E i bambini.
Guardate i bambini, e trovatemene la finzione.
E se non la trovate, ammirateli per ore.
Non sò che altro dire, se non che vorrei convincervi uno per uno ad amare questo mondo,
alzarvi la mattina,
incazzarvi come me per qualcosa che va storto,
ma subito ricordarsi che in fondo,
al massimo, fra cent’anni,
non saremo che ricordi.

- Andiamo?
- Andiamo.
Si alzano, pigliano pallone e quadro, e se ne vanno a bere una birra assieme in quel locale scarno.

lug 16, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

A passo di danza.

Scusate se mi intrometto, ma è che mi serve un altro cappello.
Quel che avevo sopra la testa la notte scorsa ha preso il volo, come non chiesto.
Ero li in quell’attimo che non è un sogno ma parte da quell’ estremo comune bisogno.
Ero come rannicchiato in un me stesso dagli occhi chiusi, ristretto, a pensare che in fondo questo mio modo di vita mal si adatta a tutto il resto quando all’improvviso Pum!
Quello se n’è andato.
Potrebbe sembrare un caso: un diavolo dannato che per sberleffo si è fatto gioco dei miei dilemmi credendo bene di toglierne il coperchio.
Oppure un bimbo che così m’ha visto: per un istante smarrito senza sorriso al bordo del precipizio.
Avrà pensato bene di fare il coraggioso: scalar dal nulla il mio corpo, arrivarmi vicino ai pensieri e furbetto togliermi il mio accessorio da pescatore quando piove.
O quando c’è il sole.
O guarda: il sole.
Fatto sta che ha preso il largo, questo mio paravento da Santiago.
Se n’è andato.
Ed io non l’ho visto mentre rotolavo.
Mi giravo: voltavo le spalle e quasi correvo a perdifiato.
Mi piace ora pensarlo appoggiato in testa ad un’altra festa: insomma quel suo blu naturale che m’aveva contraddistinto ora forse è ridipinto.
D’una gioia diversa adesso ne è ornamento: come tocco finale di un dolce sentimento.
Quindi,scusate, ma c’ho ripensato: non ne ho più bisogno.
Sapete cosa vi dico?
Per me è solo andato a farsi un giro.
Magari un giorno ritorna: in fondo chi di noi non sogna?
Dopotutto, domani è un altro giorno.

lug 12, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

…And I’m calling all angels
I’m calling all you angels…

Un bacio per ogni respiro.

Tenetevi pure questro vostro intero mondo,

col suo respiro sempre in affanno, rotondo.
Pigliatevi il mio pranzo e tutto il mio cibo intavolato,
ve lo lascio col suo respiro trangugiato.
Afferrate svelti questi libri che vi butto,
col loro sapere di un respiro antico e lungo.

Perchè da oggi più non mi interessa,
ho una perla sotto la mia coperta
che mi crediate o meno non ha importanza
io da oggi vivo davvero senza aria
che non mi serve più prendere fiato,
da quando l’ho vista me ne sono scordato
nato di nuovo ora io vivo
con un bacio al posto di ogni respiro.

Vi lascio il sorriso come cura di un’ anima pazza,

col suo respiro incastonato fra le labbra.
A voi ogni bimbo e i loro grandi sogni,
imparatene il respiro come fiori non ancora colti.
Prendetevi il cielo, la nuda terra e chi la calpesta,
con i suoi respiri nei giorni di festa.

Perchè da oggi più non mi interessa,
ho una perla sotto la mia coperta
che mi crediate o meno non ha importanza
io da oggi vivo davvero senza aria
che non mi serve più prendere fiato,
da quando l’ho vista me ne sono scordato
nato di nuovo ora io vivo
con un bacio per ogni respiro.

lug 10, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Come un inizio di prurito.

C’è qualcosa che non mi piace.
Sarà questa tastiera nera con piccole lettere sparpagliate.
Può darsi: in effetti caratteri così messi sembrano dispersi e la logica di Qwerty signori miei è solo profitto di un mezzo troppo veloce per apporre inchiostro e quindi messo destinato al rallentatore, per fare uscire meglio le parole.
No, in fondo questa tastiera mi piace: meglio della penna del foglio e delle sbavature che ti sporcano sempre sotto il mignolo.
Sarà questa finestra che nella mia stanza sembra mal messa.
Intendiamoci: una lode al carpentiere che sicuramente ha fatto il suo dovere.
E’ in livella tosta e in bolla e da questo muro di certo nessuno la schioda.
Sarà colpa del paesaggio: me lo fotografa di sghimbescio e solo in parte.
Dovessi svilupparla in negativo sul nastro accanto ad altre finestrelle questa mia si infrange d’un pezzo sul muro dell’edificio di fronte che per un quarto mi porta via il pensiero senza alcuna possibilità che un lungo muro da sclero.
No, ma dai, a guardarla bene mi piace questa entramondo.
Al di là del vetro c’è anche uno scorcio verso la città più alta: insomma si vedon le mura e anche un tramonto e quando la luce riflette sul muro prima di scomparire crea sempre un disegno e sempre diverso.
Sarà questo mio appartamento che d’estate è sempre così caldo da bollirci dentro.
Non appena entro a casa mi sento cibo lesso e mi vien di rigetto da scappar via al più presto: non c’è peggio di viver proprio sotto il tetto che filtra tutta la calura la espande e te la serve con le tue guance a far da cotolette.
No, però davvero: la mia tana mi piace son sincero.
I miei scaffali, le mie voglie, i miei angoli nascosti e le abitudini fra le mura: insomma a metterci piede m’accoglie sempre come un nido e mai una volta che m’abbia respinto con un gelido respiro.
C’è qualcosa che non mi piace.
Da venirmene come un inizio di prurito.
Sarò micca io
allergico al mio io?

lug 9, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Pulsazioni minime.

O guarda:
il sole.

Sono cullato di notti insonni
evaso da ghirigori diurni
come ricerca infante d’affetto
che sfiora distante
e sempre sorprende.

Ogni alba
è un momento
che passa presto.

Scorre il suo tepore
contandomi le ossa
una volta baciato il calore
scappa lasciandomi senza.

Con la terra
che mi resta
io non ho confidenza:
resto fermo
con me stesso
e non ho altre parole.

O guarda:
il sole.

lug 5, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Il chiodo che regge lo specchio.

Ti verrà da scrivere del tuo fottuto amico Dolore
chiederai indietro quel che non sai come hai disperso
una volta lontano dalle tue pose da fallito attore
cercherai quell’ amore che un tempo ti era concesso.

Lacrimeranno senza vergogna ripensando a quel momento
in cui potevi tornare abbandonando il tuo prezioso orgoglio
quegli stessi occhi che d’arroganza han gettato tutto al vento
trasformando in un infinito incubo quel che era il più bel sogno.

Conoscerai non chiesti quegli angosciosi risvegli
sul cuscino il tuo tormento a farla da padrone
nelle notti insonni che ti lasciano invisibili segni
non troverai altro conforto che il tuo gelido sudore.

Di quel male che traspare non te ne farai ragione
fin quando in silenzio ai piedi di quello stesso letto
capirai in un istante da dove viene quel dolore
fissando il chiodo che alla parete regge lo specchio.

giu 30, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

>

Paradiso Indemoniato.

Per capire la banda devi avere in testa il senso del ritmo e per scioglierti questa storia addosso devi saper battere di mani al colpo giusto della gran cassa: non un secondo prima e non un accordo dopo.
Puoi anche agitar la testa dondolandoti al ritmo di un rift ossessivo se può aiutarti ma l’importante è avere sempre in testa il senso del ritmo. Sempre.
O ce l’hai o è meglio che lasci perdere perché vedi, amico, qui tutto ruota attorno al quattro quarti.
E non parlo solo della musica, intendiamoci. Anzi.
Quel che ti racconto, è da crederci, parla di corpi, sudore, mosse, ammiccamenti, sguardi, pensieri, idee, trasgressioni: tutto messo su spartito al caro buon vecchio tempo del quattro quarti.
Uno, due, tre, quattro. Via
E si comincia.
Di solito all’inizio ce la si prende calma.
Come un motore a scoppio che ancora non deve farsi accorgere del suo fragore: si trattiene ma tu sai che prima poi esploderà. Te lo fa intuire.
E tu gusti il momento. L’attesa.
Lo fai grazie a loro, che sono già di fronte a te, pochi centimetri più in alto, lì sul palco.
Loro sono importantissimi.
Sono quelli da un passo dietro, quelli che ti introducono, che ti dicono chi sono e cosa stanno per fare e che tra poco ti fanno credere arrivi uno che ti porterà via l’attenzione e ti trascinerà sempre più velocemente attaccato alla fune roca della sua voce.
E non avrai alternativa se non quella di cantare e dimenarti e ballare come un ossesso, unoduetrequattro urlare e sperare che mai possa finire questo divino nettare di tromba sax rullante guitar cori Rhythm ‘n’ Blues mio dio che spettacolo!
E invece tutto deve ancora iniziare.
Potenza della band.
E sono ancora lì come bottiglia agitata da stappare che punta dritta il suo tappo sulle scarpette leggere di piedini che salgono sul palco e ti cominciano a sussurrare tra poco baby canterò con le mie due amiche qui sai, ma che fai? Ancora non gemo e tu stai sbiascicando ammiccamenti andiamo darling guarda il nostro balletto guarda com’è perfetto ed è solo per te che andiamo avanti e indietro stando sempre qui per te, solo per te si agitano queste mani che salgono alla nostra voce sexy. Una, due.
Una, due. Una due.
Una due tre e mio dio che venga presto il quattro.
Rullata. E si continua, col ritmo che lento comincia a trotterellare e i fari a puntare quel che da collante deve fare.
Arriva sul palco ma di lui sai già tutto: che gli strumenti te l’hanno già fatto cantare ancor prima d’iniziare.
Sai cosa farà e sai che non ti deluderà.
Così quando lui sale completa un quadro che a vederlo è una gioia per le orecchie: voci chitarre fiati e percussioni pronti a dar vita a quel che più non si riesce a trattenere.
Uno due tre quattro. Via.
Esplosione. Stordimento. Voglia di non star fermo.
Ti hanno portato, amico, nel loro paradiso indemoniato.
E ci stai di un bene, ma di un bene, che la lussuria del momento non la venderesti a qualcun altro nemmeno per quattro preziosi denari.
Uno, due , tre , quattro.
Ma che, sei matto?
Ora che ce li hai li davanti, questi angeli strapazzati di blues and soul che gli scorre nelle vene, sai che ti dico amico? Balla, che ti conviene!
Lasciati trasportare che questo nettare di note una volta provato sarà la tua perversione e una volta in circolo non ti permette più di star fermo.
Inchino, riverenza, sorriso e dolcezza.
Trasgressione, energia, passione e tachicardia.
Spettacolo, divertimento, affiatamento e tutto il resto.
Uno, due, tre, quattro.
Amico, lo vuoi un consiglio da amico?
Se non hai più d’una vita a disposizione vacci ad un concerto dei Black Sound Machine.
Se ne hai più d’una, che ne so, due, tre, quattro, allora ne hai, del tempo.
Ma mai come il loro, di tempo.
Uno, due, tre.
Pausa.
Che sul finale fa sempre un bell’effetto.
Quattro.

giu 28, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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A nulla interessa.

Noi giocolieri sul filo delle ombre di parole
scriviamo da sempre per altrui vite da dipanare:
siam quelli che in fondo nessuno li vuole
poichè spietati, distratti e sfacciati da far male.

Cerchiamo rabdomanti quel tuo profondo pozzo
al limitare della tua futile corte con attrezzi da villani
te lo mostriamo infine d’un nero rozzo e profondo
sporcandoti l’anima con le nostre unte mani.

Scacciati da un regno dove pensare non è concesso
reietti da un sovrano ignaro, beato e senza testa
ci siamo trovati ai margini di un falso limbo perfetto
portando a spasso quel macigno con scolpito ‘Tua Coscienza’.

Mosche bianche a disturbare anche il sonno più profondo
non v’è ne è più di uno per fiume che torna alla sorgente:
libero d’essere vivo a loro mi unisco lasciando il solco
che non son l’ unico salmone ad andar controcorrente.

giu 26, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Come un angelo senza ali.

Dalla parte opposta alla fine della strada
ti osservo raccoglier pezzi di una vita passata
e me ne sto come sempre distratto in silenzio,
mentre ti ho difronte insicuro penso
che agli occhi di un cieco seppure per sbaglio
donata la vista non si resiste all’abbaglio.

…i miei passi coi tuoi passi
abbracciati in un istante
ma subito scomparsi…

Accade svoltato l’angolo
di non averti più nei sensi
all’improvviso sentirti senza averti
di corsa tornare indietro
urlando che ti amo
ma tu già non ci sei
e io sto gridando invano.

Sto ancora dall’altra parte della strada
ma non è come prima tornare a casa:
andare avanti senza fari
come un angelo senza ali.

giu 25, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Meno Indigesto.

…Il problema è che adesso lui
sa che cosa sta facendo,
sa che cosa gli sta succedendo,
sa di essere null’altro che un fottuto ingranaggio…

Non sono parole mie.
Forse non sono nemmeno sue.
Passano attraverso Bob
e ti arrivano dritte lassù sopra gli occhi.

Livefast scrive
che tu pensi.

Scrive
che tu fai su e giù come un somaro
annuendo
di quel che magari già sapevi
ma non avevi davanti uno specchio
per capire che si parlava di te
come soggetto.

Legger righe pensando ad altri
evitando introspezioni
è più leggero
indiretto
meno indigesto
nei confronti di te stesso.

Lifefast non fa altro che questo:
rifletterti il sole in faccia
e farti scoprire quanto sei bello
che anche se la luce abbaglia
ti capisci in un momento.

*A parlar di rime smosse mi viene in mente anche Pizia che con un colpo d’autore ha risposto da par suo a chi pensava di menarla per l’aia ed invece s’è ritrovato com’era prevedibile col pane in mano al posto della focaccia.

giu 24, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Oscillando come un pendolo.

…Carceriere di me stesso
con la chiave in tasca invoco libertà
ma per adesso so che questa cella
resterà sprangata a triplice mandata dall’ interno:
sono l’anima dannata messa a guardia del mio inferno…

Le parole che fan male, chissà da dove vengono.
Quelle che ti prendon di sorpresa, che ti feriscono al petto.
Quelle ingrate, non volute, non giustificate.
Quelle lì insomma: fanno un male cane.
Chiamando ‘incroci’ le persone che incontri, hai sempre due scelte difronte da porti: o tenti di seguirne il percorso per posare la tua cesta di bene sul suo cammino o te ne vai in direzione opposta senza nemmeno cercare di capirle e le lasci affidate al loro destino.
A me, qualcuno di imperfetto, ha insegnato che la prima scelta non è mai in difetto.
Intendiamoci, non è sempre stato così: un tempo ero odioso, arrogante, presuntuoso e tiravo dritto per la mia strada fino a che la vita non mi ha presentato il conto.
Ora, passati degli anni e invertita la rotta, pagato pegno e cambiato il mio pensiero cerco sempre di tirar fuori il meglio alle persone che incontro lungo il sentiero.
E mi sono accorto che fa bene al cuore: al mio e a soprattutto a quello a cui si dona amore.
Ne sono così convinto che non ho più voluto tornare indietro, anche se lo ammetto è più faticoso e sarebbe mille volte più facile inserire la retro.
Questo perchè m’è successo d’incontrar quest’anima, che non posso credere sia poi così malvagia.
Scontrosa, irascibile e incazzata con il mondo, mi s’è scagliata addosso senza che potessi rendermene conto.
Senza nemmeno un motivo apparente, ferito da parole come sassi son rimasto così, impotente.
A far esame di coscienza non trovandone una ragione avrei dovuto reagire scagliando pietra contro pietra.
Ma son convinto che a poco sarebbe servito, se non a peggiorare una incomprensibile situazione con una ancor peggiore reazione.
Così mi son detto: bisogna far qualcosa, capir questa persona.
Le ho parlato e le ho chiesto il motivo del suo gesto.
Ho provato a domandargli se ero io quello sbagliato e nel caso di spiegarmi dove e come avrei potuto migliorarmi.
Per risposta ho avuto un biascicare quasi muto, un ‘insensata motivazione che proveniva da un suo male interiore e un richiudersi in se stessi a muso duro che ci mancava solo un ‘fatti i cazzi tuoi’ unito ad uno sputo.
In conclusione a cercar di capire la gente, a volte per paradosso quella s’offende.
E reagisce di scorbuto con parole che fan male se gli tendi una mano d’aiuto.
Per fortuna lo so, al mondo non si è tutti modellini fatti dello stesso pongo.
Percui bandiera bianca ancora non la sventolo, convinto come sono che a capire le persone ci si sente come un pendolo.
Oscillando tra chi, aperto, ricambia il tuo sorriso comprendendone il gesto e chi, chiuso, purtroppo ha bisogno di maggiore affetto.

giu 18, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Tolta una rotella.

Correvo veloce sul mio bolide a tre ruote
nel cortile sotto casa un gran premio immaginato
sui pedali la voglia di raggiungere il sole
e nei sandali di plastica granelli d’oro colato.

Acerbo di vita la soglia del mio dolore,
novizio, diretto, da puntura immediato
non era che il morso di un calabrone:
neanche sentirlo che già era passato.

Tolta una rotella al mio finto locomotore
ho sbuffato e faticato per riprendere fiato
senza limiti al mio palcoscenico d’attore
senza binari a trattenermi incanalato.

Ora che non mi importa d’essere il più veloce
spesso ammiro la strada lungo il cammino
non so se sia la scelta peggiore o migliore
ma quel gran premio lo lascio vincere al destino.

mag 30, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Segnale d’attesa.

Smettetela di chiedervi
il perchè.
Altrimenti vi fornisco di crema antirritante per l’epidermide dei sentimenti.
E non chiedetelo nemmeno più a me,
che come voi non sono di certo il custode
di imponderabili inutili risposte chiarificatrici.
Ma siete già lì a ricominciare,
a riattaccare coi vostri

perchè l’hai fatto
perchè l’ho fatto
perchè è successo
perchè non gliel’ ho detto
perchè l’ hai scritto
perchè esisto
perchè proprio a te
perchè è toccato a me
perchè è cambiato
perchè se n’è andato
perchè non è tornato
…perchè non dici nulla…

perchè perchè perchè.

Che a cercarlo poi, questo perchè, tanto non lo trovate.
Perchè
non esiste.
Mi pare un concetto semplice, no?
Succedono cose che uno le fa
punto
e a capo.
E quasi sempre son le migliori.

mag 29, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Le cinquecento buche.

Un secolo fa, pulcino implume, correvo alla scoperta della grande mia capitale.

Arrivavo protetto da un finestrone da pullman sgranando gli occhioni fin dall’imbocco del raccordo anulare.
Io, bimbo sul lungotevere, mi soprendevo a pensare: è giusto, sarà Capitale perchè ci sono più automobili in giro rispetto alle quattro che scorazzano su e giù nel mio paesello e che al volante hanno sempre la stessa gente.
La stessa gente…
C’era il Fausto, il panettiere: guidava il Fiorino del pane sempre bianco e profumato.
Mi ricordo del Brughì, che girava con una 127 rossa con la targa scassata legata al cofano con un pezzo di spago e aveva sempre caramelle sul cruscotto.
Il Marletta invece passava il sabato col furgoncino Volkswagen dai fari rotondi. Faceva il fruttivendolo ambulante.
Come clackson aveva una di quelle trombette con la palla di gomma nera attaccata all’estremità.
Lui schiacciava due tre volte il posteriore e quella docile starnazzava.
Era il segnale: mia madre sentendolo arrivare scendeva nella piazzola, cortigiana assieme ad altre donne del quartiere spuntate dal nulla sempre e chissà da dove.
Il Marletta posava arance e mele sulla vecchia bilancia a mano e faceva sempre il prezzo che voleva grazie alla velocità con la quale faceva finta di pesare.
Credo sia morto poi. Di cosa o come, non l’ho mai capito.
Infine c’era il vecchio Giampiero , il benzinaio che stava sempre stralunato accanto alla sua pompa di super.
Lui dava la vita motorizzata alle persone della mia infanzia, ma non l’ho mai visto guidare.
Quasi ne sapesse di più. Di più di che cosa poi, non l’ho mai capito.
Avevo imparato a riconoscere questi personaggi dal rumore dei tubi di scappamento.
Mi mettevo a cavalcioni infilando le gambe fra le stecche della ringhiera del balcone che s’affacciava giusto giusto sopra una curva a gomito, dove se passavano dovevano per forza rallentare.
Se un giorno uno di loro non stava bene lo capivo ormai non più dagli occhi gialli che intravedevo al di là del parabrezza, ma dallo sfiato roco della marmitta e dalle nuvolette grigiastre che sbuffavano sull’asfalto.
Loro eran sempre loro e avevan sempre le stesse auto: mai immaginavo allora che una persona potesse cambiarla.
Credevo che uno ci nascesse con la sua macchina e con quella guidava fino a quando non si stancava di farlo.
Oppure, pensai un giorno che mi vennero teorie distorte dopo aver mangiato un mottarello, che fosse l’auto stessa a non volerne più sapere del propietario e che si fermasse all’improvviso, in mezzo alla strada, senza più ripartire.
Semplicemente non ne aveva più voglia e barattando la sua anima col cielo lasciava sull’asfalto la carrozzeria. Immobile.
E l’asfalto era grezzo, da poveretti, tutto squassato e mai rifatto nemmeno una volta.
Ma si conoscevan tute le buche e alla fine ci si affezzionava pure.
A Roma no. Cioè intendiamoci: le buche c’erano, e anche tante.
Solo che il pullman che mi stava scarrozzando se le trovava davanti all’improvviso e non poteva evitarle.
Io, di quelle buche non ne conoscevo neanche una e mi facevan paura nonostante a star così in alto, comodo e rannicchiato nel sedile, nemmeno sentivo le vibrazioni quando ci passavo sopra.
Insomma la grande città mi era estranea e per farmela amica cominciai ad osservare ovviamente le automobili, sperando assurdamente di riconoscerne qualcuna che da Bergamo fosse venuta fino a lì solo per non lasciarmi solo.
Era inutile ovviamente, ma quel giochetto m’affascinava.
Erano gli inizi degli anni ’80 e quando tornai dalla mia gita scolastica dalla capitale quel che mi rimase negli occhi fu l’incredibile numero di Cinquecento che vidi sparse in ogni angolo.
Fiat 500.
Sulle aiuole, in mezzo alla strada, parcheggiate in terza fila o di traverso sui marciapiedi.
Ovunque c’erano cinquecento di tutti i tipi: elaborate, classiche, col tettuccio di gomma nera, rigate lungo i fianchi, piene di pupazzetti, senza un copricerchione, con gli adesivi argentati vicino alle maniglie delle porte e una, solo una ne vidi, con lo stemma della Ferrari in mezzo al cofano.
Mi piaceva quel macinino: rendeva alla metropoli un senso di formicaio a misura d’uomo.
Piccola com’era quella scatolina che arrivava da Torino contenava gli uomini, il loro girovagare disperso e caotico per la città, le loro passioni e i quattro fogli di giornale per nasconderle ad occhi estranei.
Anche se allora l’Amore era cosa da grandi e il massimo scandalo per noi bambini era immaginarsi al suo interno i quattro elefanti pigiati stretti stretti.
Al paesello, una volta tornato, ci misi un attimo per riadattarmi allo scorrer lento e ripetitivo del poco traffico lungo l’unica strada provinciale.
Da noi, cinquecento ce n’ erano invece molto poche.
Cosa strana addirittura era vedere quel piccolo quattroruote simpatico arrancare fra le curve come estraneo in un mondo che non gli apparteneva.
Non smisi per lungo tempo di sedermi a cavalcioni sul mio balcone e di ascoltare il suono delle marmitte.
Ogni volta che in lontananza riconoscevo il suono di una ‘doppietta’ mi preparavo sorridendo.
Mentre ripensavo alla mia gita, balzavo in piedi e chiudevo gli occhi fino a quando la cinquecento non passava proprio sotto il naso.
Allora li aprivo e la seguivo con lo sguardo accompagnandola fino a quando non scompariva, questa volta per volontà sua, dietro la curva.
E ogni volta mi sembrava per un istante d’essere di nuovo nella capitale.
Ci son tornato, poco tempo fa, a Roma.
Ora son tutte Smart.

mag 27, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Perle d’una collana da ascoltare.

Ringraziare è disperso, un verbo represso.
A tirarlo fuori dall’anima la gente sembra che si vergogni di pudica condivisione.
Ringraziare a volte ti fa abbassare gli occhi. E no: s’ha da alzarli mentre lo rivolgi!
Non per te, ma per la persona a cui lo esprimi: che a riceverlo con gli occhi ti vede il cuore.
Nel mentre io mi metto a ringraziare, se c’avete voglia una volta che ho finito mettetevi a farlo anche voi.
Vi accorgerete che (mentre state maledicendo chi non vi aiutato riflettendo sul come nella vita ci si faccia da soli e che ‘quando ne avevate bisogno chissà gli altri dove stavano’ etecetera) alla fine forse vi vien fuori qualche nome a cui telefonare, mandare una mail, inviare un sms con scritto semplicemente ‘grazie’.
Forse, dico. Poi magari mi sbaglio.
Intanto ringrazio.
Ci metto un secondo.
Premessa: Nino non lo ringrazio più che una leccata all’anno gli basta e avanza.
Un grazie invece di sicuro va alla pazienza di Pietro, per quel che si chiedeva e per quel che incontrerà.
Il suo Blogoltre è degno d’inchino.
Zu, che gli puoi dire a Zu? Certo, gli si dice grazie.
Non direttamente a lui, ma alla cena che mi son pappato, alla musica dei suoi amici che m’ha fatto ballare, ai sorrisi dei suoi figli che non ti fanno invecchiare, al vestito di sua moglie che una dama settecentesca m’ha fatto sembrare, ai suoi coinvitati che la tavolata l’han resa reale ( anche se senza rotelle).
A Bea, come fai a non dirle grazie?
Anzi, non glielo dici, che lo prende un secondo e poi chissà dove l’ha nascosto. Gli dai un bacio in fronte e quello si tiene.
C’è un sacco di gente inoltre che gli si deve dir grazie: che in questo weekend m’è passata per la testa e che loro non lo sanno.
Ma mi fermo qui, per ora, che c’ho voglia di andarmene a cantare.
Adesso tocca a voi.

mag 20, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Del silenzio.

Vorrei spiegarti il silenzio.
Il mio silenzio.
Che sicuro è diverso dal tuo.
Davvero. Son certo: non mi credi.
Ma se hai voglia costanza e tempo d’ascoltarmi, allora siediti e non perderti.
Tenterò d’avviarti al mio perchè, evitandoti quel che non è.
L’altra sera ti ricordi, si stava in compagnia.
Festa e gogliardia, musica e vino.
D’un tratto, che me n’ero lì in mezzo già da un po’, mi zittisco.
Mi succede spesso, qui ti do ragione, e tutte le volte ti stupisco.
Che ormai avresti da conoscermi.
Eppur t’adombri ogni volta.
Tu per me.
T’oscuri e mi chiedi il motivo. Tu per me.
Il motivo di un senso sbagliato.
T’avvicini e mi sussurri: perché ti sei rattristato?
Non c’è senso da risposta articolata, perché la scintilla non mi genera sofferenza.
Tutt’altro: il mio non dire è gioia estrema.
Ti parrà strano e ne convengo, questo mio atteggiamento.
Ma non è colpa tua: il tuo gesto è comunque d’affetto.
Solo dettato da regole che a capirle, non t’appartengono.
Il disabituo al pensare è malattia grave.
Inosservata: e perciò tragedia negata.
Quando io mi distacco dal momento e par che m’incupisca, in realtà lo sto solo assorbendo.
Gustando d’una sensazione che mi rende vivo, che ha partenza dagli occhi di quel che vedo e termina fra i pensieri di quel che trattengo.
No, non mi rattristo davvero.
Medito forse, se reggo al termine che vo’ dicendoti.
Mi soffermo a perdermi nell’omaggio che rendi alla mia vita.
Per farlo, par che mi estranei.
Il mio non è un distacco, ne un disagio.
Mi rendo conto di confonder le tue convinzioni, che tu credi naturali.
Che il mio repentino cangiar d’aspetto in volto pare a te d’umore contrario al momento vissuto.
Ma è il disabituo al pensiero a renderti così incerto.
Colui che mi sta vicino spesso non ha bisogno di altre certezze: alla mia conferma d’una serenità che vien da lontano partendo da dentro si pone accanto senz’altro domandarmi.
Da qui mi puoi credere e tutto è verità.
Oppure rattristarti per un qualcosa che non è.
E allora ti parrò quel che non sono.
Ma io ti preferisco accanto.
In silenzio, gioendo.

mag 17, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Per far più bello il mondo anche da stonato.

Nino è quello che sparisce per giorni.
Scompare perchè c’aveva da fare (anche quando non l’aveva per davvero) e quando riappare si incazza perchè l’ho cercato.
Nino è uno che porta indietro l’orologio per credere d’esser puntuale.
Se lo chiamo al telefono mi dice che c’ho da fare Mike, che sicuro mi richiamerà più tardi.
T’ha richiamato a te?
Nino è quello che mi accompagna in aeroporto quando parto per un viaggio che lui lo vedi che abbassa gli occhi ma non ci può venire.
Sa che lo vorrei accanto, ma che proprio lui non può, e allora magari per istinto mi si mette a cantare.
Così, per far più bello il mondo anche da stonato.
Dal nulla mi regala una moleskine per scriver di quello che vedrò col cuore.
Vigliacca se me l’aspettavo.
Che mi dedica una frase di quelle che se me lo dice una ragazza è normale, ma che se te la scioglie un amico ti far star male.
Nino ci posso contare sapendo che è inaffidabile.
Che quella cosa non me la farà se non quando gli gira.
Ma io m’illudo ogni volta.
E ogni volta impreco.
Mi porta in montagna per fare quattro passi e quando m’accorgo troppo tardi d’esser sul costone tira fuori le corde dallo zaino.
Faccio neanche a tempo a ringraziar iddio che sono arrivato in cima e lui mi riporta a valle per sentieri che non conosce.
Mi fa perdere quasi la vita e quando per miracolo arriviamo al rifugio ci farei a botte.
E invece ci si guarda e mi sembra sia stata tutta cosa normale.
Nino è quello che ho conosciuto sui banchi di scuola, quasi per caso, che invece a pensarci era naturale: solo lì lo potevo incontrare.
Mi passava i compiti di matematica e gli correggevo i temi.
Nino, a dirgli facciamoci un giro in Europa senza soldi, lui fa su e giù con la testa e finisce che attraversiamo il continente rischiando di non tornare a casa.
E’ lo stesso che avevo accanto la prima volta che ho dovuto parlar straniero anni fa per trovarmi un letto.
C’ho litigato di brutto contando le volte sulle dita di una mano e sempre si è finiti a calici in alto.
Che gli altri intorno gli parlo e non voglion capire e lui gli fai un cenno e mi sorride.
Nino non è sempre stato Nino.
S’è ribatezzato per amicizia e questo alla gente neanche gli importa.
Se tutti mi rispondon con una domanda – ‘Perchè?’ – quando gli dico dove sto andando a far pazzie lui alza le spalle e accenna ‘Buon viaggio’.
E non dice altro.
Vigliacca se mai avessi pensato di dedicargli anche un post.
Ma lui se ne esce con la parola fratello qui in mezzo senza avvisarmi.
Lui, che di fratelli credevo non ne avesse.
Sicuro un Nino l’avete attorno pure voi: percui pigliatevi ste lacrime e fatele un po’ vostre.

mag 16, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Soffritori di vertigini.

Ci son luci che non san d’abbagliare.
Ci son canti in una voce rannicchiati.
E sospiri che non voglion respirare.
Ci son lune che la notte le rinchiude.

Come on baby light my fire.
A dirglielo alla gente che stai sereno quella non ti crede.
E’ che non mi sembra, ma come fai?
E i problemi? E i problemi te non ce li hai?
Dai possibile?
Possibile. Moooolto probabile.
Ma mica è un problema.
Se non c’arrivate vi presto la scala per contare i pioli che vi inchiodano al suolo.
Salite, soffritori di vertigini da vita.
V’aiuto al primo passo, il resto lo incassate dall’adrenalina.
Arrivati in cima vietato non tuffarsi: al massimo picchiate le ossa.
Che v’accorgereste pure d’averle.

Ci son luci che non san d’abbagliare.
Ci son canti in una voce rannicchiati.
E sospiri che non voglion respirare.
Ci son lune che la notte le rinchiude.

apr 29, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Constatazioni amichevoli.

La logica della compilation è racchiusa in un concetto semplice ed essenziale: raccogliere le hit di maggior successo, raggrupparle in un’unica confezione regalo e riempirne gli spazi vuoti con brani che nessuno conosce ma che servono a far calare il costo dei diritti e permetterne la pubblicazione.
L’ orientamento all’arrivo non motorizzato in una città nuova, che tu ci rimanga o che sia solo di passaggio, si costruisce in base a sensazioni, monumenti, campanili e locali dai nomi fraterni.Una volta recepita ed elaborata una propria cartina virtuale fatta di riferimenti impulsivi e del tutto personali ci si può tranquillamente orientare in maniera più o meno agile nel nuovo spazio erronaemente ritenuto misurabile ed invece solo rinominato, in modo da crederlo controllabile.
Chi si trova generalmente a fare i conti con l’inchiostro e le rime generalmente non può fare a meno di rendersi conto di come esistano due sostanziali tipologie di scrittura: quella riflessiva, statica, di chi immaginato scrivano al lume di candela conclude sul foglio una riflessione giacente nell’animo e quella irrequieta, istantanea, di chi ha il tratto mosso, che vien fuori solo se agitato dal movimento del momento. Ognuno di noi propende immancabilmente verso una delle due grafie senza disdegnare ovviamente di cimentarsi con l’altro risvolto della stessa lessica tovaglia.

Ho le pile scariche, ed è quasi sera.
Non posso ascoltare dopo averlo fatto per tutto la giornata.
Non riesco a scrivere: il freddo mi rallenta.
Mi ricordo di quell’edicola sotto i portici di quella piazza, della sua vetrina, dei newspaper stranieri stonati accanto alle guide tv e del cartello appeso sbiadito chiaro chiaro che ricordava un’apertura notturna per gente dall’ottima vista.
Corro, frullo avverbi, riavvolgo il filo degli auricolari attorno al lettore cd, sbaglio due volte strada sbagliando campanile, scambio asfalto con acciottolato sotto i piedi.
Faccio passare tutti i negozietti, uno per ogni arcata, uno per ogni sbuffo accorgendomi di essere arrivato in un posto già stato, solo palindromo.
Mi volto e trovo l’altra entrata della piazza, subdola ed uguale a quella da cui sono entrato.
Arrivo all’edicola riconoscendola dal clack della chiave nella toppa che la chiude.
La signora cotonata al di là del vetro si accorge di me con un sorriso di circostanza e col suo sguardo sposta il mio dito indice dal cartello chiaro chiaro alla scritta sulla targhetta finto breil che leggo solo toccando la maniglia della porta col mento:’eccetto il sabato’.
L’indice mio ora dice” un minuto” e poi fa di nuovo il suo dovere puntando alla confezione di batterie che sembrano aspettare un nido musicale e separate dall’adozione solo da una legge temporale insensata che sentenzia come prefestiva la data odierna.
Sarà stata la compassione, la mia bozza di sorriso o la banconota mostrata che presagiva una lauta mancia: fatto sta che la chiave si riavvolge, le pile vengono liberate, la parrucchiera del paese avrà da fare una permanente in più l’indomani mattina e io riassaporo note dolci al prezzo di caviale.
Stelle, lampione,panchina, piazza vuota, moleskine.
Silenzio esterno.
BB King furtivo canta solo per me e la penna prende vita…

‘…o sicuro inizierei con un bel pezzo al veleno, molto schitarrato. O alla Guccini, magari logorroico bastardissimo. Titolo: ‘I son quel che canto…
..Mmm certo, per questa miss sicuro un pezzo classico. Di quelli che ti sembran ci sian da sempre. Anzi no, magari anche ironico, un Elio e le storie tese, dissacrante persino nei momenti più importanti. Già…
Ah ecco qui ci metto una traccia di una ventina di secondi, ideona, un commento preso live da una guida al Louvre mentre decanta lodi ad un suo quadro, il più famoso, e poi un bel Battiato.
.. Il pezzo dopo dovrà essere criptico all’acchito, innovativo nel sound ma anche aggraziato da uno slang sconvolgente. Insomma quasi avesse un flauto magico che incanti, che soprenda chi non credesse possibile aver geni contemporanei. Già, per lei un Mozart da questo piccolo Papageno…
… e a loro? Non mi riesce di trovar un suono adatto, eppur li devo pur mettere questi quattr’occhi a chiuder sta raccolta di menti: dovere più che diritto d’autore…’

E mentre mumblo m’alzo e m’incammino.
Oltre la piazza m’infilo in un viottolo.
Supero due serrande abbassate e mi soffermo davanti alla libreria. Do’ un occhiata alle ultime novità, leggo la fanzine con le ultime nuove e trotterello via verso il lungofiume dove ho appuntamento con Nino.
Ritardo di un quarto d’ora poichè mi imbatto in uno strano personaggio che mi abborda con metalinguaggi astrusi.
Parla a sprazzi con spruzzi di parole che non sembrano appartenergli.
Dice che sta guarendo, da cosa non capisco.
Sorrido e me ne scappo.
Lungo la strada incrocio turisti diretti all’aereoporto che potrebbero esser inglesi o italiani: la confusione aumenta quando scambio un agurio di buon viaggio con un’indaraffatissima e spensierata ragassuola che passa con disinvoltura dagli spaghetti al fish&chips senza problemi di linea linguistica.
Parlar di cibo mi ha messo fame e quando arrivo da Nino si decide di comune accordo d’andar a parlar di nulla in quel bel locale gestito da quel traducivita da scioglinodi in gola che cucina sempre con leggerezza, tanto bravo che la sua tavolata è sempre piena.
Come al solito non si smentisce: ci abbuffiamo e lui ci chicca cantando dal vivo. Uao.
Usciamo sazi di cibo, musica e parole.
Saluto Nino e di comune accordo ci diamo appuntamento in un’altra città, diversa da Mondoblogger.
Firenze. Pare ci sia una festa tra qualche giorno da quelle parti.
Decidiamo di andarci a bordo del Pallone.
Dall’alto si ha una prospettiva diversa, si scoprono mansarde illuminate da follie insonni e si respira l’aria che solo dopo arriva laggiù.
Intanto si va.
Così mi riesce da scrivere.
Che è sempre un bel viaggiare.

apr 26, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Francis il mulo parlante.

Ho una libreria. Nel senso di mobile.
Tenuta più o meno male, con parallelepipedi cartacei ammassati senza ordine logico, a volte ammucchiati, spesso sparpagliati.
Se ti ci metti d’impegno puoi perfino scovare qualche fumetto nascosto fra un’ edizione economica di quelle allegate a Repubblica e I Grandi classici del Novecento comprati solo perchè un rettangolo lungo e scuro copriva meglio la macchia di umidità alle spalle della sapienza dormiente.
A differenza di Palomar tratto i libri a mo’ di particole sacre: nessuna orecchietta ad infranger il virgineo amplesso mentale.
Nemmeno i Feltrinelli economici-tascabili-ci leggi solo se di contorno alla carta igienica ho osato deturpare.
Forse poichè memore rispettoso di padre e madre che chiamavano con l’appellativo libro una rivista più alta di un centimetro, foss’anche l’elenco telefonico.
…Passami il libro del telefoni che chiamo la zia…
Ad ogni modo io ho sempre una libreria. Sempre intesa come mobile.
E’ importante ripeterlo, soprattutto a me stesso. Aiuta, dicono, a riprendersi da shock violenti e inaspettati.
Traballante, ripiena come uno strudel di parole più o meno buone, fagocitante di cultura autodidatta ma pur sempre disponibile, meretrice dotta che si apre all’occorrenza per infilarci l’ennesimo filosofico acquisto.
Ora guardacaso ieri ho fatto questo gesto consueto di trasformare euri in pagine e sono uscito dalla mia libreria preferita.
Il negozio, si intende.
Dieci euro. Traducete con me. Quasi ventimilalire. Aggiungo la pietosa immagine da piccolo fiammiferaio con questo TAG IMG nella vostra testa in cui si vede il piccolo Michelino che rinuncia al dacci oggi il pane quotidiano per barattarlo in cibo per la mente. Sant’uomo.
Forse sarà stata la fame, forse il bisogno di zuccheri, forse il mio sguardo all’atto di riporlo.
Fatto sta che dopo aver letto questo coso la sera sono arrivato a casa e d’ impulsiva abitudine ho provato ad incastrarlo fra i suoi credevo amici parenti libri.
Mi è capitato alcune volte, son sincero, di non riuscirci al primo colpo, specie con autori fintosaccenti e blablabla inutili.
Ma, essendomi laureato in Tetris avanzato e avendo frequentato anche un master di Ravensburger riuscivo sempre a trovar il pertugio insperato anche con i più restii all’apprensione.
Questa volta no.
Ma non è che tipo c’ho provato e lei, lo scrigno impolverato del mio sapere, si è semplicemente rifiutata.
Me l’ha proprio risputato, rigettato in faccia.
E ci son rimasto anche male.
L’ho raccolto, ho fatto finta di uscire dalla stanza e poi l’ho reinfilato a tradimento.
Ma niente: il rigetto è stato ancora più traumatico ed il libro mi ha preso in piena fronte.
Risvegliato da un torpore da randellata ho ripreso fiducia solo dopo qualche minuto: mi son nascosto dietro al divano e l’ho lanciato con mossa da esperto granatiere verso il ripiano più alto.
Niente da fare: il solo risultato ottenuto è stato un rollio pauroso dell’ intera struttura e la solita risposta inferocita al mittente.
L’ultimo insuccesso è stato un compassionevole avvicinamento con tanto di bandiera bianca ed un tentativo di utilizzo del libro come sostituto di una delle gambe del vomitante.
Alla fine abbiamo desistito di comune accordo, io e la cultura.
Ora giace immobile accanto alla cesta dei panni sporchi, apparentemente innocuo.
Se qualcuno, amante del brivido e indifferente difronte alle storie di vita vera, volesse tentare comunque di collocarlo all’ interno di un sensato riferimento al mondo dei blog io, questo Diario di una blogger di Francesca Mazzucato, lo regalo.
E quando un gesto è fatto col cuore…

L’ingenuità.
Di creder che non sia così mondoblogger.
Di esser sicuro di viverlo diverso.
Di buttar giù due righe perchè è solo perchè in fondo c’avevo voglia.
Di risponder a commenti perchè mi vien naturale.
Di dire grazie ai complimenti, d’allungar una mano perchè è un gesto che parte del di dentro alle vene.
D’incazzarmi agli sfottò perchè nei polpastrelli che digitano ci passa il sangue.
Di scambiarmi la mente con gente che ne sa, che non ne sa, che vorrebbe sapere e non lo sa.
Di non aver duplici intenzioni, motivazioni, retrospettive da gratificare.
Di esser infondo quel che si è, quel che siamo anche al di fuori del quadro pixxellato.
D’esser sicuro che in fondo di bella gente noi ne siamo tanta.

Così mi scusi casomai
rotolasse di qui Francesca
ma il mio leggere della sua visione
m’ha tolto il fiato d’un colpo
e arrivato in fondo
ho apprezzato la cornice
intarsiata cesellata con mano esperta
ma la sua vernice ancora fresca
per me
ha sbavato sulla tela.

apr 19, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Ricompensa.

Ho perso
il mio sospiro.
Credo per strada.
Trovandolo,
vi capitasse,
calpestatelo.
Col tacco.

apr 14, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Con negli occhi pietre e sale.

Santiago de Compostela.
Una parola, inchiostro su pixel che scivola via al prossimo post.
Una città, una cattedrale che da sempre se ne sta immobile fra il grigio fuliggine della facciata e quello uggioso del cielo che la avvolge.
Un viaggio, duro come i muscoli delle mie gambe.
Trecentotrentachilometri posso scriverli per lungo ma non te li posso far capire.
Nessun superuomo, solo far i conti con te stesso usando il passo come metro, Nino docet.
E punteruoli pianure, brughiere, colline, vento, montagne, colline vento, pianure, paesini e città, sogni e miraggi.
Ma ci sono arrivato, sfinito e sfiancato.
E son crollato su quel piazzale con negli occhi quello Xacobeo di pietra granitico che quasi ti piglia per lu culo tanto ti sfotte dall’alto col suo bastone e la sua conchiglia immobili.
Ma ci sono arrivato, sacco a pelo e barba.
Entro, in questa cattedrale, silente e furtivo la osservo in penombra quasi da estraneo.
Eppur mi porto una credenziale con timbri che riflettono ostelli, rifugi e fatica.
Ma me ne sto in soggezione cullato dall’oppio dei popoli mi distendo su una panca sacra.
A mezzogiorno sto avvolto in questo fumo insensato e incensato che il botafomeiro vorticoso e oscillante mi regala come allucinogeno spettacolo.
Ora che la prima notte nel mio letto è passata con in grembo la Compostela, ora che il profumo delle mie lenzuola ha coperto di ritorno il mio stanco sonno, ora sorrido di un viaggio ultimato e penso a quale strada prender domani.

*Per chi volesse avere informazioni più dettagliate sul Cammino di Santiago, in cosa consiste e come organizzarlo sono ovviamente disponibile a fornire qualche piccolo consiglio, basta scrivermi.

Grazie a tutte le persone che mi hanno aiutato a buttar cemento e calce per costruir questo viaggio.
Grazie a chi mi ha dato informazioni per poter arrivare a Santiago e a chi mi ha logisticamente seguito e incitato via mail e sul Pallone.
Grazie a tutte le mani strette e a tutti gli incitamenti di ‘Buon Camino’ raccolti come fiori lungo l’asfalto.
Grazie a Gianni.

apr 8, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Un sorso d’acqua, solo uno.

C’e’ che si va avanti.
Si cammina.
Si Pensa.
Si cammina.
Si soffre.
Si cammina.
Si riflette.
Il sudore che cola lungo la linea bianca che delimita la carreggiata, il silenzio di questa Galizia che sembra rubare un pezzo d’Irlanda, l’acqua che per quanto ne beva non e’ mai abbastanza. E Santiago chissa’ perche’ piu’ ti avvicini piu’ ti scappa, ti sfugge, trotterella via un passo piu’ in la’ del tuo maledettissimo fiato.
E si va.
Caviglie grosse, polpacci duri, labbra che scricchiolano. Signore dei viaggiatori se mi sei apparso e ti ho ricacciato non ci far caso sono i chilometri che mi fan parlar strano.
Guida questa nave ad una branda questa notte, coprila di un sacco di pelo di pellegrino, portala a spasso ancora un po’ in questo mare d’asfalto, terra e polvere.
Ancora un po’.
Bastante.

apr 4, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Adelante…

Qui si sta di un gran male ai polpacci.
La strada e’ gia’ tanta negli occhi che duole sotto le punte dei piedi.
Noi si va verso O’ Cebreiro, che domani attende silenzioso l’arrivo di faticosi pensieri.
Son gia’ oltre cento i chilometri nello zaino e il tramonto domani calera’ giusto a meta’ di questo viaggio.
Avevo promesso di tenervi informati, ma credetemi non e’ facile.
Non solo per il dipanarsi fisico del cammino lungo questi che son solo nomi di paesini incastrati sulla piantina della Spagna settentrionale che riposa nel mio zaino, ma anche per la sofferenza che in questi giorni si porta nella testa.
Cosi’ si sta tra color che son sospesi senza il senno di potervi scriver due righe di senso, senza il nesso di lasciarvi per ora un pensiero gentile.
Vedo solo conchiglie che indicano il cammino, la strada che mi segna dentro e il monte che domani mi attende.
Buoni sogni.

mar 30, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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L’arrivo.

Esco a fare quattro passi...

Well, ci siamo.
Scusate se in questi giorni la scrittura sara’ veloce, i pensieri sparsi e la testa altrove.
Ma succede, in cammino.
Oggi: Barcellona.
Tappa di transito, solo giusto il tempo di lasciare quattro orme sulla rambla, assaporare gli occhi degli spagnoli per un aperitivo d’incontro e osservare le bandiere della pace appese ai balconi spagnoli.
Qui va di gran moda anche appendere un drappo bianco, magari candido, con qualche minuscola scritta che faccia arrivare il messaggio al destinatario.
Ve lo dico, magari hola hola vogliate mettervi a spagnoleggiare a Buccinasco o a Cava dei tirreni. Ole!
Stasera si piglia un treno, destinazione Leon.
E domani mattina alle quattro e trenta comincia il vero cammino, anche se le persone che mi hanno indirizzato a questa scelta mi hanno ovviamente catechizzato con parole Galatina al cioccolato del tipo ” in fondo, il cammino comincia dal primo desiderio di compierlo”.
Spero di tenervi aggiornati.
Intanto, rotolate.
Qui, sotto un cielo grigio cenere catalano, si comincia a contar passi.

mar 29, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Intervallo di viaggio.

… Sempre pronto a partire dove chiama il destin
cavalcando senza meta dalla sera al mattin …

- 1.
mar 27, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Ad ovest di Paperino.

Tre mesi di allenamento.
Cinque chili persi.
Zero capelli in testa.
Uno zaino, una schiuma da barba mignon, due spille da balia.
Centinaia di muscoli facciali pronti al sorriso, cinque magliette, una moleskine.
Due biglietti aerei, pochi soldi, molti dubbi.
Una cartina, una guerra preventivata, un sacco a pelo.

Come al solito mi allontano e cerco.
Scontato che non riuscirò a trovarmi.

Un mare da dimenticare.
Un cuore da ricucire.
Una lacrima da trattenere.
Miliardi di passi da riscaldare.
Una bandiera multicolore,
un segno di pace da trasportare.
Borraccia per assaporare,
candela per riscaldare,
parole da scordare.
Un amico da ringraziare
una vita che non so spiegare
un altro viaggio che va a cominciare.

Una credencial.

- 3.
mar 22, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Contuso e tremolante.

E’ che a volte non ti viene.
A ‘guera.
Dici che, e poi cosa?
Vedi che ce puoi dire, alla ‘guera?
A ‘guera è ‘guera. Te la posso condire in rime baciate, filmare zummare imbandire o sdegnare.
Ma mica far sparire.
Sta lì, picture in picture sul 16:9 esplosioni fumo bombarda centra mira perfetto sgancia.
Ammazza.
E basta fermarmi per strada a dirmi dov’ero quando massacravano i curdi. Basta?
E basta esser pecorone arcobalenato tanto le tue canzoni nei fiori dei cannoni servono a una mazza. Basta?
E basta accusarsi qualunquisti inerti inermi ci si muove solo quando vi muovono e le altre guerre ci pucciate il biscotto dell’indifferenza. E basta?
Basta de che? Dovessimo noi smetter di scrivere, smetteranno gli altri di leggere?
Io, che son vivo, che poggio il mio culone su una sedia riscaldata, io scrivo.
Scrivo che poco importa a lor signori di quanto inutilmente possa servire incastrare parole fra pixel, scrivo che tanto critiche d’ignoranza selvatica scivolano sul monitor e intanto, amebe o amorfi che infine siate, i vostri cervelli frullano, le vostre teste parlano, i vostri occhi sgranano, la vostra pompa fa tum tum.
Vi sgurlisco. Sgrugnendo.
Poco m’importa se l’assalto che vien dal cielo iracheno libera o abbaglia, se il fluido nero che finisce incendiato inquinando il cielo di un fumo nero prima è passato in un oleodotto contenstato voluto pagato mai preso e adesso bombardato.
Mi colpisce? Mi terrorizza?
Mi fa schifo.
Ma tant’è.
Pietro, non ammainarti al canto del gallo.
Fregammocene e al passo di Topolin Topolin quali siamo rosichiamo piano piano.
Dai.

- 8.
mar 15, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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E’ che ti ribolle dentro.

Allora si va.
Tra poco l’impulso diverrà realtà.
Come al solito prendo la mia anatomia e la mia irrequietezza me le metto nello zaino e chi s’è visto s’è visto.
Alla fine ha vinto ancora lui: ho provato a tenerlo buono cuccia giù a terra ma niente.
Monta che ti rimonta e poi ti smonta chiano chiano come sempre si è insinuato tra le piaghe delle mie vesciche indolenti.
E io hai voglia a dirgli di no.
E lui dentro a dirmi “dai”.
Comincia come uno spiffero che ti raggela quel “perchè no” e va a finire che ti travolge like a rolling stone.
E quindi si va.
Tanto lo si sapeva che finiva così: butta l’occhio a sinistra e ce lo vedi lì.
Stampato pixel su pixel, bianco su schermo: viaggiare è meglio che arrivare.
Non è che uno se lo tatua virtuale senza che sia importante.
Te scrivi di quel che non sai e lui sempre li a ricordartelo che non sei animale da stalla ma da pascolo.
Te pensi di essere nato stanziale e poi ti bastan tre mesi di trenta metriquadri per non voler più ruminare basso.
Che vuoi che ti dica, benedetto figliolo: vai.
Rotola sto Pallone prima che ti stritoli di malavoglia.
Su, è tempo. Manca poco. Spazzolino, taccuino, Nino presi?
Mmm, forse Nino è meglio lasciarlo.
Ci sarebbero ben certo pastori migliori, pratici ed esperti a cui affidare i pensieri sparsi mentre mi porto a spasso anima e corpo ma in fondo lui è il solo che viva in una capanna del sudore.
Perciò può trasudare, visionare, acchiappare sogni, ma mai sparire. Indi inaffidabile ma coerente.
E poi, qualcuno deve pur badare al recinto.

mar 11, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Nanti ‘Ie.

Il Pallone l’anno scorso, ancor prima di avere una forma, stava già rotolando.
Aveva già così tanto asfalto alle spalle da voler provare a sollevare la polvere.
Ed in Africa, considerato l’elevato numero di piedi che girano in coppia nel fango, quando la terra asciuga, beh in Africa dicevo di polvere ce n’è così tanta da esser sazi.
E solo di questa in effetti, a volte ci si ciba proprio.
Mattina e sera.
E così il giorno dopo.
E quello dopo ancora.
Ho deciso di dare in pasto un po’ di ricordi scritti in una moleskine durante i giorni secchi in cui il Pallone è stato da quelle parti.
La copertina è nera.
Dentro, ricordi. Neri.
Mangiateli pure.
Gustateli così, non soffiateci sopra.
Si devono assaggiare con la polvere.
Altrimenti perdono tutto il sapore.

Agosto 2001 (scritti in ordine sparso)
Cosa vuoi in regalo quest’anno per il tuo compleanno?
La malaria.
Ok, faremo il possibile.
Penso che se esco immune da questo inventato parcheggio di Kumasi posso anche fare il bagno nella fogna.
Son qui ad aspettare che questo Tro-Tro si riempia e nella fanghiglia di questo caos umano vedo sfrecciare insetti di ogni tipo.
Let it be.
Comunque questo è il giorno in cui ho conosciuto la foresta.
Piacere.
E’ immensa, sconfinata, tanto da disperdere lo sguardo sempre verso l’orizzonte.
Charles qui ci è nato, non ci fa caso, ma io sono come un bimbo e sull’autobus che si inoltra nella pista in the Savana rimango stupito a vedere con gli occhi quello che ho sempre sognato.
Uao.

Kumasi è la capitale dell’etnia Ashanti in Ghana.
Tanto caotica e trafficata quanto Accra, ma almeno qui non ci sono fogne a cielo aperto.
Oggi siamo di transito credo (forse). Come sempre poi, nella vita..
Per arrivare qui ci abbiamo messo quattro ore, meno del previsto. Ora tutto dipende dal Tro-Tro.
Realizzo di essere nel cuore dell’Africa nera.
Brutta sensazione.
Qui i venditori per attirare l’attenzione ti chiamano come se dovessero chiamare un gatto o darti un bacino.
Il Daily Telegraph di oggi dà notizie che oso non ripetere.
Realizzo che il tavolo che se ne stà in parte al Tro-Tro serve all’autista come appoggio per saltare sul tetto e sistemare i bagagli con le corde.

Realizzo che nei giorni in cui sono stato a Tema ero in una reggia e che alla sera mi accompagnava a “casa” sempre George e mai un taxi.
Credo che Charles lo abbia fatto per paura di rapine. Thanks.
Qui le persone hanno una pronuncia più gutturale, aspirata.
Arrivo a destinazione dopo tre ore.
Il Tro-Tro è un Nissan furgonato abilitato 9 posti. Passeggeri: 23 circa.
Il circa è dato dai bambini nascosti sotto i sedili e fra le mie gambe.
Charles quando è partito ha fatto il segno della croce, ne ho capito il perché quando l’autista, abbandonato il parcheggio e visto il primo rettilineo, si è fiondato a 130 Km/h sulla pista.

Al villaggio dove la voce dell’arrivo del Brunì (uomo bianco) si è sparsa in fretta.
Sono in un documentario.
E sono la bestia rara.
A raccolta davanti alla baracca di Sue (sorella di Charles) c’è mezzo villaggio, bambini in testa.
Esordisco con “Accuaba!” (saluto di benvenuto in twi) e provoco una risata generale.
E’ fatta. “Ghana is free” mi urla uno e giù tutti a ridere. Mi danno tutti il cinque ,ma io abile, li sorprendo con la battuta di mano che Goffrey mi ha insegnato. E vai! Sono Amico, friend.
Ci spostiamo alla capanna di Goffrey che insiste per vederla.
Un monolocale arredato con gusto e tanto di tenda divisoria fra la zona letto (un materasso) e il soggiorno.
Niente tavolo, ma una enorme tv. Che non funziona.
Poi è la volta degli amici di Goffrey. Saluto ancora tutti (quante mani, quanti nomi!) e Nanti ‘ie a tutti (buon cammino in twi).

Prima delle 8.30 sento due volte Martha che si preoccupa nell’ordine che io abbia riposato durante il viaggio, che io abbia pregato e che abbia mangiato bene. Mento tre volte, poi se ne va contenta ricordandomi che tra pochi minuti arriverà somebody to pick you.
Ok,mi vesto in tutta fretta e mi precipito sul ciglio della pista.
Come sempre, errore di valutazione dei tempi africani: resto li per due ore.
C’è chi ci resta una vita.

mar 10, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Che poi è una città.

Imbottigliamento umanoidi.Praga.
Inspira il Dotto’. Brucia il tabacco nella pipa.
Che poi è una città.
Ah, Praga è una città magica, dice come se ce la vedesse tutta li davanti alle pupille chiuse.
Lascia andare il fumo, s’allarga il panciotto e il cielo si scrive.
L’Oriente, L’ Occidente, due culture che si incontrano nel cuore del vecchio continente e che partoriscono idee folli, convinte di esserlo e generano ideali senza cesareo ma bagnati di sangue.
Praga.
Praga è un puttanaio.
Si scaccola Vincenzino. La birra è piscia, il cibo è ‘na schifezza e le donne ti si strofinano contro nei vicoli peggio che di qua, in tutta la città.
Che poi, è una città.
Si accomoda meglio, s’arrabbatta e si lustra i baffi, il Dotto’ e accarezza sulla nuca Vincenzino in un gesto che a lui, Vincenzino, gli fa schifo.
Un po’ puttana lo so si sa, tradita, sfruttata, umiliata.
Ma se dal castello che la domina te ne vai giù giù a rotta di collo sui ciottolati e il pavè che sfiora gli ori e i cristalli la corsa che fai si alimenta di un’aria che già c’era ha visto e vedrà e per quanto ti sforzi di parlarne male già ti cura e non ti lascia più andare.
Praga è un Luna Park.
Paghi poco nulla per uno spettacolo di miserabili.
E fa un freddo da spegnerti i pensieri, fa Vincenzino stringendosi nelle spalle gonfiando le guance e sbuttando fuori il labbro tremolando. Nun se capisce come fa a piacerti Dotto’.
Si alza, il Dotto’. Si sbatte i pantaloni lisi ma dignitosi. S’aggiusta le bretelle, si mette il cappello il cappotto e il giornale sottobraccio. Poi piglia l’ombrello.
Vincenzino corre ad aprirgli la porta. Quello fa il gesto come a ripararsi dalla malevolenza del cielo, poi si ferma.
- Vincenzi’, hai visto comme chiove ‘ncopp’a sta città?
- Si.
- A Praga nun chiove. Nevica.

mar 8, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Si passa in continuazione in questa dannata città.
Si passa e non ci si ferma.
Si passa e non ci si guarda.
Adesso poi che sto ricarburando, adesso poi che il Pallone per sette giorni si è sgonfiato e non ha rotolato per queste vie, adesso poi che fatico a ricordare connettere battere Qwerty sulla tastiera dopo 7 di giorni di forzata pausa, beh tutto mi sembra ancora più fottutamente veloce.
Stamane sono riuscito di casa.
L’ho fatto per ricordarmi della gente, per vedere se tutti quei volti erano ancora lì mischiati ben bene.
Non ti chiudo nemmeno la porta e la prima brutta, sconvolta, quel poco che resta spettinata faccia che ti incontro mi si scandalizza di dentro: se di solito lo specchio non è mai stato un leccaculo con me ( ed io lo ricambio di prassi sputando sul vetro) stamattina addirittura mi restituiva dei lineamenti scolpiti da un Picasso sano.
Esco, puzzando di Guernica, e mi porto a spasso tentando di reinserirmi in un similfinto ecosistema cittadino. Faccio buongiorno alle signore, compro il pane sottocasa lasciando gli spiccioli di mancia, riesco a intavolare un inutile discorso sul tempo col meccanico che il mese scorso mi ha ciulato cinquanta euro per una batteria usata.
Fregato, ma con cortesia.
Che poi questa è una cosa di me veramente stupida, da prendermi a calci in faccia: uno mi fotte, me lo mette nel bofice, mi inchiappetta sodo mollandomi una sola incredibile.
Poi alla fine mi fa la battuta, mi entra in simpatia, insomma si va a ber qualcosa assieme e pronto a giurarci che la volta dopo torno da lui. E magari gli pago anche il caffè.
Comunque una volta in strada dopo neanche una settimana di lontananza dal mondo reale dico, in una settimana non succede niente non parte la guerra non crolla un palazzo non riesco a cucinare nulla di commensitible in una settimana male che vada mi faccio cinque docce e scivolo sul sapone ma una settimana davvero per me è nulla insomma dopo così poco tempo sono li sul marciapiede imbaccuccato con auricolari e cappello e voi andate così veloci.
Dove?
Non fa ancora cosi caldo qui da noi sapete e voi mentre mi sfiorate che dovrebbero mettere un autovelox per i pedoni voi sbuffate perché alle otto di mattina siete già stanchi e buttate fuori vapore acqueo in segnali di fumo corporeo che alle otto già contiene tossina sbuff sbuff dove cavolo andate con quel passo deciso?
Quale inutile mansione dovete svolgere cinque inutili minuti prima?
In quale missione di pace siete così coinvolti da non poter vivere da normali?
Voglio dire, ho provato ad allungare il passo, a tornare subito come voi, ma primo mi son sentito subito debole con uno svarione che invocava “zuccheri capo, zuccheri” e allora ho messo in play il cervello, ho rallentato e ho ripreso a camminare.
Dalla parte opposta.
Verso Città Alta, qui è Bergamo, ormai lo sapete, verso le nuvole, il parco, la funicolare.
Verso la parte opposta della città operaia magutta per eccellenza.
Mentre voi correvate al lavoro, io rallentavo alla vita.
Portavo dentro mp3 di soundtrack personale, e voi scorrevate. Scorrevate sulle note, quasi vi adattavate al ritmo, quasi eravate per una canzone armonici. Nelle pause tornavate scontrosi, ma bastava uno stacco nuovo, una rullata di grancassa, un accordo di piano e già ritornavate a capirne di più su come muoversi in questa vita.
Che poi tra cent’anni io non scriverò più, ma voi non vorrete mica star li ancora a correre.
Questo pensavo
E credetemi, avevo un sorriso così beota stampato lì fra i denti che sicuro mi avreste dato un cazzotto in faccia.
Ah: bentornati.

feb 13, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Kokoro kara.

‘Scolta non ho tempo davvero devo andare dai ti ho detto che devo ma scusa non lo capisci proprio sono di fretta ma dai un secondo ma che ti costa due minuti un attimo senti son già in ritardo lasciami che poi mi incazzo ma se non mi hai nemmeno ascoltato non ho tempo non ho tempo è importante ti rubo solo due secondi cosa ti costa dai un attimo che palle che sei ti ho detto CHE DEVO ANDARE cosa urli NON STO URLANDO e allora abbassa la voce che ti senton MEGLIO smettila vai vai pure allora vai CERTO CErto che vado buona giornata comunque buona giornata anche a te.

Porta da aperta a socchiusa a chiusa con elegante velocità scivola e interpone due mondi distanti da più di una rampa di scale.
Allora cos’è? Abitdudine? Assuefazione? Comodità? Cos’è che logora? Cos’è che rade con la lametta capovolta? Cos’è che una volta esploso d’onda d’urto non fa sopravvivere?
Mettiti li un giorno prima, te che una volta ci stavi bene, che avevi buttato la pallina nella boccia dei pesci, che vagavi tra color che son sospesi d’ebete sguardo d’amor rubicondo, e dimmi un po’ che ingranaggio hai perso.
Solo per saperlo. Saperlo prima del farti sedere a quel tavolino tra ventiquattro e dissimularti l’onesta falsità di una pizza silenziosa e autocelebrativa.
Lucidati prima ed ammettiti.
Alla fine del test capovolgi la pagina e guarda al di là delle mani che terrai strette.
Quanto calore ricevi? Tanto quanto ne dai?
E smettila di guardar chi ti passa accanto, ti si sta parlando di un paziente ridotto male e non ti accorgi di esserlo. Forse siamo ancora in tempo.
La fibra è giovane. Ma va motivata.
Rispolverati. Mettiti l’abito da gara.
Sgrullati. Via il torpore via il dolore.
Non cambiare le spezie, hai già un buon sapore.
Ok?
Ancora qui?
E apri sta porta. E corri.

feb 11, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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… Assomigli a tutti noi, sei furbo e birichin
e perciò noi gridiam, viva Topolin! …

Solitamente è l’ ultimo a mettersi in cammino, solitamente lo fa quando tutti gli altri ci son già passati e quando tutte le bocche hanno già parlato.
Ora succede che l’ omino bianco di par suo questa volta non gli vadan le scampagnate.
A ben guardare mi sa che non ne avrà in programma poi altre, forse perchè in passato si è già divertito a girarlo e rivoltarlo tutto questo mondo.
Fatto sta che il pastorale stavolta è rosso ed affonderà nella sabbia assieme a tutte le altre trattative che lo hanno preceduto uscite da uniformi più pesanti.
Succede con sti tempi che a svestirsi di croci lasciando solo quella d’oro al collo che poco ci si badi a quel che un cattolico massimo esponente ti possa pur dire, soprattutto se sei musulmano. Ah.
Ora mi parrebbe da dire che i salmi si rigiran tra i rosari fin dalle crociate e il penitenziagite sia rimasto di celluloide ed impresso solo sulle rose.
Percui mai credo fregato tanto a petrolieri, dittatori, mangiauomini e baionette del fatto che da lassù qualcuno ti dica come dovresti segnarti al mattino o da che parte voltarti la sera. Poco importa perchè come bugia umana non è mai valsa. Baciare l’anello a me fa schifezza di potere, tant’è che lo devo fare da genuflesso chinando il capo guardando i piedi che uno dovrebbe lavare i miei coi capelli ed invece mi schifa e si impone coi paraventi adornati dalle offerte degli oboli.
Tutto questo sol per dire che Shalom a me sembrava significasse totale raggiante e sontuoso “benessere” ed ora me lo ritrovo come strumento dell’ esser bene, tipo una jacuzzi di quelle che si incastrano nei bagni dorati accanto a cessi dorati.
Nel mentre Giorgino Double si arrabbia e ci sputa quasi in faccia finendo per colpire a lunga distanza Le Monde il quale amplifica e rimanda e ripompa tornando oltreacqua terminando sul Times. Certo ok Giorgino e tutta sta storia del risentimento non è mica roba sua, lui mi sa che nemmeno sapeva o aveva studiato o si era ricordato.
Non è colpa sua, lui non è cattivo, è che lo usano un po’ e non lo sa. Tipo Ercolino sempre in piedi, non sta simpatico a voi? Come fai a volergli male? Lo butti giù e sai che torna su. Il problema è che è lui che non sa come, ma torna sempre su.
Com’è che siamo arrivati qui? Ah ok, il cardinale, il bastone, il viaggio. Insomma sembra che si cominci.
Dovrò cambiar la bandiera arcobaleno dal balcone, sporca com’è, e comprarne una tutta nuova. E’ tradizione. Ah guarda, quando mi parte una guerra a me piace spendere, sennò chi me la fa girare sta economia?

feb 8, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Sbuffo.

Io sto qua.
Davvero non disturbo.
Se non mi tocchi
io non scasso.

Aspetta.
Te lo ripeto.
Io
davvero
me ne sto quieto
se mi passi accanto
mi scanso.

Vivo nel mio
mi accorcio persino l’ombra
e quando osservo
lo faccio da miope.

Te
pensa al tuo.
Che me
mi avanzi.

gen 28, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Curva di Gauss.

Assoluta emancipazione del personale mio io dominante.
Mi rimetto alla completa disposizione dei miei impulsi retroattivi.
Dottore mi martelli il ginocchio propriò li sulla rotula e veda se riesce a far ri-rotolare sto immobile pallone in costante equilibrio statico.
Attento, ho i riflessi un po’ appannati e dal finestrino degli occhi mi devo spannare un’ offuscata visione notturna del pranzo.
Oggi lo chef propone tartine in salsa tartara dosandole squisite come delicatezze su piatti d’alloro guarniti di piume d’oca.
Necessito di bavaglino onde non sbrodolare una gioia da fame riacquistata al supermercato.
Colpa dei saldi. Auchan mi abbassa gli ammortizzatori scarichi e restringe la busta paga.
Resto sul piazzale, tolgo l’euro dal carrello per arricchirmi cerebralmente.
Celebro del resto un’inversione a ‘U’ investendo panni sporchi di traverso. I miei.
Nessun danno alla carrozzeria, solo il respiro è più affannato.
Dovrei allenarmi. Riprendere combustibile interno per stare al passo con la vita.
E’ il bioritmo che segue cicli astrali diversi. Forse son marziano.
Ultimamente poi non credo di credere nemmeno agli oroscopi senza credenziali.
Si presentan bene ma fingon ancor meglio di sapere.
E si ha paura solo di ciò che non si conosce.

gen 14, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Babushka.

Vinti inutilmente, sfrattati dalla sfera
trasparivano calcerogeni in coppia
senza perder il vitreo pensiero
di una memoria zuccherata
filata di traverso alla casa degli orrori.

Stavano ora da par loro circoscritti d’ atmosfera
in un parallelepipedo liquido non più contorno di boccia
ingenuamente più ampio terreno
del tondo monolocale da baracca lunatica
ma pur sempre prigionieri e mai attori.

Eppur sa da ammetter controvoglia
che per quanto ristretto
l’universo a matrioska
ci riguarda tutti dentro.

Non si sfugge è la legge
stravolgere il contesto
a volte serve a niente
e non ti fa esser che te stesso.

E’ sera torno a loro
Dio dei pesci scendo il cibo
dall’alto al basso verso il cloro
dosandone il respiro.

Come buono pasto un grazie
ma istintivo e sopravvivente
interpretato forse in altre branchie
mentre abbocca riverente.

gen 5, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Raro intimo da ultimo dell’anno.

Sono in viaggio. La scrittura è veloce, i pensieri lo sono ancora di più…Scusassero il ritardo…
A volte penso che questo mio “andare” questo mio non star fermo in un posto o in una situazione sia strettamente collegato all’indice della mia immaturità.
Un tempo credevo fosse spirito di avventura, fascino di conoscienza e lo confondevo con l’ attrazione provata verso luoghi e persone non viste, facce mai dipinte o sorrisi e strette di mano mai scambiate.
Poi invece, col passare degli anni, mi sono reso conto che questa mia natura di nomade cittadino, questa immagine di viandante civilizzato che mi porto sempre dietro e che sfugge da tutto e da tutti dipenda in parte anche dalla mia non voglia di legami, di punti fissi.
Mi succede così sia nei confronti delle cose più stupide ma anche con i sentimenti verso i quali dovrei portare più rispetto: non appena mi accorgo di restare in una situazione che implica delle responsabilità un poco più complesse e che mi obbliga a non sentirmi più “leggero” beh semplice, la cambio.
Di solito quando me ne rendo conto passo da uno stato di totale euforia ad uno di apatia controllata.
Sbaglio, parlo poco, tendo a interiorizzare i sentimenti, valutarli e “trattenerli”.
Un passo prima di affrontare il cambiamento stabilizzante io scelgo la fuga.
E se mi danno delle possibilità per accelerare il passo non me lo faccio pregare due volte.
Mai tentato di cambiare, mai tentato di provare a valutare la situazione da un altro punto di vista.
Spesso, arrivato a un bivio, per istinto scelgo la via sbagliata. Masochismo pellegrino.
E, testardo come un mulo, non confesso nemmeno a me stesso che l’altra via sarebbe stata migliore, che avrei perlomeno dovuto prenderla in considerazione, che forse se avessi girato a destra ora qualcuno non continuerebbe a stare in pensiero, ad aspettarmi, a tentare di capirmi.
Spesso lungo il percorso ho incontrato persone accanto che volevano trattenermi. Raramente chi invece era sintonizzato sulla mia stessa lunghezza d’onda.
Ma potrà mai uno nato pastore diventar coltivatore? E di che? Di illusioni?
Meglio disperderle lungo il cammino.
Uno come me chi se lo piglia?
Bel carattere eh?!
Senza nemmeno pensarci troppo, dicevo, rifuggo le catene. Mi irritano i polsi.
A volte sono cose banali, altre invece, come la ricerca di una casa, il lavoro, i legami affettivi, li affronto con una sfrontataggine ed una leggerezza che rasenta l’assurdità.
Insomma io sto bene quando sto in movimento, quando il ritmo dei pensieri e dei respiri si confonde col cammino.
Quindi sono immaturo.
Quindi non riesco a essere coinvolto in situazioni stanziali, quindi fatico a instaurare rapporti che mi creino delle limitazioni.
E in effetti mi accorgo che quando mi volterò indietro alla fine della strada continuando così mi resterà gran poco, tranne chilometri di curve per aver avuto paura di incontrare un punto fermo.
Lo so.
Ma continuo a camminare.

dic 31, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lastricando la strada di buoni propositi.
Radiosegnale del 31, codice morse decifrato a pixel.
Messaggio di fine anno a Blog unificati.
L’economia gira con noi, ma attento a non voltargli le spalle.
Dicono che un’onda anomala è una rarità e che fortunato è l’uomo che in vita ne incrocia la strada. Stromboli!
I Clerks in bianco e nero, Dante e commessi della vita, si scrollano dalle gambe le ultime insicurezze.
Io qui oggi non ci dovevo neanche venire, ma bello mio cocco de mamma siamo in ballo e quindi…
L’importante che sia un tango, de più, un Radetzsky vista l’ora.
Allora, sorridiamo? E che casso… Basta poco che ce vò.
Accuaba Charles, mio Ghana Taxy fifteen years old dal sorriso antinotte.
Qui si comincia un trecentosessantecinque di nuovo viaggio senza pista senza foresta senza fogne a cielo aperto.
Ma non ci si dimentica.
Ma non ci si arrende.
Poggio il mio ipocrito culo su un appiglio riscaldato.
Tra poco.
Mangerò con postura classica lenticchie e zampone.
Rutterò.
Riempirò l’aria con due ore di inutili discorsi raffreddando il cenone e demeritando il cuoco che tanto s’era impegnato grazie al mio tempismo da culo di gomma.
Ipocrito. Riscaldato.
Domani.
Sarò in viaggio con una schiuma da barba mignon nello zaino, regalo più gradito di una bimba che tutto di me ha capito senza bisogno di nulla.
Il movimento come condizione necessaria non sufficiente.
Non sciupatevi nell’attesa.
Siete così della bella gente che quasi mi vergogno a pensarvi tristi.
Scusate l’affronto.
Se avete speso tutti i vostri averi, giocatevi la vita. Con voi stessi.
Monodialogate con i vostri buoni propositi.
Ubriacatevi senza liquidi.
Accorgetevi di respirare.

dic 27, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Twin Gods.

E’ nato, è nato!
Svelti
tutti indiani
in fila da trenino
staccate il ticket
seguite il lumicino.

E’ nato, è nato!
Zitti incuriositi,
ma taciturno è il vostro viso
cos’è quello stupore
avrete mica esagerato col buon vino?

E’ nato, e nato!
Sorpresi da maraviglia
suvvia qual triste espressione!
Eppure è da saperlo:
è il Signore, il Redentore!

...e venne chiamata due cuori...

E’ nato, è nato!

Solo che è clonato.

dic 26, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Facoceri Cerebrali.

Eccoci.
Mattutini e splendenti come la rugiada inaspettata.
Trascinati in questo limbo fra la nascita redenta e il primo dei trecentosessantacinque.
Belli paciati ruttiamo gas dalle nostre pance fottendo l’austerity ventilata e scialacquando una mensilità in più in completa e inutile oggettistica di vanto.
Facciamo foto? Sorridi? FLASH!
Belli, belli, oserei dire carini.
Tesoro sei un’ amore ma dai quanto tempo sei in splendida forma ti trovo bene passami l’ affettato ma dai e la zia Nini? e la zio Nenè? Tutti passati a miglior vita? A dai mi dispiace son andati alle Maldive? Ah e la recessione? Frega a me finchè ce n’è certo che sto governo ah ma se ci fossi io menomale che tornano i Savoia ancora un po’ di salame e certo che i telegiornali son tutti uguali gira sull’uno che c’è la benedizione vi benedissero a voi state fermi Nico Lino Nino non si gioca con il cibo ai miei tempi mica c’era tutto sto ben di Dio un po’ di più di sti ravioli tornerà la guerra dicono che a Gennaio vanno a prendere Saddam chi quel fantoccio di Bush? mica è come Clinton già non ha l’età per certe cose, non ce la fa a inginocchiarsi eh è sempre l’età giusta scolta il nonno ma dove vuoi andare ormai zitta Lina che anche in pensione si fan di quei numeri già sperando che ci arrivi ancora la pensione beati voi a me tocca lavorare ancora per vent’anni se tutto va bene buono questo cappone faremo tutti la sua fine zac e non ce ne sarà più per nessuno e che pessimista guarda me che son interista e ancora sorrido e già ero piccolo così all’ultimo scudetto alla fine degli ottanta giravo con la Ritmo bella macchina te la ricordi? certo come i tuoi capelli lunghi eh? han fatto la fine di quelli di Arese, dispersi in cassa integrazione! Molto spiritoso fortuna che c’è il dolce così hai la bocca impegnata come Don Lurio hai sentito la predica alla messa della mezza ierinotte? Pace e bene e poi toccante il passaggio sulla fede minata da quello che mette esplosivo nei presepi eh mi toccavo si mica che me la metta sotto il confessionale quando tocca a me ma se è una vita che non te ne vai a messa almeno una volta all’anno potresti certo e anche tu potresti almeno una volta all’anno invece per favore ci sono i bambini zia anche io il caffè no ti fa male poi resti nervoso e sei troppo piccolo ancora guarda che io alla tua età anche tu sei stato bambino? Certo non hai visto Roberto ieri sera in televisione? in ognuno di noi c’è un bimbo che vuol solo diffondere amore e non dare i calci a tua sorella che è Natale.
Va beh, allora tombola?

dic 21, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Imbarazzanti attorucoli imbalsamati.

Tra l’arteria e il tepore quel che cambia del nulla è l’assoluto realismo di un’ esasperazione del dolore.
Centrato il bersaglio si paga il conto, spente le luci si spazzola il velluto.
Rimando al concetto sacrale biblico rivoltante ma per ammissione superiore costretto all’approvazione.
…polvere siamo e polvere ritorneremo…
Lascio al volgo il tocco bisferico.
Ma posizionati che siete in quella buffa postura, difficilmente contraddirete.
Quel che rimarrà sarà il pensiero.
Massimo due lustri e vi lucideranno i resti dei legni marci che vi faran da contorno.
Pietanze dell’al di là: non ci sarà più tempo per scegliere il menù.
Ginnasti della fortuna, amebe del pensiero, lucidalabbra da puttane: crac sarà il vostro sibilo.
Eccezioni di parcheggi introvabili: non incanalatevi.
Non fuggetevi quello stereotipato attimo per scoprir d’esser al punto del limite e mai d’aver creato.
Qui bisogna esser vivi, non esistenti.
Qui s’ha da far brillar le stelle con i nostri zippo.
Qui c’è da ingegnarsi e stringere il bofice.
Perchè quando finiremo l’ultima diretta vi voglio ubriachi, mezzi nudi a distribuir gioia,
mica infossati a invidiar passati non vostri.

dic 19, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Il buon risveglio.

Eh!
Adesso portala a spasso tu l’angoscia mia.
Eh!
Vieni tu a lacerarmi dentro: squartami, leggemi, scuotimi e rimetti tutto in ordine.
Ricuciscimi.
Eh!
A saperlo prima mi compravo un souvenir diverso.
A saperlo prima mi vendevo le sudate fatte barattandole con animali dal sangue freddo.
A saperlo prima mi illudevo dopo.

dic 13, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

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BlogRunner.

Anno di grazia DuemilaECentoEQualcheVita.
“Nei primi anni del secolo si diffuse un nuovo movimento nel mondo della cultura italiana.
Radicalmente innovativo anche nella forma di comunicazione, il “Blogghismo” vide le sue origini nelle prime manifestazioni di diffusione telematica.
Internet era agli albori della sua storia: il mezzo che da li a poco avrebbe completamente stravolto gli usi e i costumi della società moderna era, all’epoca, solo una rudimentale scoperta dai contorni non ancora definiti, un embrione che solo la storia ha poi saputo modellare nelle sue più complesse e attuali forme.
Ciò nonostante, un ristretto gruppo di intellettuali (?) ebbe modo di intuire le acerbe potenzialità di questa nuova forma di espressione culturale e, sebbene disomogenei nelle forme e negli intenti, portare all’attenzione dei salotti perbene una ventata di nuove idee che diedero ossigeno ad una ristagnante empasse appiattita da decenni di informazione monodirezionale.
A volte affiancandosi ai mezzi ‘ufficiali’, a volte opponendosi con forza e proponendo una innovativa controcultura, con l’ausilio di un mezzo potente e allo stesso tempo accessibile a tutti, riuscirono ad imporre finalmente una nuova ed originale rivoluzione del pensiero.”

Dissertiamo.
Che detto così può sembrare logorroico interinale, solo non riguarda astrazioni intestinali.
Dissertiamo sul non senso di un uso arzigogolato, di un fancazzismo verbale impresso.
Noi, la loggia bloggatara.
Sproliloquio: figli dei figli non nostri (miei in veritas) che tra un lustro leggeranno su supporti non cartacei di sfumature non comprese, di autori innovativi, di una loggia massone della controcultura.
Smorzamento degli angoli, semplificazione e firma del registro.
Ci studieranno. A breve parleranno di noi come una nuova moda, la tendenza internettiana a diffondere il personale che nel frattempo ne avrà smarrito l’origine.
Tra poco, pochissimo finiremo sui telegiornali, intervisteranno Zu, Sauro, Leonardo, il Rillo, gli Asphaltiti etece: diverremo istituzione.
Sorprendente parlarne al futuro prossimo con la sensazione stranita mista a stupore che tutto questo non sia già successo.
Una volta diffusi, amplificati e spolpati dalla massa riverenti toglieremo le scarpe e ci si puliranno i piedi con i nostri zerbini.
Dio tempo senza bestemmia sua almeno giocherà a raccoglier frutti dalla cenere.
Finirà a immaginar pargoli bionici esercitar gli ingranaggi su quel che menti pensanti avevan prodotto all’inizio del millennio.
Noi intanto si scrive.
Che poi forse, mica ne siamo tanto capaci.
Ma inganniamo bene.
Io primo.
Che poi forse, c’aveva ragione mio padre, che a continuar a scrivere si portan mica a casa i sghei.
Filosofo del fil di ferro.
Io primo.

dic 6, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Disteso sotto l’arco di un portone convesso.

 

 

Disteso sotto l’arco di un portone convesso

aveva l’aria di chi pensa a scatti

e stringeva in mano il resto di una vita a pezzi.

Lo svegliarono in ronda di coppia

dopo averlo spogliato anche dei sogni nascosti

rispose alle urla con un sorriso perdente

e si spolverò le scarpe in attesa del cammino.

 

 

Alzata la sua ombra che era quasi genuflesso

pensò bene di ringraziare i gendarmi

e mostrò il pugno alla ricerca dei ricordi dispersi.

Scambiando la pace con un segno di bisboccia

inveirono sul corpo da animi corrotti

tentò un ultimo riparo all’abuso di legge

ma guardò il cielo e non vide che un segnato destino.

 

 

Resta il cartone

che nascondeva un pensiero

che pregava il passante

di esser sincero.

 

 

Resta l’odore

che deviava il sentiero

che raccoglieva sonante

moneta dal clero.

 

Finita che fu l’opera

spolverarono gli stemmi, si alzarono il bavero

e rimisero i legni a contatto di altra carne

volgendo lo sguardo al mercato imminente.

Di li a poco popolata la piazza era un brusio

soffocata dalla notte ospite in ritirata

che alla chetichella sgattaiolava tra le bancarelle.

 

 

Non lasciarono che una pozza di sangue povera

senza nemmeno avere il tempo rapido

di restare a contemplare la loro opera d’arte.

Lo trovarono in mezzo al segrato, quasi impertinente

ad occupar lo spazio spettante al buon Dio

morto ad inizio di giornata

svenduto al mercato di un’ esistenza inconsistente.

 

 

Resta il cartone

che nascondeva un pensiero

che pregava il passante

di esser sincero.

 

 

Resta l’odore

che deviava il sentiero

che raccoglieva sonante

moneta dal clero.

nov 9, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Passeggiava ristretta. Lei.

 

Tintinnava sul marciapiede evitando le pozzanghere con i riflessi dei braccialetti d’oro.Umida.

Avanti e indietro. Più calda di un Novembre inoltrato che respingeva con piccoli sbuffi di vapore partoriti da un burrocacao accogliente.

Sorseggiava distratto. Lui.

Immerso nella bagnacalda umana, appendice temporale del tavolino all’angolo di quel bar senza insegna. Scotch. Secco.

Ordinava pensieri sparsi. Ritmava tamburellando le dita sul quaderno aperto algoritmi di una vita che gli presentava il conto.

D’estate incrociando le gambe metteva a sedere i suoi inutili drammi. Lei.

Su quella panchina, un libro come paravento al destino, incuriosiva i passanti del parco cercando di interpretarli.

Le piaceva distrarsi in altre vite, svago gratuito e alternativa pericolosa.

I giorni di festa gli regalavano un sorriso amaro. Senza catene se ne stava rannicchiato accanto alla sua vita. Lui.

Custode di un abbandono mai riuscito, passava le domeniche in attesa di un ennesimo e rassicurante lunedì assorbente.

Fu la porta del locale a farla entrare.

Fu lo sguardo intuìto e nascosto a farlo voltare.

Il destino è una scelta.

 

ott 18, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Ti han già cambiato le pile?

- Prego?
- Le pile per ricaricarti.
- No.
- No?? E perchè?
- Dicono che mi devo lasciare esaurire. Quindi niente più batterie per me.
- Mi dispiace, non lo sapevo. Mi dispiace davvero. Posso far qualcosa per…per…
- Non ti preoccupare, me lo aspettavo. Prima o poi doveva accadere.
Sai, dicono che me ne accorgerò solo all’ultimo, nel senso..cioè… tu mi vedrai più lento, capirai da molto prima,vedrai i miei riflessi appannati… ma io, io non sarò in grado di realizzare quanto mi accadrà se non pochi istanti prima che la carica si esaurisca del tutto, percui…
- …
- …percui mi chiedevo, vedi.., è un po’ imbarazzante per me ma… quando accadrà… ecco… non metterti a ridere…
- E perchè dovrei? Senti non dirle nemmeno queste cose ok? Sai che…
- Dico sul serio. Sarò goffo, impacciato, estremamente ridicolo. Lo sò.
Ma se fosse solo quello, capisci, non me ne renderei conto, sarebbe comunque tutto normale per me. Ma se ti metterai a ridere, rovineresti tutto.
- E perchè mai dovrei fare una cosa del genere?
- Se ti scappa anche un solo sorriso, rischierei di accorgermene.
Voglio dire, all’improvviso prenderei coscienza di quello che mi sta succedendo e sai quale sarebbe la cosa buffa?
- No.
- Che morirei un po’ prima.
- Ti prometto che non accadrà.
- O di questo ne sono assolutamente sicuro.
- Di me puoi fidarti.
- Lo so.
- E come lo sai?
- Per lo stesso motivo percui tu ti sei fidato di me.
- E questo cosa c’entra?
- Mi hai visto ridere fino ad ora?
- No.
- Già.
E sappi che è stato molto difficile non farlo.
- …
- …
- Vuoi dire che..
- Già. E’ toccato prima a te. Loro non hanno voluto avvisarti. Sai, per via del tuo carattere…avevano paura della tua reazione. Così hanno chiesto a me di starti accanto fino a quando… fino ad ora insomma. Me n’ero quasi scordato e invece, poco fa, ci hai messo un’eternità per ricordarti il mio nome. Così non ti ho più mollato. Ora sei al capolinea.
- Grazie.
- Figurati. Ma ora preparati, ti manca poco meno di una tacca al rosso dell’ EMPTY.
- Beh, ci siamo allora….
- Già. Addio.
- Add…
M.

ott 5, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Dammi un solo motivo per non farlo.

Uno solo.
La nebbia porca trota, la nebbia qui da noi ti avvolge anche a Ottobre. E Ottobre, se ci guardi bene, sul calendario sta a un giro dall’estate e a due mesi dal Natale. Eppure lei, la nebbiolina, non mente per natura. Soporifera al punto da addormentarti, subdola da addomesticarti e compatta a tal punto da permetterti da nasconderti perfino da te stesso.
E non puoi neanche sublimare.
Una volta che fai da coltello e te ne sprofondi al suo interno, in questo stato di condensazione burroso-vaporosa, beh se ci entri è proprio difficile uscirne.
Stai lì, sospeso nel nulla e te lo fai anche piacere. Il corpo tutto umido senza una gocciolina di erotismo e tutto intorno un grigio spalmato e plasmato a tua immagine e somiglianza.
E’ un mondo a parte, un’inalazione tremens, un delirio inesistente dei sensi ma riappacificatore.
Piace la nebbia, c’è poca da fare. Prova a dir di no. Non vedi nulla a un metro da te; un passo dopo è panico di abbandono fasullo, due respiri in più ed è beatificazione dei sensi, annullamento dei punti cardinali, realtà virtuale del tutto naturale.
“A” gratis ti fai un viaggio lontano, un trip a costo zero.
Organizzerei un pullman con il cartello sul vetro davanti,in basso a destra :”Nebbia”.
Tutti li a far casino, ridere cantare, ma che bravo il nostro autista e poi a un certo punto trac vigliacca eccola lì, all’improvviso.
Succede sempre così alle gite, si è li tutti a esser felici e stanchi ma poi quando alla fine del viaggio ti ritrovi con negli occhi l’arrivo te ne stai zitto ad ammirare, e con te tutti gli altri.
Ecco, si scende. Giù tutti e non lasciate nulla sulla vita. Che poi il pullman riparte e mica vi aspetta.
E poi niente, si sta lì e si guarda. La nebbia.
Dammi un solo motivo per non farlo.
M.

ott 1, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Il mio baricentro sfasato.


Il mio baricentro sfasato ondeggiava tra le lacune vitali e suscettibili di resti eterni e mai compianti di uomo e il solfeggio schietto di un’ improbabile caricatura umana coperta di una trapunta di tormenti.
So che è un incipit pesante. Me la potrei tirare per un inizio così.
Oppure credere opportunamente di essermi scritto addosso e lasciare che le parole inumidiscano a rivoli il sottobalcone.
Ma giuro è venuto fuori all’improvviso,
come una schiuma di spillatura inaspettata.
Avanti.
Il resto era gioia. A sprazzi. Così intensa da sollevarti.Così violenta da abusarmi.
Finchè mi rialzai, spolverando il grano e mangiando la polvere.
Eran le quattro passate. E l’ombra alle spalle, già mi aspettava.
Ma fino all’indomani non mi avrebbe superato.
Questione di equinozi e intuito.
O fortuna.
Fatto sta che mi rimisi a vivere, scambiai gli avverbi e ci rimisi dentro poca passione.
Carburai come un diesel. E mi tolsi il cellophane.
Non mi hanno ancora fermato. Solo qualche multa.
Eccesso di libertà.
Obbligo di verità.
M.

set 23, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

M’è capitato di dipinger sassolini.

E’ un lavoro di pazienza, attesa, frustrazione e dosaggio del colore.
Serve un pennellino, talmente piccolo da condensarci le parole.
Ti metti li, pigli il primo sassolino.
Respiri.Sospiri. Lo rigiri fra le dita.
Lo scarti.
Perchè il primo, non è che abbia mai capito il perchè, lo scarti sempre.
Fa nulla se poi alla fine era il più adatto.
Niente, hai deciso che non andava bene, che era meglio quello un po’ più piatto, o più liscio.
O semplicemente lo scarti perchè è il primo.
Mai capito il perchè.
Prendi il secondo.Superi la prima fase, lo certifichi e lo rendi idoneo all’opera.
Omologato.Via.

Adesso è il colore. Cosa spalmare sopra il grigio? Il grigio è una buona base. Inutile.
Dipende dal progetto che hai in testa.
Puoi mica partire con un giallo se vuoi dipingere il sole.
Troppo facile, troppo piatto, troppo liscio.
Scartato. Via.
Il giallo,intendo.
Pausa. Indecisione.
E ancora,nemmeno un segno sul sassolino.

Una bottega, meglio:un retrobottega.
Magari un bancone di rovere così antico che se ci fai caso vedi persino gli occhiali dei tarli che fan capolino e ti salutano lenti alzando la zampina.
Buongiorno nonno tarlo.
Due passi dietro trovi la parete color bancone che chiude lo spazio e il tempo.

Ecco, vada quindi per i colori caldi. Tutto su tinte marroni. Niente variazioni o contrasti, un’andatura lieve.
Via dai, puccio il pennello nel marrone.

Un passo davanti alla parete le rughe,la giacca con le toppe, l’alito sporco e l’infarinatura bianca della barba che rende l’orologiaio quasi fermo.
-Mi dica giovanotto, c’è qualcosa che può fare per lei un vecchio come me?
Un passo dietro all’uomo, come un sussurro o un brusio di commento, le lancette tic tac tic tac asseriscono e approvano la domanda.
Come si fa ad approvare una domanda?
Mi stanno valutando. E sono tante.
Le lancette. Dentro agli orologi appesi alla parete.
La parete,quella un passo dietro al vecchio.
Che è la stessa a tre passi da me. Nel caso vi foste persi.
Comunque son davvero tanti questi orologi.
-Giovanotto, non è che mi sia rimasto molto tempo sa?

Quindi ci devo mettere anche del bianco.Bianco panna.
Colpa dei quadranti.
Quelli a cucù li posso ancora spalmare in dissolvenza, ma quelli rotondi e moderni,con i numeri neri grossi a contrasto, beh quelli devo proprio farli bianchi.
Magari uso un secondo pennello, così evito di annacquare l’altro.
Così adesso siamo qua: io, il sassolino (che è già quasi un mondo), due pennelli, un orologiaio,due colori,un bancone,una parete,una risposta in attesa.

- Allora ragazzo?
- Non la posso dipingere.
- Come?
- Ho provato, ma indossa una camicia a quadretti, o almeno questa è l’unica scusa sensata. Insomma troppo piccoli nel piccolo, ci son dei limiti e un compromesso richiederebbe una tinta unita, bianca o marrone. O farle cambiare camicia,ma dubito che sia daccordo. Ammesso che ci riuscissi,comunque, lei non ci starebbe.
- Non ci starei dove?
- E poi male che vada dovrei toglierle qualcuno di quegli orologi appesi lì dietro, altrimenti sono quasi sicuro che lei si confonderebbe con lo sfondo.
Dovrei rubarle del tempo.
-Mi sa che me ne hai gia rubato abbastanza del tempo, figliolo.
-Ha ragione.Mi scusi.
-Non c’è problema.
-E’ da molto che fa questo lavoro?
-Da più dei tarli.
-Le piace?
-Mi è piaciuto.Almeno sò sempre che ora è.
-Per cosa?
-Cosa?
-Che ora è per cosa?
-Questo non lo so ragazzo.Sicuro di star bene?
-No. Chi ne è sicuro?
-Ha ragione. Ora mi scusi, ma se non abbiamo niente da dirci è meglio che torni al lavoro.
-Già.
-Già. Buona giornata.
-Buona giornata anche a te ragazzo e auguri.
-Per cosa?
-Per i tuoi quadri. Non dipingi?
-In un certo senso.
-Sei strano ragazzo.Indubbiamente.
-Non mi sono mai posto il problema.Di nuovo…
-Di nuovo.
-Comunque non le volevo mica rubare del tempo.
-Lo so.
-Glielo volevo restituire.
-…
Finito. Se prendi una lente noti persino la marca di quelli in alto a destra, vicino alla macchia di umidità.Probabile che entri acqua dal tetto.
Non è stato facile, perchè li il sassolino fa come un incavo e curva veloce e la difficoltà è fare asciugare in fretta il colore prima che coli e rovini tutto.
In compenso i numerini sulla cassa di ottone sono usciti una meraviglia.
Ora allontanati un po’ e dai uno sguardo d’insieme. Non male vero?
E pensa che ho usato quasi esclusivamente bianco e marrone.
Anche per il vecchio orologiaio.
Alla fine son riuscito a dipingerlo.

set 7, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Giocare a dadi col destino è una gran bella sensazione.

Ti divide dentro in combinazioni statistiche, ti altera il metabolismo.
Se sei fedele a qualsiasi religione eccoti lì sotto la croce, spugna imbevuta e macchie d’aceto sulla tunica di qualcun’altro.
Se il fumo che ti attira non è incenso ma si alza dai posaceneri incastrati nei panni verdi,allora rifletti slot machine e donne bellissime seduto un tavolo fatto quasi mai per mangiare ma per esser digeriti.
Sei sfaccettature, sei lati di un’unica anima cubista.
Di solito loro, i dadi, se ne fregano di te.
Lanciati in coppia nel bungee jumping quotidiano, rotolano verso un destino mostrando raramente insieme la stessa faccia.
Speranza,quando credi di stringerli in mano col tuo destino.
Insicurezza inconscia, nel vederli rotolare lontano.
Quasi sempre inammissible incomprensione quando regalano la felicità ad un volto che non è il tuo e realizzi che in fondo le combinazioni sono comunque una in più della tua ingenua convinzione.
Ma è un attimo che hai già alle spalle.
Poi di nuovo: altro giro altro regalo.
Perchè tanto lo sai, che prima o poi toccherà a te.
E sarebbe un peccato non esserci.

set 2, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Sai qual’è la cosa buffa?

No dico, davvero non mi guardare con quella faccia, ci scommetto una vita che t’è capitato anche a te…po’ pur S… va beh allora non te lo dico comunque è vero…vero cosa…accendi i fari è buio…non è che mi ci metta davvero d’impegno ma è che capita…che razza di radio, si prendesse una stazione decente…muoversi con gli occhi,strada deserta, manco un lampione…comunque fai tutto e non ti accorgi di niente, in realtà è come se ce l’avessi già in testa, già bello e costruito ma poi il muro è la realtà…ecco ci mancava solo una canzone depression, cambia stazione, buio che non si vede se non te lo immagini…ma è vero, testa al finestrino, scommetto che ti succede anche a te… po’ pur S….male alla testa, botta che botta come è successo, idiota…un sottofondo, un’inquadratura, un film, ma non è un film, ma tanti intrecci…solo fari di posizione speriamo poche curve…strada o binari, comunque sai dove vai ma o ti scegli o ti lasci scegliere, paralleli… e poi all’improvviso si incastrano tutti e immagini, cioè pensi quel che non è o quel che vuoi che sia…disordine, riordinare la mia stanza, riordianare la mia vita…no certo ti capisco succede a tutti…si vede niente..no?…Capisci, come un film insomma, ma mi ascolti?…che male alla testa…ma è l’unico profumo che hai…si certo, capisco, ma mai un finale uguale, nel senso nella mente è quello giusto ma poi chi sa perchè chissa per…insomma un intreccio difficile…polmoni ok, cuore va per la sua strada, testa, che mal di testa…buono è? lo spruzzi, lo senti, lo ricordi ma poi non c’è, è questo il trucco che fa male.. mal di testa…comunque capisco.
Sorrisi,abbracci, profumi,compassione.
Strada senza un lampione.

ago 18, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Non che vi sia un posto, credo.


Nemmeno che esista un tempo, giuro.
Ma il problema è il bagnoasciuga.
Il Pallone d’Agosto rotola sulla spiaggia e vi passa accanto spruzzandovi la sabbia negli occhi.
Prendetevela con i bambini che giocano a costruir castelli di sabbia, i più bravi lo faranno per tutta la vita, i più fortunati verranno ricordati per averci abitato, in quei monumenti precari esposti al sole del mondo.
Quelli a metà del tragitto, a cavallo dei trenta, ne chiedono le stanze in affitto, di quei castelli.
Tutti comunque prima o poi credono di aver sognato l’arcobaleno.
E si svegliano.
E il naso è bagnato, il temporale passato.
L’amore sognato, il castello distrutto.
E si ricomincia.
E intanto il Pallone rotola, fino alla riva.
Un’onda lo prende in grembo, un’onda lo culla, un’onda lo riporta al bagnasciuga.
Terra di mezzo, tra chi sta in mare e chi è spiaggiato, approdato o naufragato.
Terra a metà, orme che cambiano di continuo.
Onda dopo onda.
Bimbo, hai visto per caso il mio Pallone?
Il problema è il bagnoasciuga.

ago 12, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Il Pallone sta rotolando.

Verso un’atipica fine estate 02, e probabilmente ogni Tg già vi ha detto che è la più anomala degli ultimi 30-40-50-1000 anni.
A seconda del redattore, dell’agenzia e del commentatore che può produrre una variabile incostante di papere sappiate che ogni 365 giorni instabili vi sentirete dire che quest’anno, ma solo per quest’anno, siete partecipi della più calda e/o più bagnata e/o più assurda estate degli ultimi X lustri.

“D’altronde è così”, dicono le rughe anziane abbassando l’asse di coppe sopra la tovaglia plastificata a quadretti rossi e bianchi della Trattoria Assunta.
“D’altronde è così”, picchiando la carta non troppo forte per non far gli sboroni e per non rovesciare il calicino di bianco scientificamente posato sull’angolo estremo dell’area di gioco.
“D’altronde è così”, dogma asettico fra un grido di “SCOPA!” e il sussurro del pettegolezzo sulla figlia del suocero della zia del tale che aveva il casale che si imboscava col marito della di lei compianta facente parte della famiglia dei soprannomi di paese che raccolgono un’anima.
“D’altronde è così” e te lo dicono da lontano ma non si spostano.
E’ solo la voce che arriva, credo, con un attimo di ritardo.
Comprensibile, visto gli anni che ha dovuto attraversare per fare il giro di una vita e arrivare da te.
Semplice e increspata.
Una voce così, solo i vecchi la sanno fare. Se ci provi tu è comicità, se la fanno loro è storia.
E quindi ci credi.
Poi gli cerchi gli occhi, per capire, sperare, che oggi vedano il sole.
Ma gli occhi non li trovi.
Sono fessure con gemme di pupille.
La fronte è più bassa per il peso degli anni, il raggio di sole segue la curva della schiena piegata che ancora trasuda sudore e quando pensi di averglieli visti, gli occhi, già sei perso nella cartina geografica delle loro mani.
Nemmeno il colonnello Ciocci Yoghi Giuliacci potrebbe competere con loro. Sconfitto in partenza,senza nemmeno avere il tempo di attaccarsi al satellite, al centro Epson e alla madonna di Ceznokova.
A loro basta alzarsi bestemmiando dal tavolino (se ti scegli il socio peggiore a briscola sai già come va a finire) ,spostarsi bestemmiando su quella striscia di sabbia di 2 metri per 20 ( adesso le squadre le faccio io che il Toni ha l’artrite e mi pende sempre a destra e il Tito che è zoppo mi scavalca sempre il boccino), alzare gli occhi al cielo e decidere il destino del tempo, del loro solitario mondo, e della partita a bocce del pomeriggio.

-Toni, sa diset, al pioerà amò?
-Sappie me, so mia el Bernacca!
D’altronde è così.

ago 6, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Hai notato che l’eleganza dei tuoi passi non coincide col tuo sguardo?

Non puoi portar da diva se gli occhi pensano al nulla.
Devi crearla questa terra, non puoi esser solo che una farfalla.
Hai le ali ma non ti guardi la schiena.
E mai possibile che debba sempre insegnarti a sognare?
Chiedilo al bimbo se è felice. Chieditelo.
Allarga le braccia e comincia a volare.
Con l’eleganza dei tuoi passi.

ago 2, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Copenaghen fa sempre il suo bell’effetto.

Per uno che arriva da Bergamo, i paesi nordici son nordici, non gli entra in testa il termine Scandinavi. Stona.
Nordico è più familiare, sa di freddo, e uno di Bergamo che vede il sole – quello vero – solo a Agosto, il freddo se lo porta senpre un pochino dietro.
Così quando arrivi a Copenaghen mentre a Riccione sai che c’è qualcuno che si butta tutto ignudo dal Kamikaze dell’Acquafan, beh quando arrivi in questa strana città e metti il naso fuori dal camper ti accorgi che il Freddo qui, ha la F maiuscola.
Se ne sbatte di te, ti piglia in giro, e ti convince che forse era meglio portare un maglione in più e fare meno il divo alla partenza.
Ma tant’è, ora ci sei.
Mi son messo a parlarvi del freddo non perchè sia l’argomento di questo pezzo di blog, ma perchè altrimenti non vi incastrate nello scenario in cui tra poco entrerete.
Prima serviva congelarvi.
Ora, pensate a questa piazza, la piazza centrale di Copenaghen, sa il diavolo se me ne ricordo il nome, ma dovreste vederla.
Arrivi col treno e ci sei già in mezzo, a destra parte la via principale, poche auto,molti tram, incontabili le biciclette. A sinistra palazzoni, mura senza tanti fronzoli, ma le finestre sono uno spettacolo. Tanto essenziali fuori le case quanto piene di vita all’interno. Ogni finestra un acquario, ma niente pesci tropicali, solo persone. Ogni finestra una storia.
Davanti ci sono i cancelli, sbarra,verde,sbarra,verde,sbarra,verde. Dietro le sbarre, il Tivoli.
Tivoli è un parco. In mezzo alla città, a uno sputo dalla piazza,giuro c’è un parco.
Che parco è il termine giusto ma non sai come associarlo a quel che vedi. Timbri il biglietto, entri e senti. Attrazioni, giochi, montagne russe son le prime che scuotono le orecchie. Hai un flash e pensi di essere a Gardaland. Ma qualcosa non quadra. Sei tentato di staccare i colori sulle faccine del cubo di Rubik che hai in testa, barare, e convincerti che davvero tra poco vedrai il draghetto Prezzemolo. E invece sei in Danimarca e capisci che la differenza è un passo più in là, quando dimentichi gli ottovolanti e colleghi il cervello agli occhi e ai chioschi che ti ritrovi davanti e che prima eran vuoti, insignificanti ma che adesso stanno prendendo vita.
Chioschi perchè non ce n’è uno solo, sono sparsi. Ma a te colpisce il primo, quando cinque elegantoni che sembrano appena sbarcati da una serata di gala su un transatlantico ti passano accanto con infinita eleganza e ci vanno dritti in mezzo.
Scoprono i teli, si siedono.
E comincia la musica. Blues in questo caso. Ti eri seduto su una panchina all’inizio perchè non capivi bene. Ora ti alzi, per rispetto di quel blues nato dal nulla ma che ti sorprende. Blues, in mezzo al parco. In mezzo alla città. Son neanche le quattro del pomeriggio e questi mi fanno blues.
Ruoti la testa, segui il sentiero. Altro chiosco. Soul. Ruoti la testa, segui il sentiero. Altro chiosco. Jazz. Una via crucis del sound.
Alla fine arrivi all’auditorium, lo leggi sul cartello e pensi: au di to rium. Musica colta. Lirica Classica. Questa poi. Entri.
Pianoforte e Clavicembalo. Ascolti. Esci dopo un ora di accordi lenti e mielosi, sai che domani comprerai lo stesso la Gazzetta dello Sport in bianco e nero di quelle che trovi nelle edicole all’estero ma intanto hai ascoltato pianoforte e clavicembalo.
Trotterelli ancora in mezzo al parco, è quasi il tramonto ormai, sei quasi all’uscita e trovi il palco. E sotto al palco jeans, magliette strappate, piercing persino sulle unghie.
Ti fermi, il tuo cervello fatica ad associare il piano sequenza.
Poi è di nuovo musica. Rock. Blood Houd Gang. Il bassista a un certo punto si incendia i capelli, il cantante è un allievo di Axel Roses e a metà concerto si spacca una chitarra.
Notte. Esci dai cancelli.Sbarra.Blues.Sbarra.Soul.Sbarra.Jazz.Sbarra.Classica.Sbarra.Rock.
Esci e ti ritrovi in piazza (ricordate?).
E torno al punto di partenza, la piazza. Solo che ora è notte, anche se rimane la piazza centrale.
Ma adesso è diversa, ci son degli scatoloni neri in fondo e un coso con delle lucine, ma non si vede bene perchè son coperti da gente che ci passa davanti.Danzando.
Capisci quando sei così vicino da scrollarti dalle orecchie gli assoli del chitarrista rinchiuso dietro alle sbarre del Tivoli.
Ti avvicini e lo senti.
Valzer.
Due casse, un amplificatore, i lampioni accesi.
E in mezzo coppie di ballerini, di ogni età, di ogni sesso, anche incomprensibile agli occhi.
La piazza è piena, la città è sospesa a ritmo di valzer.
Sembra tutta lì, Copenaghen.
Sembra tutto lì, per una sera, il senso della vita. A ritmo di valzer.
Se ci andate, ricordatevi di portarvi un maglione in più.

lug 30, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Questa è una prova.

Una bella prova a dirla tutta.
Perchè ci vuole abilità a dir cosa stai facendo adesso. Son tutti bravi a pigiar tastini, ma a tradurli in emozione beh, è un altro gioco…
Il pallone d’Achille è prima di tutto una trasmissione radiofonica.
Di quelle toste, non roba per tutti. La conduce Michael, sta trasmissione, e accanto a lui il fido compagno Nino.
Nino,l’apoteosi dell’assurdità.
Ora succede che al pallone d’Achille le parole volino nell’etere, quei due si mettono lì, si attaccano al megafono e parlano.
Le parole danzano, galleggiano nell’aria, ti arrivano dentro al cuore. E quando non ce la fanno più..zac… parte la musica.
Il problema è il fumo. Il fumo in cui svaniscono quando si spegne la lucina ON THE AIR.
Per questo nasce questo blog.
Per essere sempre in onda dentro la vostra testa.