ago 22, 2005 - Senza cicatrici    No Comments

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Lei, m’insegna, è difficile da raffinare.

Dov’ho smarrito la teglia del corpo?
Il punto esatto fra crudo e stracotto dove solevo menarmi lo spasso al mondo?
Dov’ho corrotto l’uomo passato al placido mio setaccio?
Quale il burrone dove rotolatata è burlata la mia gioia squagliata?
Dove il recinto, dove la staccata d’andata al biglietto, dove il passo in più del troppo alto crepaccio?

Gelsomina ha un nome che ride
ne piglia che gliene danno
s’appassisce e via rinasce mite
e lei piace di perenne vanto.

Non c’è trucco, non c’è inganno,
accorrete al baraccone, ne restan per poche ore.
C’ha ragione quella che mi correva parole dicendo che sarei morto presto
che sarai stato sfamato solo da postumo
che portavo a spasso un bersaglio da colpire con freccette manco di rovere
che fiutato lo sfiato s’è girata d’altro lato
al tramonto ha preferito l’alba
e che la notte se la inghiotta.

Mai parlare di macabro sai,
mai ossa, umido e terra.
Mai differenziarsi la raccolta di parole
perchè dicon che c’è troppa gente di scrittura
senza grafia o morfologia.

Sghembo, capisca, non è forse il periodo storico adatto al suo genere di mente,
tardorinascimentale, ottocentesca, cappa e spada e fiorin fioretto,
oppure futuribile e complessa,
astrusa dal contorno irso, spigoloso, denso,
lei, mi insegna, è difficile da raffinare.
Non se la prenda a male,
vada a faticare.
Ci son già pieni i coglioni di politici, rubamazzi, finti attori e sinonimi,
ci mancherebbe.

Ci mancherebbe.
Si dia retta,
mangi qualcosa pagato di suo.

Se hai due ciacole senza spese poggiale sotto nel bianco.