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lug 26, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Stracco al forno.

TuTum.
M’esce
impettita
in fronte
sciaborda
di perline
o peggio
m’impernia.

TuTum.
Respirarmi
indosso
stracco
e senza
un movente
sudare
biascicando
lo stesso
gocciolare
secco.

TuTum.
A destra
impercezione
dal collo
all’occhio
colgo
mi smusso
ma poco
ricordo
a sinistra
arso
slogo
ma poco
combatto
smuovo
di nuovo
l’occhio
creo
vitreo
in cubetti
e l’invento.

TuTum.
Il teorema
è forgiare
il piatto
della calma.
Di pece
calda.
E dal buco
risucchiarla.

TuTum.

lug 21, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Caro il mio Dorian.

Sfumi tu?

Stempio, a volte.
Come se perdessi l’attaccatura dei veri e dei falsi
e tutto fosse uno
e l’ uno fosse il tutto
e la filosofia orientale mi facesse un baffo con il contropizzo.
Insomma mi piacerebbe evacuare, meglio: sublimare.
Cambiare stato scavalcandone un altro e passare da quel che sono a quel che appaio tralasciando il valgo.
Te, scusa, succede mai a te?
Come lo specchio e il passarci attraverso, cose così: solo che per introdurmi dovresti farlo di lato, cercare il bordo e chiedere scusa permesso passare lì in mezzo da una via nascosta sottile ed impervia.
Troppo facile sarebbe fare un salto in riflesso, caro il mio Dorian.
Qui ci vogliono il controscazzo, l’autodafè ed il revolver carico per una giostra a salve sotto il grande tendone di Mangiafuoco. Soppesarsi e dirsi: chi sono?
Cospargendomi di neuroni sono certo quello che vitreo in pupilla elabori capovolto: niente anima, tutto corpo.
Ma fossi tu il mio segmento di passato, diciamo un sugo d’annata fra il ’76 e lo ’04, uno spicchio, un aglio notturno, una limonata od una passeggiata di quel che ero, come mi illumineresti, diciamo il vero, adesso?
Diverso, di traverso, sbiesso?

Non sarei più sicuro solo quello di prima che ti passava agile fra il naso e la vita.
Conosceresti un mio vezzo, un cruccio, un neo di aneddoto che mi laccherebbe di un fondotinta in più strati, a seconda di quel che hai scavato e ancora di me scavi.
Attento, comunque: è un gioco fragile, fra il cartone e l’imballo segui sempre la freccia puntata verso l’ alto.

lug 15, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Incredibile è quel che si riesce a fare.

Vola veloce di bocca in bocca.Il tornar sulla fiducia.
Puntarne i piedi in sterno mentre allunghi volendo una mano tesa d’aiuto.
Dare per ricevere, allargare per stringere ed in stretta stringersi.
Fidarsi.
Credere nelle persone, nelle possibilità, nei cambiamenti, nelle transumanze dei pascoli d’esseri.
Essere certi che ognuno ha dentro quel qualcunchè da renderlo ottimo.
Rendersi conto che pensare in stabile di se e degli altri autodistrugge.
Provarsi per credere.
Mettersi in roulette e girare, puntare, aspettare.
Sbadigliare in faccia a quello che passa e dice, ti dice: tanto le persone non cambiano.
Balle dell’orso Yoghi.
Le persone non cambiano perchè ci son atrofizzati come te che pur di non credere non vivono.
Le persone sfumano perchè disperse fra palettati rigidi incravattati che non investono su di esse.
Piuttosto le degradano, frantumandone gli attributi.
Piuttosto amano l’immobile e ne ammirano la polvere che sopra si posa.
Per questo non cambiano ne migliorano.
Perchè esiste la tua miscredenza
la tua ingordigia narcisistica
la tua carta igenica verde dollaro.
Le persone, bbbellooo, cambiano.
Stupore: quasi sempre migliorano.
Basta soffiarci un sorriso infraciglia
e stringergli le mani in falangi da fiducia.
Ma tanto, anche a dirtelo, tipi come te, dicon che non cambiano, e allora, andiamo, pixxelliamoci sopra, che tanto, poi, io scorro nel mezzo, e fra un tentativo e l’altro, assorbo, vinco, perdo e da sempre incrocio vite sorridendo.

lug 1, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Assonanze sciolte.

Che sagoma.Aver da dirci niente: a volte è persino divertente.
Riempir le righe di cirillico andante, star quieti a veder di lasciar scorrere le frasi. Sedersi, rugarsi, svaporarsi e veder scivolar giù lettere dopo lettere.
Rotonde e grassocce o di maraviglia arrancate a difettose acca scritte h che hanno un suono che diresti vale un acca eppure sciantose scivolano accanto ad altre c, precedono le i e diventan chi.
Ma tu guarda chi si rivede, aah non me ne parlare è proprio una di quelle sere.
Cosa succede? Si raccontan di formaggio, consonanti e pere: grosse, succose, in polvere di smalto.
Lo ‘sm’ torce la lingua sotto ai denti, prova a smungere o a far smorfie e te ne accorgi di come riscopri i tuoi canini che battono forte sulla ti, ti, ti di nuovo ridillo ti ti ti ti batto sul palato con un doppio salto metacarpiato diretto al tuffo.
Gusto puffo, inventato dalla D’avena io credo una sera che era in vena serena come le pere di Williams quelle di prima.
Che diva, casta in Callas d’acuti sregolata.
Pentagramma, cinque righe, una chiave: metti la toppa in sol, girati e sbloccati cogli la rumenta ed esponila in strada il giovedì mattina in differenziata che poi la raccoglie l’omino buffo la mattina presto come un mistero in sacco nero lui passa e trita tutto quel che si butta via niente qui.
Là non so ma qui è tutto un riciclo con i raggi fra le ruote che portano un po’ di sole a salare questi giorni di mare in rotonde di sabbia. Voglia di vacanza, na anche di montagna altro che onde, desiderio di Cervi stambecchi e porti quasi quasi ti porto ovunque ma non in quel posto che ci vai tu per piacere e non dire le parole ma se non le dico che faccio resto muto sereno senza aver da dirci niente: a volte è persino divertente.

giu 26, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Attacchìno cittadino.

Vota Antonio.Di colla spazzetta in fretta,
abile cosparge il liquame sul volto:
rettangolo pesto addosso alle lamiere
struscia impregnato il messaggio
e s’attacca sregolato inclinando il manifesto.
Svelto svelto
bisogna tappezzare
sia mai lo scontento
giunga in giunta
e scateni ribrezzo.
Filo d’erba estiva in bocca
porta la campagna appesa all’urbe:
espone questo
vota quello.

Ne riempie la città murata
in slogan da campagne annacquate
precedendo il lume dell’inizio settimana
di promesse per quell’ora già contate e scordate.
S’attacca illecito nei vicoli
ed osserva le facce di chi per mestiere incolla.
Finito che ha il lavoro in rotolo
ad un minuto dalla mezza
si libera del pennarello intaschinato
e disegna baffi osceni:
a volte a questo
e spesso a quello.

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