set 21, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cara P.

Cara P,
ho ancora la schiena incerottata.
M’hanno provato ogni tipo di male ma l’allergia non si trova
e a dirti la verità credo che mi si sgonfierà il petto in fretta.
Tuttavia c’è sempre il profumo delle rose in giardino ove spesso i bambini finiscono per pungersi. Li osservo ancora da qui e per strano che sia nel farlo giocherello ancora con i numeri incisi sul lucchetto.
Lo so che alla mia età dovrei smetterla e adeguarmi, rassegnarmi.
Ma ogni nuvola da quel pertugio è ancora un’immagine giocosa e di tanto in tanto dal panettiere all’angolo arriva ancora qualche nota coperta di sugo: è allora che non resisto e come sempre implacabilmente s’avviluppano nella mia testa gli schemi.
Per quanto ci abbia provato finisce sempre con quell’urlo.
Certo, ora il tempo di latenza s’è allungato di molto: ho imparato quasi del tutto a tenerlo sotto controllo.
Ma è difficile sai, molto difficile.
Mi sveglio ancora di soprassalto con quell’immagine del filo di nylon spezzato di colpo e lo schiocco sordo della frusta che colpisce.
Quando succede corro di là a ber subito un bicchier d’acqua: ma anche d’inverno mi par sempre calda.
Eppure m’aiuta a lavarmi e non passa che un’ora e torno ad addormentarmi.
Lei dice che presto tornerò a riappropriarmi di un solo mondo anzichè ‘esserne schiavo dei mille frastagliati in cui mi sono perso’.
Ho provato a spiegarle come va di dentro ma ovviamente non sono mai uscito da me nemmeno per un barlugio che le abbia fatto anche solo intuire quanto profondo io abbia dentro il mio solco.
Dirle che cammino ancora sui vetri ardenti e che con i frammenti io amo immergermi non servirebbe a nulla tranne che a renderla più insicura del suo affetto, dei suoi gesti, degli sforzi fatti per ricucirmi fino ai denti.
Perciò ho deciso di restare esempio di un corpo esterno denso mentre dentro continua lo sgombero dei dogmi e l’esodo dei sensi.
La consapevolezza della lontananza dal guado della conformità rassicurante mi attrae, mi spaventa, mi respinge e mi rincorre.
Temo solo la cecità della solitudine in questo mio sentirmi uno e più, ma come tu mi hai detto rincuorandomi non sono altro che isola fra isole difronte ad un mare troppo grande.
Hai sempre portato in bisaccia parole giuste in giuste frasi e questo tuo parlarmi di me senza vuoti o cadenze ma anzi con il battito che non ha mai perso un colpo m’ha da sempre di te ammaliato.
La differita vocale è la mia sola costante.
Torno a soffiare le bolle,
che ultimamente riesco persino a chiamarle per nome,
prima che si dissolvano liberandone il sole.

Con affetto,
M.
set 15, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Gorgo.
Triangolo la mia equazione riciclata dalla sfera
smussando gli angoli dei pertugi nel mondo
a ‘sto giro mi sento più curvo dell’orizzonte
così per dirlo mi cerco oltre le due grosse colonne
che Bonifacio rimane un imperativo distante.
Storcio la manopola del ritorno frequenza
modulando il ritmo sul gorgo della caffettiera
come sveglia contorgo la stecca
affinchè io scelga la mia falce più dolce.

Ahi, m’impongo di pungermi la camicia
che di rosso evacuo la ruota di seta
e per non rinunciare a posarmi negli incroci
recito perpetuo difese sgranate d’origami
solo per lievitare e dar corpo al domani.
set 7, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Mr. President

Junior d’un’atroce tenerezza
soccorso al lago del piccolo Capo
s’accompagna alla loro gonnella:
giocando con zio Bill Buffalo
e le rughe del babbo lui stenta.

Mentre la grande nazione sbiadisce
il suo rosso nei canali di scolo
ed il blu nel suo sud che ruggisce
lui ciuccia il pollice in volo
cantando la ninna del cotone d’oro.

Promette alle acque un tetto
ed alle carcasse linfa vitale
ma la rabbia straborda il livello:
la furia ora ammazza su ogni pitale
e lui non fa altro che spegnersi svelto.

ago 27, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Atipico celsius.

Sfùmino
il bianco si fa il grigio
miscela celebrale di vapore acqueo.

Ne viene
come un posto a sedere
sull’autobus dei condannati
dove si ride
di chi scaccia.

Ogni accostamento cromatico racchiude uno scontro di coiti,
a volte è miscuglio solo da risciacquare
ma il biglietto vincente
nell’attrito si accende
raramente
e quel che n’esce
è luce nuova
superba nei sensi
che si fa sonora.

Più d’ aurora.

ago 22, 2005 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lei, m’insegna, è difficile da raffinare.

Dov’ho smarrito la teglia del corpo?
Il punto esatto fra crudo e stracotto dove solevo menarmi lo spasso al mondo?
Dov’ho corrotto l’uomo passato al placido mio setaccio?
Quale il burrone dove rotolatata è burlata la mia gioia squagliata?
Dove il recinto, dove la staccata d’andata al biglietto, dove il passo in più del troppo alto crepaccio?

Gelsomina ha un nome che ride
ne piglia che gliene danno
s’appassisce e via rinasce mite
e lei piace di perenne vanto.

Non c’è trucco, non c’è inganno,
accorrete al baraccone, ne restan per poche ore.
C’ha ragione quella che mi correva parole dicendo che sarei morto presto
che sarai stato sfamato solo da postumo
che portavo a spasso un bersaglio da colpire con freccette manco di rovere
che fiutato lo sfiato s’è girata d’altro lato
al tramonto ha preferito l’alba
e che la notte se la inghiotta.

Mai parlare di macabro sai,
mai ossa, umido e terra.
Mai differenziarsi la raccolta di parole
perchè dicon che c’è troppa gente di scrittura
senza grafia o morfologia.

Sghembo, capisca, non è forse il periodo storico adatto al suo genere di mente,
tardorinascimentale, ottocentesca, cappa e spada e fiorin fioretto,
oppure futuribile e complessa,
astrusa dal contorno irso, spigoloso, denso,
lei, mi insegna, è difficile da raffinare.
Non se la prenda a male,
vada a faticare.
Ci son già pieni i coglioni di politici, rubamazzi, finti attori e sinonimi,
ci mancherebbe.

Ci mancherebbe.
Si dia retta,
mangi qualcosa pagato di suo.

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