ott 14, 2005 - Senza cicatrici No Comments
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Charleston.
Le corde steccano un riverbero che da lontano pare un muggito strano,
un passato quasi asciutto ormai.
L’umido lo tocchi, è alle spalle e ti soffia sul collo d’un rauco bastardo.
Nel mezzo continui a rigirarti ma dove in questo mare di pece nemmeno lo sai
e allora butti via gli occhi che tanto qualcosa te ne daranno in cambio
e decidi di scommetterti l’alito sotto l’unghia.
Abbaiando raschi la voce fra le fughe delle croci
ma non c’è verso d’uscirne da dove sei
e passi la mano
e ciocchi le pozze.
Fermo, compagno unico dell’ansimo,
alzi il collo ed è nero pure in cielo ma d’un diverso.
Fresco, parkinson variato da chi c’è già stato ed ha già dato.
Svuoti quel che più non ti appartiene e la senzazione che non scorgi
è quella della trasparenza
come un fiore ramino sul fucile del suo cecchino.
Prostrato offerto al rinculo della scure
abbeverato al catino del signor macellaio
sporco dal grasso adatto al tuo svicolo
e punto di raccolta unto dalla super offerta.