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nov 2, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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fórse: fórse


‘ Avv. esprimente dubbio, incertezza, esitazione; nell’esprimere tale colorito il suo significato oscilla, secondo i casi, ora conferendo al discorso il senso di un avvicinarsi alla probabilità (specialmente se l’avverbio è ripetuto: forse forse), ora facendovi prevalere il senso del dubbio; tra questi due estremi sono possibili molte sfumature intermedie; talvolta in proposizioni interrogative dà alla frase un valore retorico, dando per scontata una risposta negativa (o affermativa se è preceduto dalla negazione: non forse) ‘

ott 28, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Indice alla tempia.
Continua a sblaterarmi addosso.

Piantala, osti, che mi sporchi.

El ghe da, el continua, el rompe i bale. E che coioni.

Gli puzza il fiato, gli alitano i piedi e mi storce ovuli, ossa, ninfee, narici e bulbi quando mi sta sul collo, ad un centimetro dalla saliva.
E ultimamente lo fa spesso.

Oppresso, basta.

Basta ho detto. Togliti dal mio angolo, lasciami pisciare in giro dove mi piace: se c’ho voglia di rintonarmi in curve sghembe lasciami fare.

E no: lui mi deve guardare, mi deve consigliare, mi deve osservare e lo sento sogghignare.
Ma va a cagare.

E poi gli argomenti, le cadenze, lo scialacquio della sua turba!

Almeno sii interessante invece di obiettare e sempre bacchettare e stare e stare e stare.

E continua, un tono sotto al giro di ottava, impertinente e irriverente di metadone.

Coglione coglione coglione.

Mi giro e non scappa, scappo e mi insegue, mi siedo e mi toglie la sedia. Stardo.

Accendo lo schermo ed è li dentro, perso nel nulla ed eterno catodico.

Leggo e mi perdo dopo il terzo capoverso a causa del suo frastuono silente.

Che cazzo devo fare, ti devo sparare?

SBAM! Tanto la rosa di pallini non ti soddisferebbe, vorresti un fiore ancora più rosso.

Scordatelo che recido.
ott 27, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Vacuo.


Non ce l’ho, mi manca, non ho più un nome.

Senza di te cosa vuoi sentirmi dire da altri: che sto bene, che ho fatto la scelta giusta,
che ti cercherai il prossimo ponte?

E le storte?

Le cose negli armadi?

La stella sullo specchio?

Guarda come mi guarda quella fottuta stellina ricordati di me spiaccicata sullo specchio?

E vaffanculo.

Certo che straccerò il tuo viso.

Ma il profumo?

Me lo togli tu di dosso?

E i sogni?

Me li cancelli tu i ricordi?

Nausea mi viene,

mi troverò un cesso.

ott 23, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lasciarsi andare


Tonfo è il trillo del mio campanello immerso, attaccato al pelo del mio cappello.

Qualcuno soffocato da un qualcosa ha cercato un rimedio al suo guaio godendo nel tenermi sottacqueo.

Mentre me ne sto senz’ aria ho come compreso ad un velo di retina che ottanta anni medi in questa latrina dipinta non sono che un embolo a tempo.

E allora mi sarei detto che stare condizionale non aiuta a pensare.

Meglio incidermi un incisivo fisso e perseguirlo,

meglio non attendere e pretendere,

meglio insistere che prefiggere,

meglio un qui che un sarò.

Sprofondato nella falsa felicità da prondità rido del mio stato di precadeverico omino a termine.

Dal basco alla stupida,

dalla coppola alla bandana,

dalla tinta alla pelata:

in superficie la gente si squaglia

sotto i cambi di berretto ed io,

inzuppato d’omicidio in vittima,

rido, rido, rido.

Salgono le bolle plop plop dalle mie narici fino alla cresta divisoria e difettano un orizzonte incantato sulle stesse onde.

Solletico dalla giacca la mia riserva di grappa e scelgo mentre comincio ad agitarmi di stappare e trincarmi.

Etilico in asfissia deglutisco e mi sfido in cerca di un respiro.

Quasi ho un sogno.

Poi sfumo.
ott 19, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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E’ la prassi.


Il vuoto restringente lascia poco nulla di spiraglio per fare passare un tacito accordo o un credulone farlocco o perlomeno l’impressione di una illusione.

Il signor freddo lo conosci di persona quando nelle tasche hai niente: prima lo hai sentito dire e nulla più ma quando ti tocca allora la questione cambia.

E’ il tempo dell’imbottitura, del travaso e del contagio.

Bisogna chiamare nella radura le gonne ed i rossetti e lasciarsi tentare da qualcuno che da lontano schiamazza il tuo nome e più ti avvicini meno starnazza.

Alllungarsi i ricettori e provarsi in panni ipertesi.

Suscettibile: voglio essere maldestro e irascibile, sballottato andante senza reazione al colpo ferire.

Quasi quasi m’inforco sopra un terreno scosceso e mi divido fra quel che straccio e quel che ero.

Ho compilato tutti i moduli che mi avete chiesto.

Li lascio alla portinaia dell’Elemento.

Pùtaegia rembambida.

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