set 14, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Matassa appuntita.

Help! I need somebodyRimettere in dita i pensieri sui tasti. Avanti.
Sbussolato e presunto innocente verso l’autunno del fare.
Stare od andare, capire o lasciare stare: amare a distanza sbloccando l’incompreso con il telecomando del nulla è perfetto.
Incrinarsi sul crinale del presunto, leggittimamente sospettare dietrologie di passione o di bisogno d’attenzione.
Cercare la pelle, arroventarsi in triplice copia su lenzuoli di seta rosa e poi peccare per aver peccato e non aver commesso reato. Peccato.
L’amore che non resta, l’amore che si arresta, la mancanza e la confusione dell’angoscia in rima con la pulsante angonscia del predirre il di nuovo soli.
La paura singola e la paura d’essere di troppo, la voglia di regolarsi il minimo e quella di tenere parcheggiato i sentimenti sotto il divieto di sosta dell’intrusione, del non sapere dove porta l’altra mente, sentirsi incapace e demente, non riuscire ad essere i pratici del non fare niente.
Volere comunque un essere presente per essere che solo numero al lotto estratto e poi dimenticato in attesa di un ambo impolverato.
Averne il fabbisogno di credere nel bene e non sapere come distinguere l’agire congiunto dal canto della sirena.
Ammaliata di se stessa: sia essa depilata del cibo in eccesso nella mente per vederselo dilatato in pezzettini e sbocconcellato sopra la sua voglia di essere ben accetta.
Costruirsi a difesa dell’osso una capanna di’inganni di fango e aspettare che qualcuno ci soffi sopra per lavarsi dall’odio del mondo con l’amore profondo.

Quanto Amore non è il credito.
Ma è il Come, adesso, a non avere debito.

set 8, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Around the clock.

Ed è che il cielo mi passa accanto, si riverenza e poi si ferma.
Mi osserva, nota lo sguardo, basso: ed è un tremito di scroscio e l’acqua mi arriva sulle spalle.
Tutto ad un improvviso ho un brivido, il primo, e mi dico
che non può essere la febbre
e che voi non dovreste essere così felici, voi tutti, mentre anche un solo Essere combatte per esserlo.
Rischio mentre attraverso di essere preso, calpestato, deriso ed ho lo scollegamento della logica nella mia testa.
Dentro, io non ci sono più, adesso.
Parlami della passione, raccontami che cos’è,
perchè sto come sto
perchè non ho soluzione,
perchè al dolore
perchè non riesco ad arrivare al cuore
perchè chi non vuole essere aiutato non lo verrà
e dove ho sbagliato
se sbaglio c’è stato
e perchè l’Amore.
Vado quasi a sbattere il confronto contro un palo, evito di incrociare lo sguardo di chi mi conosce per paura di reazioni scorrette e sincere.
Nei primi due gradini trovati mi accovaccio e rannicchiato piango.
Sul perchè lo faccio senza ritegno non trovo altro che il mio eco ed un singhiozzo che scroscia col fragore di un bimbo senza più protezione.
E non so
ignorante di risposte
corroso dal lamento
non trovo uno che sia uno di senso
prendo con la sinistra

la mia mano destra
e la batto sopra lo spigolo del muro vicino.

Si sbuccia
si taglia
da rosa scivola rossa
e almeno capisco
almeno questo di dolore
ce l’ha una spiegazione.
La rabbia.

Allora m’inverto e tento l’implosione
mi metto a ridere come la controfigura di un buffone
e non serve ovviamente a niente
tranne a cancellare un’altra uscita dal labirinto ed a ricordarmi che ovunque vada sono cieco nel mio vicolo di tentativi andati a vuoto.
A che serve provare e tentare di sapere, svuotare il mare col bicchiere,
mi dispiace
mi dispiace
mi dispiace
non sempre si vince
una casa, un letto ed un Amore.
Prima si deve vivere
e ad insegnarlo ci si sfoglia dentro.

set 4, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Caramella.

Caramella amara e nera
è medicina d’asfalto questa sera:
sotto le ruote s’inghiotte svelta
bestemmio, e rauco canto
il mio vuoto sul sedile accanto.

Caramella amara e nera
è aspra marasca sulle labbra:
senza più l’odore della tua saliva
chi m’imbocca ora il mondo
da fotterlo in un solo morso?

Basta un poco di zucchero.

Caramella amara e nera
drogata effimera d’un bacio rara e vera:
rieccomi riverso avverso a ritrovarmi
strambare di nuovo la mia vita verso i trent’anni
cercando un’ancora d’indicazione per essere grandi.

Caramella amara e nera
inseguo i fari del mio maggiolone:
corro a spurgarmi in culo a chissà dove
che il più delle volte si perde senza ragione
e rimane solo la voglia di spogliarsi, Amore.

ago 27, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Buscar el levante por el poniente.
E’ la storia della mia vita.

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ago 24, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cerchi sbarrati ad occhi spalancati.

Un colpo al cerchio.E allora ne prendo uno nei cerchi grechi,
che par quasi non ci si faccia caso, quasi scontato, pigliare il metallo pregiato in questi giochi di cui mi hanno overdosato.
Nome russo, etimologia fredda, sguardo vacuo e polsi in fascia.
Igor, a vedertelo a spasso, gli offriresti da bere ma anche una copertina sulle spalle e ‘cosa fai in giro ancora a quest’ora dai vai a casa che è tardi’. Dai.
La bolgia è quella infernale, un classico che si può affermare poichè dentro il tinello ci son tutti i babilonici di Olimpia a provenir dai cinque continenti e a fare il tifo, tutti contenti.
E tutti quanti fischiettano di brutto e sicuro ad un punto scorgo in udito un Buffoni Buffoni lì rivolto in coro di mezzo alle giacche nere di molto soft distinguersi fra i porconi.
E c’han ragione ma il Canadese in toga con congiuntivite mazzettata non ha visto i cinque rimbalzi in volteggio di un pesce chiamato Nemov.
Ma a Igor gli frega una cippa.
Aspetta che quelli facciano i burattinai ed i cioccolatai, che spostino qualche decimale non troppo in favore della grande madre e poi dai, su, che tocca al mangia hamburgher.
Lascia saltar su e giù anche quel fratello Hamm in un esercizio da distinto e poi via, magnese gessata ai palmi e si schizza ad insegnare in ginnico.
Quando la tocca, la sbarra, quella sicuro canta.
Ma te guarda, il Cassina.
Quello che gli hai pagato il lattino al bar.
Hop hop hop ed è tutto un fascio di nervi, che se per caso gli girano i cinque minuti altro che balle: ti prende, ti arrotola in spiedo e anche quando non ne ha voglia ti fa di molto male.
Ma intanto Igor ancora volteggia, che sembra una libellula.
Tasso tennico in me spettatore sotto le scarpe e rispolverato come te lettore ogni quadriennio perciò saperne di ginnastica zero ma far finta d’esserne esperto, beh quello
Ma tu guardalo, quello: tengo le pupille dilatate in trattenuto respiro e lui si stacca e si riattacca a quella sbarra.
Alla fine, si lancia.
Atterra.
Nel mezzo, ancora e ancòra, come una piuma in perla, volteggia che non si ferma.
Oh bella.
Ha messo i pedini a terra: pari pari sotto i muscoli uniti in asse verticale.
Si sarà scordato adesso degli esercizi sempre uguali e del mazzo tanto che si faceva da anni, sempre con lo stesso ritmo, uno due tre quattro.
Suona l’inno e stanotte sono tutto un po’ più sciolto: mi butterò in carpiato sul letto.
Atterro sul freddo.
Fottuto pavimento.

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