mag 31, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Disfida bovina.

La vacca
sgambava stolta
pregna di latte
in zampe da sculetto
maculate
nel campo grasso.
Portava nel culo
riserve arcigne d’erba
e muggiti blasfemi.
Io, da principio,
la osservavo,
pacato
sul mio masso.
Indifferente.

Lei
invece
scuoteva le mammelle
a seconda di quello
che non c’era niente
da vedere.
Ma proprio niente.

Ti seguiva
ostinata
sempre
sotto un pelo di tiro
distinta
e fingendosi
palesemente zoppa
nel limitare del campo
scandiva
ogni mia movenza
con perimetro di boàsse
dalla puzza perfetta.

Scodinzolava, pure,
roteando la coda
in ordine placido ed orario
come volesse decollare
ma con calma
da chissà poi cosa:
lei
e le sue grosse
troppo umide narici.
Lo facesse,
almeno.

lastricando la strada di buoni propositi

Provai
persino
di farmi fattore e amico
allungandole del fieno
ma quella,
la vacca,
dico davvero,
piuttosto che masticare
un’offerta nella mia mano aperta
si mostrava sazia
e ti squadrava di sbieco.
Rimuginante.

Decisi allorchè,
partendo dal mio sopracciglio
inarcato e destro,
di sostenergli lo sguardo
infido mammifero
restandomene attendendo
arroccato perfido e inerme
dietro al mio masso
chiamandola come si fa col gatto
deridendola.

Lei,
attratta,
la vacca,
si avvicinò quindi
al filo suadente
tutto di ferro
dove sogghignava elettra
la corrente svelta
che non la si vedeva
ma indolore scuoteva.

Venne
floscia ed ebete
a cercarmi
ma appena si sporse
in cerca del complimento
gliela regalai io,
la scossa.
Vacca boia.

mag 26, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Ad accompagnare i Cerchi.

Fra l’indaco e il confine da andirivieni laggiù
c’è spazio tra mille granelli in andata da sottosuola,
ma non per me: imbrattato di fogli in soglia
sto bene qui, a tirar sassi nell’ acqua
e ad accompagnare i Cerchi allagarsi di blu.

Tanto sbocceranno in solstizio lo stesso
i boccioli a cui non si è per nulla chiesto
che io sappia mai e poi mai il senso:
unico di ritorno resto sobrio su questa panchina
piuttosto che rimettermi ad inseguire la vita
ed andarmene ancora una volta oltre cortina.

Vai tu, dico davvero,
scavalca e urlami nascosto al di là del ferro
quel che c’è di così eccitante e diverso.
Vai e se vuoi torna a raccontarmi
quel che hai messo negli occhi
o quel che conosco e mi sarò perso.

Avanti.E senza spingere, che prima o poi ci si passa tutti.

Ci son già passato, ho un trascorso sghembo
ed una volta visto il tuo desiderio scommetto
per niente e per nessuna tu tornerai indietro.

Certo, mi hai conosciuto qui e seduto
dici lo ammetto è strano non son dispiaciuto
e l’ amarezza che dovrei non mi brucia addosso
seppure sia l’unico tornato al di qua del fosso.
Ma c’è che ogni milione ne modellano uno strambo
dicono da lassù che sbagliano per diritto lo stampo
e ne viene un animale matto e di esserlo mai stanco.

Così mentre tutti prima dell’unico verso in salto
vi sedete qui accanto e mi chiedete nel prender fiato
se meno di uno è vero ha fatto la strada al contrario
quello è qui, che vi misura le parole accanto.
Strano, visto lo splendido che vi attende laggiù
ma io no grazie preferisco scrivere di restarmene:
sto bene qui, a tirar sassi nell’ acqua
e ad accompagnare i Cerchi allagarsi di blu.

mag 23, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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L’arena dalle penne a sfera.

Punteggiatori sparsi.Un anno fa al Parco delle cascine si era seduti in ellisse.
In mezzo a quella folla variegata un tale, certo Simone detto Livefast, dagli eventi si erse prima di ardersi in benzina nella rinascita due punto zero e come stilita senza roccia appuntita domandò ai presenti attoniti: ma allora cosa accomuna noi blogger?
Niente fu la risposta.
E quel niente, ora rodeante, ancora ci unisce quasi trecentosessantacinque alzate di letto dopo.
E nel frattempo si sono allargati gli abbracci, le pacche forti sulle spalle e gli sguardi incrociati.
Di premessa: tutti eravate tanti e troppi ne siete da ringraziare singolarmente.
Sappiatelo, nel mentre vado avanti.
Ai resusciti da baracchino e agli arcaici adepti del CB, come mi suggerì ad una cena Rillo, gli appuntamenti blogghisti come quello di venerdì sera appaiono come enormi verticali dove finalmente ci si vede e ci si splende.
Il rodeo è stato per me come una partita a calcetto: quello Balilla.
Poichè nel durante ci ho giocato con Fraps ed anche perchè la notte stessa, tornato a casa, mi son sognato d’essere omino balilla abbracciato a compagni di scrittura rilegati nel destino della stessa maglia.
Quel che resta sulla pelle son cose strambe, diverse, come un mosaico stempiato e variegato che per magia si incastra fra volti rivisti e altri scoperti.
Infra le gengive mi porto un bravuomo storto come le sue rime.
E fra i polpastrelli la stretta di mano forte di un direttore d’albergo che quasi mi ha commosso nel vederlo e nel salutarmi. Grazie Gianni.
E fuori, a respirare nell’aia di Rozzano stornazzante di schiamazzi di animali blogghisti ecco spuntare un abbraccio di quelli che non ti aspetti: Strelnik.
Mai si vada a finire che gli venisse di farne un corto sull’evento: ecco adesso ne hai uno di amico alto un tappo che come protagonista è perfetto.
In un angolo ho puntato dritto, l’ho vista ed eccola insorrisata, Pizia.
Si poteva dirle che, per farne un esempio, da anni pensi sia una cantata splendida, questa.
In voce, per triplani o per scritti piaciuti.
E invece.
Poi passi sotto il Palco, che lui da sopra fa l’ossesso.
Divincola e dimena e ti ci ritrovi a ballare con Sphera ed Eva.
Poi ecco, voltato d’improvviso: certo non m’aspettavo d’aver fra gli occhi il sommo.
Già aver le sue spalle nel tuo abbraccio sembra che t’assorbi una delle sue lezioni pixxellate che fan sentire intelligente anche uno analfabbeto comme amme.
E invece.
Che ballasse poi è, vederglielo fare, stupendo.
Esci, prendi aria, e vieni rapito come da uno sbatter d’ali in mi tavor settima di falena notturna.
Quel che non t’aspetti è che s’oppone alla notte stessa scura inversa nel nome come chi l’aveva avvertita leggendole in mano la data di scadenza.
Ti parla come vena scoperta.
E scoperto ascolti. Sembri poterla afferrare mentre discosta il velo dello sguardo veloce.
E invece.
Rientri e ti affretti, saluti Silvia e un fiore che trilla.
Scopri gioie solo vivendo eventi come questi: e sei, elemento strambo, felice nel vedere mani strette fra vite brevi e pulsazioni veloci.
Enormemente felice.
Nasi rossi e liquori.
In alto i calici e brindiamo:
a voi, bella gente slalomista fra amorfe esistenze!
A noi, elementi scuotimenti!

mag 15, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Pazzi non foste a viver come bruti.

Perchè siam tutti bimbi sperduti.E quel che è stato è: cappelli, quattro.
Foulard rossi, altrettanti.
Uomini: folli.
Disegni:strambi.
Donne: splendide.
Un manico di chitarra attaccato ad un manico di chitarrista.
La gente è nel locale. Anche fuori.
Il locale? Pieno.
Il Naviglio sta sempre lì, a un passo di tuffo.
La gente beve.
Sugli sgabelli, sui trespoli: svaccata fra patatine, rutti e fighetti.
E parla, osti se ‘sta gente parla.
Poi il fungo dj smette il suo chill out avvolgente.
Silenzio.
Brusio.
Nelle vaschette cetrioli senza sugo come dialoghi da aperitivo.
Un po’ di blues è quel che ci vorrebbe.
E un po’ di blues si sente provenire da un angolo, controcorrente.
Un angolo stretto, fottutamente stretto.
Si alza il sipario.
E i quattro cappelli entrano.
E gli uomini sotto al Panama li seguono.
E i loro sogni anche.
Urlano.
Ridono.
Pungono.
La gente parlava, prima, ricordi?
Ora guarda.
Attonita, nel mentre sta.
Ma questi, questi… questi… pazzi:
chi cazzo li ha fatti entrare, questi?

Ne è stato fatto un video.
E tra poco ne verrà fatto un sito.
Dove poter ritrovare testi, audio e pazzi.
Noi si spera che ci verrete dietro a ruota, perchè lo sappiamo: siete bella gente.
Nel mentre la Pazziata si ripropone a breve.
Altro locale, altra tenzone.
In fondo si tratta solo di far ballar su strada il muscolo che qualsivoglia ha dentro, ognuno nel bel mezzo dei padiglioni in auricolo e retrostanti i bulbi catarifrangenti: le menti.
Sorprendere per provocare mentre non la si aspetta.
La pazziata è toccata e fugge in fretta.
Lesta sconquassa: scuote i passanti e quelli che nel mezzo si ritrovan ad esser involontari astanti.
Regola semplice: far accorgersi delle proprie esistenze.
Folli senza rete, siam stanchi di maglie sfibrate e virtuali.
C’è bisogno di sorrisi e come bimbi sperduti cerchiamo occhi sgranati e strette di mani.
Detto niente.
Ed è una sfida lanciata con l’asta ed aperta al miglior bloggherista: ovunque tu vada, ce l’hai il coraggio di portar con te, nel cuore o per strada, la Pazziata?

* Mike e Cinzia, Rillo e Fraps, Zu e Darko, Helghi e Sphera.
Regalaci un applauso, e buonasera.

mag 8, 2004 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Il Funicolante.

Mestieri e professioni: gioie e dolori.Dici: il Funicolante.
A Bergamo molti autobus, due sole funicolari.
Una è nascosta sul colle di San Vigilio e l’altra, ben più famosa, collega la parte bassa della Città alla parte più antica e posta sopra le mura.
In totale quindi esistono due signor Funicolanti.
E’ un’ elite.
Molti bambini sognano di fare il tranviere.
I bimbi di Bergamo ripiegano, causa assenza di binari in città, sull’autotrasporto pubblico gommato.
Almeno credo, perchè da piccolo io volevo fare il lattoniere.
Starmene sui tetti, posare le tegole, spaccare i conci e assicurare le grondaie sugli spigoli.
Gli scoli con lo sfiato a guisa di draghetto erano i miei preferiti.
E questo e quello.
Ma mentre io non mi scrostavo da questo sogno futuribile i miei compagni di ciuccio, molti di loro, eran già sicuri: autobus e traffico sarebbero stati il loro massimo destino.
Ma fare il Funicolante…
Ci si pensava,certo, ma nessuno nemmeno allora osava mai ammetterlo.
Statuario nella movenza, assorto in fierezza: il Funicolante è pura essenza cosparsa di dorata aurea.
E’ un’ elite.
Già detto?
Ne son certo.
Controlla i biglietti, fa salire le persone obliterate, chiude le porte a pressione e poi si estasia con la pressione del sacro gesto sublime: schiscia il bottone.
E il cavo si riavvolge.
E il mezzo sale.
E la città si srotola sotto la ripida inclinazione che fa tremare tutti, e tutti indistintamente ci si stringe assieme casualmente: nipponici con teleobiettivo puntato verso l’ignoto che li avvolge, coppie di fidanzatini stretti e stupiti, vecchietti che si scordano rapiti di volersi sedere, cagnette in braccio a pellicce ed omoni industriali ricoperti di cravatte.
Tutti in egual religioso silenzio e muti sotto l’egida della livella miracolata e funicolante.
E via, si sale.
A beh, il signor Funicolante.
Sarei sceso dai tetti dell’infanzia solo per portarne sulle spalle la giacca.
Brizzolato e rugoso, con lo sguardo di chi vede sempre un po’ più in la dei tre minuti di tragitto avanti e indrè semper li stèss.
Lui, gavettato da anni di linee urbane: stazione-ospedale maggiore, stadio comunale-Monterosso, parco Suardi-Boccaleone.
Cresciuto in azienda a tirar la carretta e poi in sofferenza eccolo allevare generazione dopo generazione piccoli guidatori sotto le camicie blu ed i maglioncini d’ordinanza.
Sempre con quel sogno dentro al cuore: schisciare quel bottone.
L’eroe privilegiato a capo della piramide massonica degli autisti.
Lui, pigia un tasto e possiede la funicolare: l’ambita postazione che si può solo invidiare o idolatrare e sulle cui fiancate i colleghi lasciano scie e bave di venerazione.
Signor Funicolante, tu domini la città.
Stesso tragitto, giorno dopo giorno, per un chilometro di cavo in trentacinque gradi di pendenza.
Giorno e notte, estate e inverno, governo dopo governo.
Avanti e indrè.
Semper li stèss.

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