Maggese
Accogliere, distogliere
accertarsi di accrescere:
alla fine del panorama
ritrovarsi stanchi,
diversi, con liuta
da reintrecciare,
di nuovo, da capo,
quando già pensavi al riparo
ed invece ti attende
il più grande maggese.
Accogliere, distogliere
accertarsi di accrescere:
alla fine del panorama
ritrovarsi stanchi,
diversi, con liuta
da reintrecciare,
di nuovo, da capo,
quando già pensavi al riparo
ed invece ti attende
il più grande maggese.
Colla di fumo, sguardo altezza tavolino.
Settebello, scopa, bestemmia che si sente fino alla chiesa.
Duecento lire, wonder boy.
Una spuma, un pacchetto di merit, una boccia che scavalca la sponda e finisce sulla piastrella.
- Fi piano, disgrassiach! – dal bancone la Sunta dispensa invettive e bianchini.
Corro al mio angolo,
entro nella cabina
dentro la sala
dentro al bar,
fantascienza anni ottanta da numeri senza prefisso senza dottori misteriosi.
Swissh e puff, mi ovatto richiudendo la porta pesantissima e mi diletto mentre leggo l’elenco altissimo di paesi lontanissimi tipo Gaverina. Se avessi un gettone avrei il mio bel minuto di connessione. Non ce l’ho: mi accontento di sapere che sono le undici e ventitre minuti, le undici e ventitre minuti, le undici e ventitre minuti.
Click, swissh e spuff, torno al mondo spingendo la porta leggerissima che mi ridona l’aria calda della mia domenica in maggio di rosario d’infanzia.
Salto in auto, lui l’accende da signore vestito a festa e senza le cinture allacciate la valigia è quella di un lungo viaggio.
Dune d’ombra
là ti sei nascosta
fra silenzi, unghie,
veli e sospiri.
Straniero al camino,
bloccato e sfasato,
non sono, non posso,
non riconosco.
La luce visita prima,
curiosa e straniata
trova i cocci,
la polvere ed un soffio
trattenuto in mano
quasi scappato.
Fuori dai vetri
tra roveti in germoglio
si ride di chi
ripudia le spine
perdendosi le rose.
L’ultima del puzzle
non la trovo mai.
Incompleto,
arrancante,
minuscolo sotto peso,
arrabattato stanco,
saliscendo dal banco dei pugni.
Ma mi rifugio ancora
nella grotta, bagnato di candele,
ti accarezzo, pago e prego.
Perché mi ricordo,
mi ricordo anche al buio
del tuo modo di trovar stelle,
del tuo soldino sottovetro
e del tuo andare incerto
ma sempre dritto nell’onde
senza mai perdere
bussola, speranza e carezze.
Quel poco sorriso,
annoiato e sbiadito,
sciogliendosi taceva.
Svanisse salato d’acqua,
soffiato dall’assenza,
steso in cerca di cielo.
Diastema in ascolto
tentennando di fiducia,
riposa allocco e guardingo.