mag 3, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Maybe Man.

Fibre mosse dal coro dei giorni
arse e sparse ovunque bruci i miei lembi
suonan la campana dei fulmini sparsi
fiutando la riffa al bordo della cantina.

Quando chiedo a Gelsomino che diavolo è il demone che l’ha convinto ad invischiarsi in questo pattume lui smoccola il naso e deturba il paesaggio cantando il suo inno.

Maybe man
dice a me
stai su con le spalle
mi dice
che già il mondo curva se stesso
dice
in un infinito ciclico
bello dritto col palmo della mano
a bere l’ombra sugli occhi.

Cosa vedi?
Sereno.

Cerco un buon liquore trovato nel sottobancone dell’olfatto
e mentre trangugio riavvolgo il nastro
fino al punto in cui avverto un taglio scolare il bruciore.
Avrei da dirvene
urlando di pianto
gioia a catinelle
ma l’imposta pagata
sbatte l’anta
ad una corrente
viva e alternata.

Gelsomino vieni qui che sotto alle tre carte si nasconde da sempre un sogno sfuggente.
Ti porto io a festeggiare: mentre scoli via lontano da questa baracca attacca pure le tue quattro strofe unte sotto ai tacchi da ballo.

Maybe man
dice a me
stai su con le spalle
mi dice
che già il mondo curva se stesso
dice
in un infinito ciclico
bello dritto col palmo della mano
a bere l’ombra sugli occhi.
Cosa vedi?
Sereno.
apr 26, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Minator cortese.

L’in piedi delle mie virgole
parrebbe donarmi bluastri d’altri
mentre rosico ganasciandomi l’unghie
intinte nel verso che fa un ricordo.
Invece non è un restarmi addosso quello che Maggio porta al collo: è più un recapito di me senza civico numero e senza denso nello spazio.
Vuoto come un trasloco, senza mai essere arrivato all’indirizzo nuovo.
Volto da cerimonie, arrabattato dalle litanie non faccio altro che l’arranco urlando: approdo! mentre in realtà non conosco che l’onda dalla quale mi lascio cullare e soffocare.
Splenderà all’altro capo prima o poi un’aria rarefatta ma per arrivare in cima a questa montagna s’ha da scavare e ribaltare il suolo che poggia le mie scarpe alla dolcezza.
Per essere me
devo prima veder chi già c’è
dentro le budella delle ossa della testa
altrimenti meglio restar assenti
ma meglio di no
meglio continuare a picchiar la testa
sbrufolando la terra
che son certo
qualcosa sboccia e sgorga
nascosto dalla voglia.
apr 6, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Bussolotti.

Metallico peperoncino assonnato
tieni la botta che fra poco cambia la rotta
ogni cosa è un movimento ad onda
prima rilascia e poi ritorna:
qui sbiascicano parole all’un l’altro
mentre tutto va a scatafascio.
Assolami con un una chitarra grunge
un bel giro che mi porti lontano
e stacchi la spina al diserbante umano
che dovrò reggere fino al party lunge
quando la notte del primo in settimana
sarà un’ inutile festa Annunziata:

buona per chi s’accontenta d’eroi,
rossa di rabbia alla meno peggio
compagna democratica sacrificata da buoi
ed anestetica d’un altro lustro di scempio.
mar 15, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Preghierina.

Video live
dei miei desideri
spilla l’anima ai miei cavalieri
ruba la guardia che picchetta il graal
monta la ruota camuna sulla royce delle star
piega a soffietto l’origami in teiera
versa sui miei fondi un paddock di cera
smungi il tulle alle gabbie dei merletti
e spanna il vetro ai sempreterni cretinetti.
mar 6, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Banchetto d’arcobaleno.

Ciao D.

Non buono
a fare il censore
tanto meno il recensore,
io,
perciò del tuo inchiostro ti dirò
solo quello che la pelle m’ha imbrattato.

Per quanto sia lontano di molto
da un buon immaginario strambo,
il primo termine per te non è quieto: vomito.
‘spetta. Non è fraintendimento.
Spesso mi passano sotto al naso pagine piene e vuote
che scorrono senza lasciarmi segni addosso
mentre Matteo t’arriva diretto:
quando tortura mi tortura,
quando accarezza i fiori m’accarezza
ed io per reazione vomito dolore e amore.

Di secondo, ti offro l’attenzione.
Premunito di te che sei il primo
visto in carne e poi di carta
ho pranzato del tuo pasto
come villano al banchetto reale
spizzicando prima incerto le posate
per poi al fine tuffarmi nel tuo mondo
senza ritegno con tutto il corpo.

Volevo stare
come uno distante dal tuo libro
perciò ho affrontato la tua città
giungendoci a piedi
e mi son preso tutto il tempo
di arrivare sul luogo dell’incidente
gustandomi l’aria da te descritta.

Una volta lì, col sangue per terra,
ero già a mio agio.

Tolte le barriere,
il resto è stato un coinvolgermi da sbrano.
Ed è strano: tipo come se lo sapessi di te
dalla pelle che porti
che dentro c’erano parole enormi.

Mi resta solo da darti un abbraccio:
la prossima volta che t’incrocio
ho voce per chiederti e occhi per ascoltarti.

Con affetto,
lo Sghembo.

* A provarci, per chiesta, l’ho dipinto.
Tu, se vuoi, qui lo mangi.
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