ott 18, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Ti han già cambiato le pile?

- Prego?
- Le pile per ricaricarti.
- No.
- No?? E perchè?
- Dicono che mi devo lasciare esaurire. Quindi niente più batterie per me.
- Mi dispiace, non lo sapevo. Mi dispiace davvero. Posso far qualcosa per…per…
- Non ti preoccupare, me lo aspettavo. Prima o poi doveva accadere.
Sai, dicono che me ne accorgerò solo all’ultimo, nel senso..cioè… tu mi vedrai più lento, capirai da molto prima,vedrai i miei riflessi appannati… ma io, io non sarò in grado di realizzare quanto mi accadrà se non pochi istanti prima che la carica si esaurisca del tutto, percui…
- …
- …percui mi chiedevo, vedi.., è un po’ imbarazzante per me ma… quando accadrà… ecco… non metterti a ridere…
- E perchè dovrei? Senti non dirle nemmeno queste cose ok? Sai che…
- Dico sul serio. Sarò goffo, impacciato, estremamente ridicolo. Lo sò.
Ma se fosse solo quello, capisci, non me ne renderei conto, sarebbe comunque tutto normale per me. Ma se ti metterai a ridere, rovineresti tutto.
- E perchè mai dovrei fare una cosa del genere?
- Se ti scappa anche un solo sorriso, rischierei di accorgermene.
Voglio dire, all’improvviso prenderei coscienza di quello che mi sta succedendo e sai quale sarebbe la cosa buffa?
- No.
- Che morirei un po’ prima.
- Ti prometto che non accadrà.
- O di questo ne sono assolutamente sicuro.
- Di me puoi fidarti.
- Lo so.
- E come lo sai?
- Per lo stesso motivo percui tu ti sei fidato di me.
- E questo cosa c’entra?
- Mi hai visto ridere fino ad ora?
- No.
- Già.
E sappi che è stato molto difficile non farlo.
- …
- …
- Vuoi dire che..
- Già. E’ toccato prima a te. Loro non hanno voluto avvisarti. Sai, per via del tuo carattere…avevano paura della tua reazione. Così hanno chiesto a me di starti accanto fino a quando… fino ad ora insomma. Me n’ero quasi scordato e invece, poco fa, ci hai messo un’eternità per ricordarti il mio nome. Così non ti ho più mollato. Ora sei al capolinea.
- Grazie.
- Figurati. Ma ora preparati, ti manca poco meno di una tacca al rosso dell’ EMPTY.
- Beh, ci siamo allora….
- Già. Addio.
- Add…
M.

ott 5, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Dammi un solo motivo per non farlo.

Uno solo.
La nebbia porca trota, la nebbia qui da noi ti avvolge anche a Ottobre. E Ottobre, se ci guardi bene, sul calendario sta a un giro dall’estate e a due mesi dal Natale. Eppure lei, la nebbiolina, non mente per natura. Soporifera al punto da addormentarti, subdola da addomesticarti e compatta a tal punto da permetterti da nasconderti perfino da te stesso.
E non puoi neanche sublimare.
Una volta che fai da coltello e te ne sprofondi al suo interno, in questo stato di condensazione burroso-vaporosa, beh se ci entri è proprio difficile uscirne.
Stai lì, sospeso nel nulla e te lo fai anche piacere. Il corpo tutto umido senza una gocciolina di erotismo e tutto intorno un grigio spalmato e plasmato a tua immagine e somiglianza.
E’ un mondo a parte, un’inalazione tremens, un delirio inesistente dei sensi ma riappacificatore.
Piace la nebbia, c’è poca da fare. Prova a dir di no. Non vedi nulla a un metro da te; un passo dopo è panico di abbandono fasullo, due respiri in più ed è beatificazione dei sensi, annullamento dei punti cardinali, realtà virtuale del tutto naturale.
“A” gratis ti fai un viaggio lontano, un trip a costo zero.
Organizzerei un pullman con il cartello sul vetro davanti,in basso a destra :”Nebbia”.
Tutti li a far casino, ridere cantare, ma che bravo il nostro autista e poi a un certo punto trac vigliacca eccola lì, all’improvviso.
Succede sempre così alle gite, si è li tutti a esser felici e stanchi ma poi quando alla fine del viaggio ti ritrovi con negli occhi l’arrivo te ne stai zitto ad ammirare, e con te tutti gli altri.
Ecco, si scende. Giù tutti e non lasciate nulla sulla vita. Che poi il pullman riparte e mica vi aspetta.
E poi niente, si sta lì e si guarda. La nebbia.
Dammi un solo motivo per non farlo.
M.

ott 1, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Il mio baricentro sfasato.


Il mio baricentro sfasato ondeggiava tra le lacune vitali e suscettibili di resti eterni e mai compianti di uomo e il solfeggio schietto di un’ improbabile caricatura umana coperta di una trapunta di tormenti.
So che è un incipit pesante. Me la potrei tirare per un inizio così.
Oppure credere opportunamente di essermi scritto addosso e lasciare che le parole inumidiscano a rivoli il sottobalcone.
Ma giuro è venuto fuori all’improvviso,
come una schiuma di spillatura inaspettata.
Avanti.
Il resto era gioia. A sprazzi. Così intensa da sollevarti.Così violenta da abusarmi.
Finchè mi rialzai, spolverando il grano e mangiando la polvere.
Eran le quattro passate. E l’ombra alle spalle, già mi aspettava.
Ma fino all’indomani non mi avrebbe superato.
Questione di equinozi e intuito.
O fortuna.
Fatto sta che mi rimisi a vivere, scambiai gli avverbi e ci rimisi dentro poca passione.
Carburai come un diesel. E mi tolsi il cellophane.
Non mi hanno ancora fermato. Solo qualche multa.
Eccesso di libertà.
Obbligo di verità.
M.

set 23, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

M’è capitato di dipinger sassolini.

E’ un lavoro di pazienza, attesa, frustrazione e dosaggio del colore.
Serve un pennellino, talmente piccolo da condensarci le parole.
Ti metti li, pigli il primo sassolino.
Respiri.Sospiri. Lo rigiri fra le dita.
Lo scarti.
Perchè il primo, non è che abbia mai capito il perchè, lo scarti sempre.
Fa nulla se poi alla fine era il più adatto.
Niente, hai deciso che non andava bene, che era meglio quello un po’ più piatto, o più liscio.
O semplicemente lo scarti perchè è il primo.
Mai capito il perchè.
Prendi il secondo.Superi la prima fase, lo certifichi e lo rendi idoneo all’opera.
Omologato.Via.

Adesso è il colore. Cosa spalmare sopra il grigio? Il grigio è una buona base. Inutile.
Dipende dal progetto che hai in testa.
Puoi mica partire con un giallo se vuoi dipingere il sole.
Troppo facile, troppo piatto, troppo liscio.
Scartato. Via.
Il giallo,intendo.
Pausa. Indecisione.
E ancora,nemmeno un segno sul sassolino.

Una bottega, meglio:un retrobottega.
Magari un bancone di rovere così antico che se ci fai caso vedi persino gli occhiali dei tarli che fan capolino e ti salutano lenti alzando la zampina.
Buongiorno nonno tarlo.
Due passi dietro trovi la parete color bancone che chiude lo spazio e il tempo.

Ecco, vada quindi per i colori caldi. Tutto su tinte marroni. Niente variazioni o contrasti, un’andatura lieve.
Via dai, puccio il pennello nel marrone.

Un passo davanti alla parete le rughe,la giacca con le toppe, l’alito sporco e l’infarinatura bianca della barba che rende l’orologiaio quasi fermo.
-Mi dica giovanotto, c’è qualcosa che può fare per lei un vecchio come me?
Un passo dietro all’uomo, come un sussurro o un brusio di commento, le lancette tic tac tic tac asseriscono e approvano la domanda.
Come si fa ad approvare una domanda?
Mi stanno valutando. E sono tante.
Le lancette. Dentro agli orologi appesi alla parete.
La parete,quella un passo dietro al vecchio.
Che è la stessa a tre passi da me. Nel caso vi foste persi.
Comunque son davvero tanti questi orologi.
-Giovanotto, non è che mi sia rimasto molto tempo sa?

Quindi ci devo mettere anche del bianco.Bianco panna.
Colpa dei quadranti.
Quelli a cucù li posso ancora spalmare in dissolvenza, ma quelli rotondi e moderni,con i numeri neri grossi a contrasto, beh quelli devo proprio farli bianchi.
Magari uso un secondo pennello, così evito di annacquare l’altro.
Così adesso siamo qua: io, il sassolino (che è già quasi un mondo), due pennelli, un orologiaio,due colori,un bancone,una parete,una risposta in attesa.

- Allora ragazzo?
- Non la posso dipingere.
- Come?
- Ho provato, ma indossa una camicia a quadretti, o almeno questa è l’unica scusa sensata. Insomma troppo piccoli nel piccolo, ci son dei limiti e un compromesso richiederebbe una tinta unita, bianca o marrone. O farle cambiare camicia,ma dubito che sia daccordo. Ammesso che ci riuscissi,comunque, lei non ci starebbe.
- Non ci starei dove?
- E poi male che vada dovrei toglierle qualcuno di quegli orologi appesi lì dietro, altrimenti sono quasi sicuro che lei si confonderebbe con lo sfondo.
Dovrei rubarle del tempo.
-Mi sa che me ne hai gia rubato abbastanza del tempo, figliolo.
-Ha ragione.Mi scusi.
-Non c’è problema.
-E’ da molto che fa questo lavoro?
-Da più dei tarli.
-Le piace?
-Mi è piaciuto.Almeno sò sempre che ora è.
-Per cosa?
-Cosa?
-Che ora è per cosa?
-Questo non lo so ragazzo.Sicuro di star bene?
-No. Chi ne è sicuro?
-Ha ragione. Ora mi scusi, ma se non abbiamo niente da dirci è meglio che torni al lavoro.
-Già.
-Già. Buona giornata.
-Buona giornata anche a te ragazzo e auguri.
-Per cosa?
-Per i tuoi quadri. Non dipingi?
-In un certo senso.
-Sei strano ragazzo.Indubbiamente.
-Non mi sono mai posto il problema.Di nuovo…
-Di nuovo.
-Comunque non le volevo mica rubare del tempo.
-Lo so.
-Glielo volevo restituire.
-…
Finito. Se prendi una lente noti persino la marca di quelli in alto a destra, vicino alla macchia di umidità.Probabile che entri acqua dal tetto.
Non è stato facile, perchè li il sassolino fa come un incavo e curva veloce e la difficoltà è fare asciugare in fretta il colore prima che coli e rovini tutto.
In compenso i numerini sulla cassa di ottone sono usciti una meraviglia.
Ora allontanati un po’ e dai uno sguardo d’insieme. Non male vero?
E pensa che ho usato quasi esclusivamente bianco e marrone.
Anche per il vecchio orologiaio.
Alla fine son riuscito a dipingerlo.

set 7, 2002 - Senza cicatrici    Dicevi?

Giocare a dadi col destino è una gran bella sensazione.

Ti divide dentro in combinazioni statistiche, ti altera il metabolismo.
Se sei fedele a qualsiasi religione eccoti lì sotto la croce, spugna imbevuta e macchie d’aceto sulla tunica di qualcun’altro.
Se il fumo che ti attira non è incenso ma si alza dai posaceneri incastrati nei panni verdi,allora rifletti slot machine e donne bellissime seduto un tavolo fatto quasi mai per mangiare ma per esser digeriti.
Sei sfaccettature, sei lati di un’unica anima cubista.
Di solito loro, i dadi, se ne fregano di te.
Lanciati in coppia nel bungee jumping quotidiano, rotolano verso un destino mostrando raramente insieme la stessa faccia.
Speranza,quando credi di stringerli in mano col tuo destino.
Insicurezza inconscia, nel vederli rotolare lontano.
Quasi sempre inammissible incomprensione quando regalano la felicità ad un volto che non è il tuo e realizzi che in fondo le combinazioni sono comunque una in più della tua ingenua convinzione.
Ma è un attimo che hai già alle spalle.
Poi di nuovo: altro giro altro regalo.
Perchè tanto lo sai, che prima o poi toccherà a te.
E sarebbe un peccato non esserci.