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Smucky. 250320

Poggiato di gomiti sul mio davanzale osservo tra le persiane della finestra difronte un riflesso sbilenco che attende il mio sguardo quel tanto bastante affinchè accecato io volgessi il mio intento di attenzione al bastone poggiato sul balcone opposto al dolore.
Essendo accostato alla ruggine di un solo pensiero del fiato succede che quel supporto legnoso in quel preciso appuntamento con il cambio del guado del mio pensiero se ne cada diretto in strada con un balzo che non definirei molto ampio ma ripeto bastante al tocco sordo provocato dal suo rimbalzo di distacco dal collo del malcapitato infrangente di legge passante non spesso sovente al di sotto della traiettoria in sola prova cadente.
Il tutto nella voce fra il cappello ed il mento genera un sacripante verso di incredula ammissione per la ricezione del suddetto bastone involontariamente fuori dal presidio della mente ed un’alzata di orbite in cerca del movente per altro assente.
L’infortunio ambulante raccoglie le borse della spesa e si avvia nuovamente verso questa comune e straniante quarantena.
È allora che lo riconosco.
Non il bastone, non il balcone, non la caduta, non il passante ma la risata.
Dietro l’angolo della misura del palazzo basta quell’attimo a mezza altezza per sorprendermi di come a distanza di anni io già sappia a chi appartiene quello stupore a cui non so ancora dare il giusto suffisso al nome.
Scatto, trottolo le scale e prendo la corsa fuori casa: scavalco il bastonato e giro lo stucco dei muri.
Nulla, non vedo che quel che già conosco.
Lo penso, lo ripeto e quindi lo parlo per poi urlarlo:
- Smucky, lo so, tu lo sai, fatti vedere!
Tre cinguettii di passeri novelli cittadini, la millesima sirena lontana, lo stesso caldo silenzio primaverile che da giorni ormai spaventa il tutto e il nulla.
Giro le spalle e torno verso il mio assedio casalingo d’attesa per una storia che non sconta, non scritta e conta le assenze.
Al sesto passo del rientro risponde il suo sussurro accovacciato tra il marciapiede, il finestrino rotto ed il vermiglio di una portiera anteriore rigata.
- Se lo sai non hai bisogno d’oltre.
Rispondo al fermo, ma senza voltarmi, guardando altri nuovi vuoti tra le strade vuote.
- Hai ancora gli stessi occhi? – gli butto lì tanto per.
- E tu hai ancora lo stesso inchiostro? – risponde come se.
- Dove? Son più di dieci anni e oltre!
- Oh, non molto distante dal tuo allontanarti in realtà, dicono si chiami ‘quel che succeda a volte nella vita’. Prendi la prima stradina al bivio impolverandoti senza pensarci e poi è tutto in giro crescente di arzigogoli che poi neanche ci si ricorda per i compleanni.
- Come mai adesso?
- Hanno fermato l’attorno, hanno cancellato il paesaggio e rimescolato il mazzo. Ora non è più ora e domani non ha più un verbo se non quel ritocco di campane dilaniante: ho pensato che fosse un buon momento.
- Lo è, lo è sempre stato. Posso voltarmi giusto per ricordarmi di ricordarti?
- La scelta è tua, ma la storia è nostra. Facciamo che ci vediamo quando ci rivedremo ok?
- Quando?
- Presto, te lo stai già promettendo: ed è già un buon segno.
- Allora sia: a presto, amico mio.
- …
Il tacere è un invito al girarmi per scoprire il vuoto ma prima del farlo passa un’auto con a bordo un paio di carabinieri: hanno il finestrino abbassato e dalla radio risuona straniante l’inno d’Italia.
Così capisco nel non voltarmi quel che quella candela accesa sul mio davanzale ora mi invita a fare: ‘vai avanti che ti aspetto’, direbbe Smucky.
Perché è vero: c’è un qualcuno che ci aspetta, alla fine di tutto questo.
Perciò: avanti, andiamo avanti.

Reali

Sospendersi
al fine valle ancora ballano
ma il vento sposta il petto
l’istinto stringe vicino
ed il monte è già sceso.

Stiamo e saremo
futuro di altri
forti all’esempio
e nel cuore della notte
porti rinascenti.

Fresnel

Dazi ed incensi
lontani dai giusti sentieri
opachi e pesti
brillocchi di quieta cera
unti da palmi di mani stanchi
scorze di quei forse
di cui danzano le onde.

Miele di rena
conta di buffi racconti
monile sgretolato dai sogni
più colpi che spinte
che di gioie brune
e pasti dipinti
son piene le quinte
e sazi solo i vinti.

mar 20, 2019 - Calamai, Polaroid    Dicevi?

Il giorno prima

Cani sciolti per fardello
attenti al primo che si distoglie
affamati di strade non viste
o di cibo senza importanza:
alla prima luna di borgo guaiscono
mentre si raccontano le ferite
con l’acqua negli occhi.

Il primo caldo invade
non si presenta e si siede
ammalia e millanta
eccita di malinconia
e rifugge d’aceto.

Stasera all’Odeon
vecchi in pellicola
parlate arcaiche
gesti tronfi
e baci crudeli.

Dove devo firmare

One hand in the air

eccomi sfrucugliato bastante
addossato alla corte
del primo che interrompe
questa danza di una stanza derviscia
senza il buon senso di mostrarsi al plesso
un cartonato del suo fuggire
per fingere di divenire
caro mio ti offro caffè e simpatia
per rimanere sveglio
per vincere al karaoke stonante
e per spedirti una cartolina
con scritto ‘smettila di parlare’
così quando arriva
sarai già qualcosa
di stupidamente nostalgico

two hands in the air

come sempre che vergogna
le tre versioni della storia
concidono solo alla partenza
e si abbracciano all’arrivo
ma considerando l’eqauazione a due terzi
la mia postilla è grata
per non essersi mai arresa
ed essere leggera ad ogni sole scalzo
dove devo firmare.

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