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mag 23, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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L’arena dalle penne a sfera.

Punteggiatori sparsi.Un anno fa al Parco delle cascine si era seduti in ellisse.
In mezzo a quella folla variegata un tale, certo Simone detto Livefast, dagli eventi si erse prima di ardersi in benzina nella rinascita due punto zero e come stilita senza roccia appuntita domandò ai presenti attoniti: ma allora cosa accomuna noi blogger?
Niente fu la risposta.
E quel niente, ora rodeante, ancora ci unisce quasi trecentosessantacinque alzate di letto dopo.
E nel frattempo si sono allargati gli abbracci, le pacche forti sulle spalle e gli sguardi incrociati.
Di premessa: tutti eravate tanti e troppi ne siete da ringraziare singolarmente.
Sappiatelo, nel mentre vado avanti.
Ai resusciti da baracchino e agli arcaici adepti del CB, come mi suggerì ad una cena Rillo, gli appuntamenti blogghisti come quello di venerdì sera appaiono come enormi verticali dove finalmente ci si vede e ci si splende.
Il rodeo è stato per me come una partita a calcetto: quello Balilla.
Poichè nel durante ci ho giocato con Fraps ed anche perchè la notte stessa, tornato a casa, mi son sognato d’essere omino balilla abbracciato a compagni di scrittura rilegati nel destino della stessa maglia.
Quel che resta sulla pelle son cose strambe, diverse, come un mosaico stempiato e variegato che per magia si incastra fra volti rivisti e altri scoperti.
Infra le gengive mi porto un bravuomo storto come le sue rime.
E fra i polpastrelli la stretta di mano forte di un direttore d’albergo che quasi mi ha commosso nel vederlo e nel salutarmi. Grazie Gianni.
E fuori, a respirare nell’aia di Rozzano stornazzante di schiamazzi di animali blogghisti ecco spuntare un abbraccio di quelli che non ti aspetti: Strelnik.
Mai si vada a finire che gli venisse di farne un corto sull’evento: ecco adesso ne hai uno di amico alto un tappo che come protagonista è perfetto.
In un angolo ho puntato dritto, l’ho vista ed eccola insorrisata, Pizia.
Si poteva dirle che, per farne un esempio, da anni pensi sia una cantata splendida, questa.
In voce, per triplani o per scritti piaciuti.
E invece.
Poi passi sotto il Palco, che lui da sopra fa l’ossesso.
Divincola e dimena e ti ci ritrovi a ballare con Sphera ed Eva.
Poi ecco, voltato d’improvviso: certo non m’aspettavo d’aver fra gli occhi il sommo.
Già aver le sue spalle nel tuo abbraccio sembra che t’assorbi una delle sue lezioni pixxellate che fan sentire intelligente anche uno analfabbeto comme amme.
E invece.
Che ballasse poi è, vederglielo fare, stupendo.
Esci, prendi aria, e vieni rapito come da uno sbatter d’ali in mi tavor settima di falena notturna.
Quel che non t’aspetti è che s’oppone alla notte stessa scura inversa nel nome come chi l’aveva avvertita leggendole in mano la data di scadenza.
Ti parla come vena scoperta.
E scoperto ascolti. Sembri poterla afferrare mentre discosta il velo dello sguardo veloce.
E invece.
Rientri e ti affretti, saluti Silvia e un fiore che trilla.
Scopri gioie solo vivendo eventi come questi: e sei, elemento strambo, felice nel vedere mani strette fra vite brevi e pulsazioni veloci.
Enormemente felice.
Nasi rossi e liquori.
In alto i calici e brindiamo:
a voi, bella gente slalomista fra amorfe esistenze!
A noi, elementi scuotimenti!

mag 15, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Pazzi non foste a viver come bruti.

Perchè siam tutti bimbi sperduti.E quel che è stato è: cappelli, quattro.
Foulard rossi, altrettanti.
Uomini: folli.
Disegni:strambi.
Donne: splendide.
Un manico di chitarra attaccato ad un manico di chitarrista.
La gente è nel locale. Anche fuori.
Il locale? Pieno.
Il Naviglio sta sempre lì, a un passo di tuffo.
La gente beve.
Sugli sgabelli, sui trespoli: svaccata fra patatine, rutti e fighetti.
E parla, osti se ‘sta gente parla.
Poi il fungo dj smette il suo chill out avvolgente.
Silenzio.
Brusio.
Nelle vaschette cetrioli senza sugo come dialoghi da aperitivo.
Un po’ di blues è quel che ci vorrebbe.
E un po’ di blues si sente provenire da un angolo, controcorrente.
Un angolo stretto, fottutamente stretto.
Si alza il sipario.
E i quattro cappelli entrano.
E gli uomini sotto al Panama li seguono.
E i loro sogni anche.
Urlano.
Ridono.
Pungono.
La gente parlava, prima, ricordi?
Ora guarda.
Attonita, nel mentre sta.
Ma questi, questi… questi… pazzi:
chi cazzo li ha fatti entrare, questi?

Ne è stato fatto un video.
E tra poco ne verrà fatto un sito.
Dove poter ritrovare testi, audio e pazzi.
Noi si spera che ci verrete dietro a ruota, perchè lo sappiamo: siete bella gente.
Nel mentre la Pazziata si ripropone a breve.
Altro locale, altra tenzone.
In fondo si tratta solo di far ballar su strada il muscolo che qualsivoglia ha dentro, ognuno nel bel mezzo dei padiglioni in auricolo e retrostanti i bulbi catarifrangenti: le menti.
Sorprendere per provocare mentre non la si aspetta.
La pazziata è toccata e fugge in fretta.
Lesta sconquassa: scuote i passanti e quelli che nel mezzo si ritrovan ad esser involontari astanti.
Regola semplice: far accorgersi delle proprie esistenze.
Folli senza rete, siam stanchi di maglie sfibrate e virtuali.
C’è bisogno di sorrisi e come bimbi sperduti cerchiamo occhi sgranati e strette di mani.
Detto niente.
Ed è una sfida lanciata con l’asta ed aperta al miglior bloggherista: ovunque tu vada, ce l’hai il coraggio di portar con te, nel cuore o per strada, la Pazziata?

* Mike e Cinzia, Rillo e Fraps, Zu e Darko, Helghi e Sphera.
Regalaci un applauso, e buonasera.

mag 8, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Il Funicolante.

Mestieri e professioni: gioie e dolori.Dici: il Funicolante.
A Bergamo molti autobus, due sole funicolari.
Una è nascosta sul colle di San Vigilio e l’altra, ben più famosa, collega la parte bassa della Città alla parte più antica e posta sopra le mura.
In totale quindi esistono due signor Funicolanti.
E’ un’ elite.
Molti bambini sognano di fare il tranviere.
I bimbi di Bergamo ripiegano, causa assenza di binari in città, sull’autotrasporto pubblico gommato.
Almeno credo, perchè da piccolo io volevo fare il lattoniere.
Starmene sui tetti, posare le tegole, spaccare i conci e assicurare le grondaie sugli spigoli.
Gli scoli con lo sfiato a guisa di draghetto erano i miei preferiti.
E questo e quello.
Ma mentre io non mi scrostavo da questo sogno futuribile i miei compagni di ciuccio, molti di loro, eran già sicuri: autobus e traffico sarebbero stati il loro massimo destino.
Ma fare il Funicolante…
Ci si pensava,certo, ma nessuno nemmeno allora osava mai ammetterlo.
Statuario nella movenza, assorto in fierezza: il Funicolante è pura essenza cosparsa di dorata aurea.
E’ un’ elite.
Già detto?
Ne son certo.
Controlla i biglietti, fa salire le persone obliterate, chiude le porte a pressione e poi si estasia con la pressione del sacro gesto sublime: schiscia il bottone.
E il cavo si riavvolge.
E il mezzo sale.
E la città si srotola sotto la ripida inclinazione che fa tremare tutti, e tutti indistintamente ci si stringe assieme casualmente: nipponici con teleobiettivo puntato verso l’ignoto che li avvolge, coppie di fidanzatini stretti e stupiti, vecchietti che si scordano rapiti di volersi sedere, cagnette in braccio a pellicce ed omoni industriali ricoperti di cravatte.
Tutti in egual religioso silenzio e muti sotto l’egida della livella miracolata e funicolante.
E via, si sale.
A beh, il signor Funicolante.
Sarei sceso dai tetti dell’infanzia solo per portarne sulle spalle la giacca.
Brizzolato e rugoso, con lo sguardo di chi vede sempre un po’ più in la dei tre minuti di tragitto avanti e indrè semper li stèss.
Lui, gavettato da anni di linee urbane: stazione-ospedale maggiore, stadio comunale-Monterosso, parco Suardi-Boccaleone.
Cresciuto in azienda a tirar la carretta e poi in sofferenza eccolo allevare generazione dopo generazione piccoli guidatori sotto le camicie blu ed i maglioncini d’ordinanza.
Sempre con quel sogno dentro al cuore: schisciare quel bottone.
L’eroe privilegiato a capo della piramide massonica degli autisti.
Lui, pigia un tasto e possiede la funicolare: l’ambita postazione che si può solo invidiare o idolatrare e sulle cui fiancate i colleghi lasciano scie e bave di venerazione.
Signor Funicolante, tu domini la città.
Stesso tragitto, giorno dopo giorno, per un chilometro di cavo in trentacinque gradi di pendenza.
Giorno e notte, estate e inverno, governo dopo governo.
Avanti e indrè.
Semper li stèss.

mag 4, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lisa.

Lisa pensa che così non è mai stata
sposta il naso sopra l’orlo del suo calore:
ha i capelli e la testa ancora bagnata
e lo sente cantare di là sottovoce.

Allora si rigira stretta in quel letto
si fa piccola, e piccola aspetta
sfrega i piedi scaldandoli a stento
e si rimette gli occhi sotto la coperta.

Impigliata,
dentro quel che ha perso,
lasciato o si è spento.
Annegata
nelle parole, urlate o troppe
che nessuno le ha mai chiesto.
Sbriciolata
nei tanti che l’hanno stretta
per poi scappare, ed in fretta.

Guarda in basso, ora,
si tocca il tatuaggio:
piange
e niente.

Lisa ancora non ci crede,
si sfiora nuda le gambe
dice com’è che proprio a me succede,
si riaddormenta e sogna il suo cavaliere.

Impigliata,
dentro quel che ha perso,
lasciato o si è spento.
Annegata,
nelle parole, urlate o troppe
che nessuno le ha mai chiesto.
Sbriciolata
nei tanti che l’hanno stretta
per poi scappare, ed in fretta.

Guarda in basso, ora,
si tocca il tatuaggio:
sorride
e niente.

Lisa riposa appoggiata morbida al cuscino:
cullata di gocce che giocano fuori dal vetro
scorre la pace fra le scodelle del lavandino
e non sente quei passi arrivarle in silenzio.

Soffice si stropiccia, riconosce quel profumo
un bacio soffiato sulle ciglia è la sua colazione.
Due sorrisi: sul comodino la radio passa Caruso
e nuovo è il mattino come il suo vicino amore.

apr 29, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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St’attento.

Mmm...Ecco, io no.
Tempo che ne ho, voglia anche, ma ecco, io no.
Per cosa poi, dici qual’è il guadagno, il salasso, il margine di riscontro.
Boh, e che ne so.
Ecco, io no.
Te, per non dirlo col tu, te dicevo t’alzi, tramtrammi e alfine scalzo, spompato abbattuto ti affanni e nel giorno sfinito cadi e incomprensivo scalci.
O certo, hai prodotto.
Ecco, io no.
E tu?
St’attento.
Piuttosto mi fermo e ti dico scemo.
Al rischio di mettermi in testa un sombrero.
Che c’avrò un cappello di paglia ma il corpo non è affatto di plastica.
Perciò fatebenefratelli a rimanere nel vostro quieti ma sappiate che a vedervi in giro io ve lo dico:
ingranaggi ruotacoglioni, attenti agli intoppi, attenti ai vostri cloni.
Sono letali, distraggono dai mali e, se mortali, vi avvisano del segnale da tam tam, quello che pulsa, quello che batte.
Attenti, ritornello, alle giornate normali.
A quelle da non m’aspetto niente, alle ore inattese e alle acque sotto ai ponti, chete con le chele.
Perchè lì, subdole d’infradito fra lancette liete si nascondono le rivoluzioni in parto singolo.
Non certo negli appuntamenti attesi o negli eventi da celebrazione: quelli si sa che son buoni per le comuni illusioni.
Fin troppo semplici, fin troppo liste in programmate in sconti da emozioni.
No, te l’ho detto: ecco, io no.
E tu?
St’attento.
Nel sorseggiarti come un the caldo o freddo, nel far rifornimento, nello scender le scale o alzarti dal letto.
St’attento.
Basta un pretesto, un granello nel collaudato ragionamento, un brivido freddo e via dicendo: me tal dighe e io te lo ripeto.
St’attento.
Non ci torni indietro.
Scoperto.
Essere unico, essere quasi perfetto.
In stampo ed in difetto.
Pregi, veleni e pensieri non più sottovetro ma solo tuoi e fatti per averne un peso: non più specchio riflesso da allodole monocellule.
Presa la coscienza sarà un equlibrio da gestire, un mondo da spellare e nuovi verbi da imparare.
Strabiliare, respirare, annusare, bestemmiare, rotolare, ammiccare, trangugiare, calpestare, rimbombare, assaporare, tentennare, buttare in riflessivo, stupire e gongolare, inciampare e rialzare, esterrefare e stupefare, succhiare e fischiettare.

Amare,
e farsi amare.

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