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gen 29, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Disperso.

Lasceresti seccare quel bacio su altri avanzi
dimenticando le sue mani venire a cercarti
non dando una stretta alla sua vita
avendo paura dei brividi dentro l’alchimia?

Passeresti il tuo tempo rispolverando i gusci
delle tartarughe lente sopra gli scaffali
sfogliando pagine mute dei tuoi diari
solo per la tua massima aspirazione
d’essere stato assoluto strumento di precisione?

Peccato, è quel che è stato
non sono quel che vive
un passo dietro allo sbando:
quel che mi sento lascio.
E pago.

Seguendo la discesa delle tue lacrime
nello zucchero a velo della passione
c’è una favola dove ti sei dispersa
con un finale senza amore.

C’è bisogno di un dottore
serve un campo lontano
acqua e un nuovo seme
il problema è che non cresce
quel che non è poi così strano
senza almeno un po’ di bene.

Vivere d’altri
in cerca d’attracchi:
sbagli.
E t’aggrappi.

Non sono quel porto
da bacio rubato:
sbaglio.
E pago.

Continua qui.
gen 10, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Madrigale insonne.
Dono, fuoco sacro lamento ultimo arido e deserto.
Avverso, rifiuto d’un fuoco sopito nel tempo.
Loto, arabesco sfregiato impresso a fuoco nel canto.
Nostro, fuoco altissimo ingegno discinto dal verso.
Spento, residuo fievile alito di fuoco dal vento.
Fatuo, vano fuoco rassegnato e disperso.
Fresco, estremo strappo e sofferto fuoco perplesso.
Fuoco, ebbro di legno saziato dal freddo.
Centro, cardine fuoco e perno del senso.
gen 8, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Veleno.

Un modo semplice,
un sorriso alto verso gli occhi,
per dirti
che ho raccolto tutto il bene
fra l’unghie delle mie mani.
Bevilo.

Un accordo di piano,
due parole,
un giro azzeccato.

Un modo semplice
squassato al silenzio
per distillarti
chino sul tuo ventre
tutto quello che declino.
E bevilo.

dic 30, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Ted Se.Me.Se.

Fotocopia spiccica parola.Angelo può essere un messaggio da riciclaggio.
Staccando il numerino in coda per il paradiso il suo ruolo è quello di darti un passaggio, dai andiamo ti accompagno.
Ed essendo luccicato con le ali allo sbaraglio capita come ovvio che il vento da lui agitato colga in fallo di stupore, amore e abbaglio quelli in attesa uno dietro a un altro in questo d’altromondo pulsante viaggio.
Sto a star di fuoriluogo sopralenuvole come diavolo di realtà ad osservar d’obiettivo altrui la situazione.
Ad ogni anticipato fiocco uscito dallo sbatter di quelle piume, pur sapendolo effimero, mi sciolgo.
Non è il mio posto: far il finto beato in mezzo al loro tirarsi matto.
Non è facile da gestirsi dal fuori del gran ballo, figurarsi il loro esser preso in pieno nella danza.
Ma ho un amico perso da riprendermi là dentro, per questo attendo e vi condivido lo scazzeggio.
Ah, ecco vi racconto questo mentre son qui che aspetto, così si passa un po’ il tempo: io non sono fisionomista.
Non per sbadataggine, ma se qualcuno sapesse mi dica: sarà una malattia?
Io mi scordo le facce della gente da bene che incontro.
Se mai passassi davanti al tuo presentarti nei miei confronti sappi che se la volta dopo mi ristringi di abbracci può darsi o capitarsi che io rimanga per un istante interdetto sulla soglia del tuo viso.
Poi ti ricostruisco, ma quel mezzo secondo fottuto mi sgama facendo cascare il trucco.
Ed è veramente brutto.
Come se mi dessero botta da schianto sul cervelletto proprio nel momento stesso in cui riappari.
Stonk.
Intendiamoci non è sempre negativo: i brutti ricordi se ne vanno con chi me li ha lasciati, tatuaggi endovena a parte.
Almeno lo scordarsi in certi casi anestetizza.
Distruggendomi mi rimodello su altra scala per dimenticanza.
Ma il più delle volte ci rimango macerato.
Sappilo: nel caso mi reincontrassi ti prevenisco dai miei invasi.
Dico per dire, mentre si dipana la fila fondente contorta in attesa.
Per il resto sto ancora in finta quiete: loro son sempre in coda e io sempre qui d’un rosso infuocato splendore pronto al pizzico da dare all’aspettato come d’amaro dolore quando mi verrà incontro mentre quell’angelo puro balugo continuerà a sventagliare sorrisi sterminandoli uno a uno.
Davvero.
Ecco il mio amico.
Com’è andata, gli dico.
Non parla. Annaspa.
Affoga dal dentro.
Presentimento.
Davvero.

dic 25, 2003 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Mike Xmas Carol.

Tè lo vedi il Santo Babbo lì in alto?Tagliacarte fissanti decorati d’emozioni traballanti.
Bei regali.
Vischio sotto ai baci.
E’ inutile che lo tratteniate, vi fate solo del male.
Poche cose semplici
da ricordare persino per una testa da vasi comunicanti insignificanti
come quella che mi hanno assemblato sopracollo.
Se c’è, Lei, non la si può cartoingessare.
Davvero.
E se viceversa più non traspare magari perchè trasformata in abitudine da addobbi logorata,
se ascoltata vi darà la forza per essere cambiata al banco dei pegni dei sentimenti scoperti.
Ma se vi esplode dentro senza timer che ne regoli notti insonni o mezzefrasi trattenute
allora lasciatela andar di doppia coppia e senza freno schiantatevi di poker d’amore con i vostri finalmete calati quattro assi.

Non è facile
non è facile
non è facile.

Balle dell’orso Yogi.
E’ più complesso costruirsi l’inutile cartone d’amplesso per ripararsi dal primo temporale spazza muffa del cuore,
è maledettamente più complicato finger con se stessi che con chi vi mostra netto al taglio il vostro star bene d’unico accordo assieme.
Il resto è buono da mettere in rima
ma ce n’è una, di vita.

Una sola per volersi bene,
una per farvene volere,
una per non rimpiangersi,
una per darne
una per viverla.
Una vita.
Una.

E ogni venticinque per dodici
non che diventi tradizione,
son qui a dirvi ancora
quel che vi dovreste darvi un senso:
amate, d’un amando senza rimando
rimando la vita d’un canto
dando quel tanto che dica io valgo.
E che cazzo.
E buon Natale.

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