Rebois stava scalciando stupidamente l’aria accompagnando le sue movenze disarticolate con versacci ibridi quando proprio a causa di quei movimenti sincopati la sua scarpa sinistra decise di lasciare la calzata per atterrare accanto a quella barca dopo un volo ballerino e pitagorico.
La barca, a detta di tutti, non aveva mai lasciato il molo ed era da sempre ormeggiata con la prua rivolta al respiro. C’era una scritta rossa dipinta lungo il suo fianco, un po’ incerta e un po’ contenta: Regòrdes.
Regòrdes se ne stava lì, placida e senza timori. Oltre che ad attendere scarpe volanti adorava ascoltare quel genere di discorsi che la gente fa al tramonto, un tempo sbertuccianti di colori sgargianti ed ora tenui imitazioni sbiadite di un inverno senza neve.
Rebois smise di soffiarsi addosso, raggiunse la sua perdita, si guardò attorno tra il nulla e il tutto, raccolse dal cielo una sensazione di cui non aveva ancora il nome e per la prima volta accarezzò Regòrdes.
Poi venne la vita e Rebois con entrambe le scarpe si voltò verso di essa.
Ciò nonostante, sebbene fosse distante da Regòrdes per indirizzo ed anagrafica, Rebois negli anni amava ogni tanto ritornare da lei mettendosi in viaggio per giorni o addirittura mesi, all’improvviso, godendosi il panorama fatto di bottoni sui cappotti delle persone, tegole mal posizionate e vaghi sentori di echi di campanacci legati a mucche svogliate ma canterine.
Regòrdes nel frattempo non è che lo aspettasse: passava il tempo accogliendo tentativi di punture di zanzare, punteggiando gli sciabordii nelle notti di tempesta e adorando fare scherzi al gracidio delle rane contrapponendone un falsetto istrionico attraverso lo scricchiolio delle sue assi di legno.
Rebois al termine di ogni suo ritorno da lei amava non raggiungerla d’istinto e così percorreva gli ultimi istanti giocherellando col suo bastone lungo la riva, gettando i sassolini al rimbalzo e trotterellando laconico accanto ai solchi lasciati dai carretti dei rigattieri stanchi. Addirittura se tutto ciò accadeva d’inverno, e spesso la neve ne era testimone, invece di sobbalzare a gran salti da Regòrdes sostava per un po’ al caldo della locanda del paese intrattenendosi con i pellegrini di passaggio e fingendosi interessato ai loro racconti prima di recuperare il coraggio sotto la solita gamba tremolante.
Una volta raccolto il tempo adatto Rebois alzava gli occhi al cielo, prendeva il giusto sentiero e quando finiva di fischiettare la loro canzone giungeva come se non si fosse mai mosso ad un battito da Regòrdes.
Regòrdes come sempre lo aveva già sentito arrivare ben prima, avvisata dall’allacciarsi dei bottoni, dagli sfrigolii delle tegole e dagli accordi dei campanacci. Quindi, quando Rebois sull’uscio della locanda alzò le sopracciglia per riveder le stelle, lei sapeva già perchè valeva tutta quella pena la sua attesa.
Rebois si fermò il suo solito istante per osservare Regòrdes tutta intera: raccolse il tempo con un gran respiro e impercettibilmente allungò la mano per trasformarla in carezza, come sempre.
Regòrdes la accolse, passò tutta la notte ad ascoltare nuvoe storie, si lasciò cullare dalle sue onde e dal suo mare, come sempre.
A vederli lì sul molo più che sinceri parevano imperfettamente veri.