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gen 17, 2024 - Calamai, Polaroid    Dicevi?

Qualcosa a cui donare un nome

Con la testa sulla spalla del divano
ed i piedi incrociati sul tappeto imbronciato
Nina allungò i turbini del pensiero
fino ai palmi delle mani.

Irrequieta
al vento che bussava di sotterfugio alle finestre
e confusa da un qualcosa
che l’aveva sorpresa durante il giorno
- e a cui non era ancora riuscita a donare un nome -
disegnava con la coperta un po’ di calore
sebbene l’orlo del sole
fosse ormai già un ricordo
scomparso da ore.

Quando il suo sguardo
finalmente giunse oltre le fiammelle del camino
Nina sospese ogni attimo
e si riempì gli istanti
di quei suoi strani rompicapi bislacchi.

Perchè,
perché si domandò
se c’è spazio persino tra gli atomi
il nostro corpo resta sempre
stretto ed incollato a se stesso?

Nessuno spazio per fuggire
e troppi orizzonti mai detti.

E quando si va in pezzi
quanto tempo serve
per dischiudersi tra gli astri
e ricostruirsi tra la terra e il cielo?

Ed ancora:
se quei puntini che vedo lassù
sono il passato delle stelle
allora io
di quale pensiero
sarò mai il futuro?

Qualcuno
distante anni luce
nemmeno sa che esisto – pensò -
ma nemmeno il mio amore
a volte si accorge di me.

Tutto questo
Nina si raccontava
mentre il fuoco la ascoltava,
taceva e si faceva brace
sotto ai suoi occhi
e sopra ai suoi andirivieni dell’anima.

All’improvviso
arrivò Sfumino,
il suo gatto mezzo grigio
e mezzo addormentato.

Sfrucugliò due finte fusa,
si prese dei grattini sotto il mento
e si accovacciò di quiete accanto a lei.

Nina lo guardò oltre,
come chi guarda il mare
in cerca di pace.

Poi intravide qualcosa
e con gli stessi suoi occhi distratti
all’improvviso sorrise
e sorrise di quel qualcosa
chiamandolo per nome.

lug 7, 2023 - Calamai, Polaroid    Dicevi?

Sale

L’acqua che passa,
tra turbini e ruscelli,
di gocce racconta.

Scorre,
bagna ossa e pelle,
ascolta, accoglie
e scivola col suo tempo,
quello giusto.

Non ama le domande,
non offre le risposte,
ma di certo arriva al sale
e lo chiama
a volte casa,
a volte mare.

Rebois e Regòrdes

Rebois stava scalciando stupidamente l’aria accompagnando le sue movenze disarticolate con versacci ibridi quando proprio a causa di quei movimenti sincopati la sua scarpa sinistra decise di lasciare la calzata per atterrare accanto a quella barca dopo un volo ballerino e pitagorico.

La barca, a detta di tutti, non aveva mai lasciato il molo ed era da sempre ormeggiata con la prua rivolta al respiro. C’era una scritta rossa dipinta lungo il suo fianco, un po’ incerta e un po’ contenta: Regòrdes.

Regòrdes se ne stava lì, placida e senza timori. Oltre che ad attendere scarpe volanti adorava ascoltare quel genere di discorsi che la gente fa al tramonto, un tempo sbertuccianti di colori sgargianti ed ora tenui imitazioni sbiadite di un inverno senza neve.

Rebois smise di soffiarsi addosso, raggiunse la sua perdita, si guardò attorno tra il nulla e il tutto, raccolse dal cielo una sensazione di cui non aveva ancora il nome e per la prima volta accarezzò Regòrdes.

Poi venne la vita e Rebois con entrambe le scarpe si voltò verso di essa.

Ciò nonostante, sebbene fosse distante da Regòrdes per indirizzo ed anagrafica, Rebois negli anni amava ogni tanto ritornare da lei mettendosi in viaggio per giorni o addirittura mesi, all’improvviso, godendosi il panorama fatto di bottoni sui cappotti delle persone, tegole mal posizionate e vaghi sentori di echi di campanacci legati a mucche svogliate ma canterine.

Regòrdes nel frattempo non è che lo aspettasse: passava il tempo accogliendo tentativi di punture di zanzare, punteggiando gli sciabordii nelle notti di tempesta e adorando fare scherzi al gracidio delle rane contrapponendone un falsetto istrionico attraverso lo scricchiolio delle sue assi di legno.

Rebois al termine di ogni suo ritorno da lei amava non raggiungerla d’istinto e così percorreva gli ultimi istanti giocherellando col suo bastone lungo la riva, gettando i sassolini al rimbalzo e trotterellando laconico accanto ai solchi lasciati dai carretti dei rigattieri stanchi. Addirittura se tutto ciò accadeva d’inverno, e spesso la neve ne era testimone, invece di sobbalzare a gran salti da Regòrdes sostava per un po’ al caldo della locanda del paese intrattenendosi con i pellegrini di passaggio e fingendosi interessato ai loro racconti prima di recuperare il coraggio sotto la solita gamba tremolante.

Una volta raccolto il tempo adatto Rebois alzava gli occhi al cielo, prendeva il giusto sentiero e quando finiva di fischiettare la loro canzone giungeva come se non si fosse mai mosso ad un battito da Regòrdes.

Regòrdes come sempre lo aveva già sentito arrivare ben prima, avvisata dall’allacciarsi dei bottoni, dagli sfrigolii delle tegole e dagli accordi dei campanacci. Quindi, quando Rebois sull’uscio della locanda alzò le sopracciglia per riveder le stelle, lei sapeva già perchè valeva tutta quella pena la sua attesa.

Rebois si fermò il suo solito istante per osservare Regòrdes tutta intera: raccolse il tempo con un gran respiro e impercettibilmente allungò la mano per trasformarla in carezza, come sempre.

Regòrdes la accolse, passò tutta la notte ad ascoltare nuvoe storie, si lasciò cullare dalle sue onde e dal suo mare, come sempre.

A vederli lì sul molo più che sinceri parevano imperfettamente veri.

feb 26, 2023 - Calamai, Senza cicatrici    Dicevi?

Bordo

Sopra gli assi,
soli davanti ai fanti,
accecati, inginocchiati
niente rumore,
quel sapore di tremore,
il silenzio, l’orrore
il vuoto
poi
il bagliore
il respiro
di chi ti è vicino
il rosso del naso
tuo miglior alleato
e il giocarsi
corpo di Stanlio
dipinto sui muri
tatuato su ogni passo
inchiostrato a fine giro
di un tragitto destino
trafitto dal sorriso.

dic 8, 2022 - Calamai    Dicevi?

Quel nascondiglio

La boria della volontà,
il plesso del tempo scomparso,
i lustri andanti del sonno acuto.

All’improvviso un entusiasmo,
un fragore dentro al candore,
un paesaggio che era sommerso.

In balia dei giganti assetati
verso un battito cadente di polvere
cercando consistenze astrali
passeggio sul tuo sguardo
e riscopro quel nascondiglio.

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